Le prossime mosse dell'Iran e l'impatto di Israele nelle elezioni USA - Scott Ritter a "Egemonia"
"L'Iran stava cercando di inviare un messaggio a Israele sul potenziale che possiede e sul fatto che, qualora Israele avesse scelto di continuare a intensificare la violenza nella regione, possedeva la capacità di infliggere grandi danni a Israele. Questo messaggio è stato recepito da tutti."
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di Alessandro Bianchi
Fra
il 1991 e il 1998 è stato ispettore Onu sotto il mandato dell'UNSCOM
che si occupava degli armamenti in Iraq. Si è dimesso nel 1998 per
divergenze di opinioni con Washington. Nel 2002 e all’inizio del 2003,
quando George Bush e Tony Blair preparavano la guerra in Iraq, affermava
con forza che nel paese non esistessero le armi di distruzione di
massa. Mentre cadevano le bombe Usa e i giornalisti del “mondo libero”
costruivano la narrazione delle armi chimiche, è stata una delle voci
più forte nel denunciare questa fake news, semplicemente perché,
ripeteva, non esistevano prove di produzione di armi chimiche nel
paese.
Ha avuto ragione William Scott Ritter, ufficiale dei marines dal 1984, nello smascherare la fake news che ha aperto il vaso di pandora dei crimini Usa.
Ha avuto ragione con l’Iraq e ha ragione dal febbraio 2022 quando ha
mostrato da subito l’impossibilità per il regime di Kiev di vincere e il
suicidio dell’Europa nel conflitto in Ucraina.
Lo avevamo intervistato
sulla possibile risposta dell’Iran all’indomani del barbaro assassinio
dell’ex leader di Hamas a Teheran. Ha avuto ragione ancora una volta.
Abbiamo avuto il privilegio di conversare nuovamente con Scott Ritter per “Egemonia”. Gli abbiamo chiesto della strategia di medio-lungo periodo iraniana e dell’impatto delle politiche genocide israeliane sulla politica statunitense. Buona lettura.
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L'INTERVISTA
Diversi commentatori occidentali, italiani in particolare, si
affrettano a giudicare come “un fallimento” la risposta iraniana ai
crimini di Israele. E’ realmente un fallimento?
Penso
che sia stato, al contrario, un enorme successo e a diversi livelli.
Innanzitutto, non so come si possa definire un fallimento quando tutto
il mondo ha potuto vedere l'impatto fisico di decine di missili iraniani
sui bersagli indicati come obiettivi in Israele. Chi equipara il
successo alla perdita di vite umane non ha chiaramente capito nulla di
quel paese. L'Iran è una repubblica islamica che è fedele ai suoi
principi religiosi, e un aspetto importante della fede islamica è quello
di non uccidere innocenti e di cercare di ridurre al minimo gli effetti
collaterali. L'Iran non stava cercando di uccidere gli israeliani. Non
era quello certo l’obiettivo. L'Iran stava cercando di inviare un
messaggio a Israele sul potenziale che possiede e sul fatto che, qualora
Israele avesse scelto di continuare a intensificare la violenza nella
regione, possedeva la capacità di infliggere grandi danni a Israele.
Questo messaggio è stato recepito da tutti.
Quali sono gli obiettivi ora di medio e lungo periodo nella strategia iraniana?
Dal
punto di vista politico, una delle cose che l'Iran ha fatto, riducendo
al minimo le vittime umane, è stata quella di permettere a Israele di
salvare la faccia e agli Stati Uniti di aiutare Israele a salvare la
faccia, potendo proclamare l'attacco iraniano come un fallimento. Questo
salvataggio della faccia è un aspetto importante del percorso
diplomatico, perché se Israele può comportarsi come se non fosse
successo nulla di grave, questo limita la pressione che viene esercitata
su Tel Aviv. Si tratta del perno, dal mio punto di vista, della
strategia iraniana volta a trovare una soluzione che non arrivi al
conflitto totale. Ma se Israele vuole rimanere in quel confronto del
passato e acuirlo, allora penso che l'obiettivo a lungo termine
dell'Iran diventi l'eliminazione di Israele. Non perché l'Iran lo
richieda come precondizione, ma perché il comportamento di Israele non
offre nessuna alternativa. Se hai un cane rabbioso che gira libero nella
tua città, devi abbatterlo. Israele sta rapidamente diventando un cane
rabbioso, una nazione genocida, una nazione di apartheid, una nazione
che vede gli arabi come subumani, come animali, meritevoli di morte.
