Quanti di voi sanno che in Myanmar, ex Birmania, è in corso da anni una guerra civile che ha devastato e sta devastando il Paese? E quanti, invece, sanno che tra le conseguenze del violento braccio di ferro tra la giunta militare al potere e i “ribelli” troviamo il consolidamento di una sorta di Stato nello Stato, con proprie leggi, norme e codici da rispettare? Uno Stato, per la cronaca, che si estende per circa 31 mila chilometri quadrati, che cioè occupa una superficie grande quanto quella dell’Olanda e ospita circa 500mila persone. Incastonato nella parte Nord-orientale del Myanmar, tra le profonde gole dei fiumi Saluen e Mekong, e nella zona orientale dello Stato Shan, ai confini con la provincia cinese dello Yunnan, sorge lo Stato Wa.
Stiamo parlando della patria – non riconosciuta e non presente su alcuna cartina geografica – della minoranza etnica dei Wa, da alcuni definiti come una tribù armata fino ai denti dedita a traffici illeciti, da altri – è il caso degli Stati Uniti – di una organizzazione criminale formata da signori della droga e farabutti. Ma non c’è solo il tema degli stupefacenti a gettare un’ombra oscura sugli Wa. C’è anche il fatto che questo Stato autogestito è governato dallo United Wa State Army (Uwsa), e cioè dall’Esercito dello Stato Unito dei Wa: 30mila soldati e 20mila riservisti con a disposizione tecnologie avanzatissime (da droni a missili terra-aria passando per artiglieria).
Benvenuti nel regno dei Wa
Mentre i militari birmani e i ribelli combattono senza esclusione di colpi, i Wa prosperano in mezzo alla giungla facendo affari con il loro vicino di casa: la Cina. “Ormai è assurdo fingere che l’Uwsa sia una mafia del narcotraffico e niente di più. Alcuni dei suoi leader sono ricercati dalla Dea, certo, ma stanno gestendo un Governo completo di dipartimenti della Salute, dell’Agricoltura e della Finanza. E ancora: costruiscono strade, gestiscono una rete elettrica, stampano targhe e così via”, ha dichiarato a The Diplomat il giornalista Patrick Winn, autore del reportage sullo Stato dei Wa Narcotopia, uscito in Italia per Adelphi.
Perché, allora, i Wa non chiedono di essere riconosciuti come Stato ufficiale dalle Nazioni Unite? Semplice: nel caso in cui lo Stato dei Wa diventasse un vero Stato, per la minoranza etnica ci sarebbero più problemi che non benefici. Sin dalla sua fondazione, avvenuta 35 anni fa in seguito ad un accordo stretto tra i Wa e il governo centrale, gli stupefacenti sono stati infatti il motore finanziario dello Stato Wa. La droga, o meglio la sua vendita a gruppi criminali di vario tipo, ha sovvenzionato tutto: dai proiettili alle medicine, dal cemento ai vestiti. Senza eroina e metanfetamine, questa enclave probabilmente non esisterebbe e i Wa – che ai tempi del colonialismo britannico erano famosi per il fatto di tagliare la testa ai loro nemici prima di esporla su pali di legno – sarebbero solo un altro popolo indigeno del Myanmar.
Uno Stato nello Stato
Nel decennio successivo al 1989, lo Stato Wa e il Triangolo d’Oro hanno sfornato tonnellate e tonnellate di droga, passando dall’oppio all’eroina e quindi alle metanfetamine. Oggi l’Uwsa ha alleggerito la pressione sui laboratori di sostanze stupefacenti e ha iniziato a perfezionare l’arte del business con ambigue aziende cinesi e asiatiche, desiderose di investire i loro denari a queste latitudini. In ogni caso, come ha sottolineato la Bbc, lo Stato Wa assomiglia più alla Cina che non al Myanmar: utilizza lo yuan, la lingua principale è il mandarino e le infrastrutture – come l’elettricità e le reti di telefonia mobile – provengono da aziende cinesi.
Negli ultimi mesi, intanto, l’Uwsa ha preso il controllo di due città sottratte alla giunta militare e a gruppi ribelli, spostando in loco centinaia e centinaia di soldati. Mosse del genere forniscono ai militari Wa nuovi e preziosi punti d’appoggio a ovest del fiume Salween, che divide lo Shan in due da Nord a Sud.
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