Questo atteggiamento è incompatibile con qualsiasi nozione di moralità e
di normalità quando si tratta di convivenza tra uomo e uomo. Quindi
qualora Israele dovesse decidere per lo scontro, l'Iran cercherebbe un
percorso che promuova la statualità palestinese e l'eliminazione di
Israele. Ma, lo ribadisco ancora una volta, non è perché l'Iran ha
scelto questa strada. Lo ha fatto Israele.
Concentriamoci quindi sul comportamento di Israele che nella
scorsa notte ha bombardato contemporaneamente Libano, Cisgiordania e
Gaza. La sera prima anche la Siria. Pensa che Tel Aviv inizierà a
bombardare il territorio dell'Iran o che risposta dobbiamo aspettarci?
Penso
che Israele intraprenderà sicuramente un qualche tipo di risposta per
salvare la faccia. Non credo che Israele possa permettere all'Iran di
lasciarsi attaccare nel modo in cui lo ha fatto Teheran, senza inviare
un segnale che poi ci sarebbero conseguenze per qualsiasi azione futura
di Teheran. Ci deve essere un equilibrio di potere nella regione, non un
dominio iraniano o israeliano. Deve esserci un equilibrio e per farlo
Israele deve dimostrare di essere in grado di colpire l'Iran. Si
tratterà di stabilire la natura di tale azione. Si parla molto un
possibile bombardamento degli impianti nucleari iraniani o degli
impianti di produzione di petrolio e gas. Questa sarebbe una mossa
fatale da parte di Israele, perché costringerebbe l'Iran non solo a
gravi ritorsioni, ma anche a creare una crisi energetica globale
colpendo in modo significativo la produzione energetica regionale. La
migliore difesa dell'Iran contro gli attacchi alla sua energia è tenere
in ostaggio la regione. Questo creerebbe una crisi energetica globale.
Una crisi energetica non è nell’interesse dell’Europa e certamente neanche degli Stati Uniti.Come giudica il comportamento dell’occidente nella risoluzione della crisi?
Una crisi energetica sarebbe catastrofica per l'Europa. Sarebbe
assolutamente devastante per gli Stati Uniti, soprattutto dal punto di
vista politico per l'amministrazione Biden, che sta promuovendo la
candidatura di Kamala Harris. Se l'attuale amministrazione non sarà in
grado di contenere Israele al punto da scatenare un conflitto regionale,
economicamente disastroso per il popolo americano alla vigilia delle
elezioni, i responsabili delle politiche che hanno creato queste
condizioni pagheranno un prezzo alle urne. Penso che l'amministrazione
Biden farà molta pressione su Israele affinché moderi la sua risposta.
Poi ci saranno pressioni sull'Iran affinché non reagisca in modo
eccessivo. Gli iraniani, al contrario degli israeliani, vivono in un
mondo basato sulla realtà. Capiscono che Israele non può incassare un
colpo del genere senza aspettarsi una ritorsione.
Potremmo
quindi entrare nella fase dell'”escalation gestita”. Se Israele si
vendica senza superare linee rosse, l'Iran sarà pronto a dire basta?
Questo
è il punto nevralgico. L'Iran è molto concentrato sull'evoluzione dei
BRICS: il vertice di Kazan che si terrà a fine mese è un momento
fondamentale. I BRICS rappresentano una direzione strategica che l'Iran
sta prendendo in termini di spostamento dall'Occidente verso l'Eurasia,
verso l'Oriente. Il suo futuro economico è legato al successo di
quest’organizzazione. E, in modo interconnesso, il futuro dei BRICS sarà
gravememente minacciato se dovesse scoppiare una guerra regionale in
grado di portare a una crisi di sicurezza energetica di proporzioni
globali. Ci sono alcune variabili da considerare sull'Iran, ma la
maggior parte riguardano la leadership interna a Tel Aviv. Spero che la
scala dell'escalation salga solo di uno o due gradini e poi si fermi,
con Israele che torni al punto in cui era prima che Benjamin Netanyahu
ha deciso di utilizzare questa guerra per minimizzare i gravi problemi
interni. Ha usato la guerra per il suo futuro politico e la minaccia di
guerra totale all’Iran come pretesto per mantenere in vita il suo
governo. Ma se le cose non andranno bene sul campo in Libano e a Gaza,
subirà un'enorme pressione politica e c'è il rischio concreto, a quel
punto, delle decisioni che possa intraprendere. Non è un uomo disposto a
dimettersi e a fare la cosa giusta per Israele e per la regione. È un
uomo disposto a sacrificare la pace e la sicurezza di Israele, degli
arabi e degli israeliani per la sua vita politica personale.
Crede che una eventuale vittoria di Trump alle prossime presidenziali degli Stati Uniti cambierebbe lo scenario nella regione?
È importante ricordare che, anche se Trump dovesse vincere a
novembre, non diventerà presidente prima di gennaio. E c'è molto tempo
tra oggi e gennaio: qualsiasi cosa può accadere in Medio Oriente. La
guerra in Libano non finirà il 6 novembre. La crisi tra Iran e Israele
non finirà il 5 o il 6 novembre. Il fatto è che non possiamo parlare di
cosa farebbe una presidenza Trump perché non sappiamo quale realtà si
troverà di fronte a gennaio. Stiamo parlando di molti mesi da oggi, e il
mondo può cambiare completamente in quel periodo. Israele può subire
dannose battute d'arresto. Potrebbe esserci una guerra totale. Potrebbe
esserci una crisi energetica globale. Credetemi, se Donald Trump si
troverà di fronte a una crisi energetica globale, si concentrerà su
quella, non sul salvataggio di Israele. E il popolo americano, se
dovesse incolpare Israele per la crisi energetica globale, imporrebbe
determinate linee d'azione. Quindi non credo che si possa dare per
scontato che un'amministrazione Trump farà X, Y e Z una volta che avrà i
poteri dopo il 20 gennaio.
Che impatto avranno le politiche guerrafondaie di Israele nelle prossime elezioni di novembre nel suo paese?
Aspettando
le prossime elezioni di novembre, l'amministrazione Biden ha
chiaramente ancora le redini del potere. Dinanzi ad Israele, l'Iran,
Hezbollah, credo che sia imperativo per l'amministrazione Biden lavori
per creare prima un po' di stabilità, perché solo attraverso la
stabilità si possono evitare le conseguenze economiche di un conflitto
regionale. Torniamo indietro al 1992, a James Carville, consigliere del
candidato Bill Clinton, e al messaggio che mise sulla porta della war
room. “È l'economia, stupido”. Gli americani voteranno con il
portafoglio. In questo momento, molti americani sono indebitati,
devastati economicamente o in rovina a causa di un uragano. E
l'amministrazione Biden viene criticata per la sua risposta, soprattutto
in un momento in cui le vittime dell'uragano hanno un disperato bisogno
di risorse. L’attuale amministrazione dice di non averle, ma ha appena
dato miliardi di dollari all'Ucraina e a Israele. Questo crea un
problema politico. Stiamo assistendo allo sciopero dei lavoratori
portuali che, se non si risolve presto, avrà un impatto devastante
sull'economia americana, proprio mentre ci avviamo verso le festività
natalizie. Gli scaffali dei negozi non si riempiono da soli! E se si
interrompe il flusso di merci negli Stati Uniti, l'economia non si
riprenderà in tempo per le vacanze. E anche questo avrà un effetto
devastante. Se a questo si aggiunge un conflitto regionale in Medio
Oriente che fa schizzare i prezzi dell'energia alle stelle, gli
americani incolperanno coloro che li costringono a pagare 12 dollari per
un gallone di benzina alla pompa perché non sono in grado di
ricostituire le loro riserve di petrolio….
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