di Claudio Martinotti Doria
L'esigenza di elevare l'età pensionabile a 67 anni è legittima, iniziativa per altro prevedibile ed attesa da anni da chiunque sia minimamente informato sulla situazione sociale ed economica del paese ed europea. Ma occorre che sia parte di una riforma organica, articolata e strutturale che porti un riequilibrio nel sistema, ed ad una maggiore equità
Personalmente ritengo si debba intervenire su tutte le pensioni e non solo parzialmente, e Le sarei grato se queste mie proposte pervenissero alla dirigenza dei vari ministeri con competenze in merito all'argomento.
La mia proposta prevede di pervenire gradualmente alla "somma o quota 100" (come meglio descritta in seguito) applicando i seguenti presupposti e premesse:
- l'eliminazione delle attuale "finestre" che rinviano di 12 mesi per i dipendenti e 18 mesi per i lavoratori autonomi l'erogazione della pensione al raggiungimento dei requisiti richiesti, per cui si deve andare in pensione al raggiungimento della somma o quota 100 (somma dell'età anagrafica e del numero di anni contributivi versati) senza altri trucchi, rinvii e postille ...
- il recupero agevolato degli anni che risultassero mancanti perché il datore di lavoro non ha effettuato i versamenti contributivi o perché non si era in grado di effettuarli per difficoltà finanziarie. Stante la buona fede dell'utente si deve provvedere a fornirgli la possibilità di effettuare i versamenti mancanti in forma rateizzata ed agevolata, senza penali ma anzi con riduzione degli importi dovuti
- la possibilità per chiunque di effettuare versamenti contributivi volontari all'INPS per potersi dotare di una pensione, anche se svolge attività non remunerate, come ad esempio coloro che si occupano delle famiglie, degli anziani non autosufficienti, dei malati cronici, dei portatori di handicap, ecc., con alcune agevolazioni e riduzioni in quanto svolgono un'attività di notevole valore e utilità sociale;
- la base di partenza per ogni pensione erogata deve essere quella che attualmente si definisce la "minima", dalla quale si deve partire per calcolare l'ammontare della pensione cui si è maturato il diritto. La pensione minima si deve considerare diritto acquisito nel momento in cui si è pervenuti a 20 anni di versamenti contributivi previdenziali, dal 21 anno di contribuzione le somme concorreranno ad aumentare la base pensionistica dalla somma minima erogabile in su ...
E' inaccettabile che vi siano attualmente situazioni per cui alcuni lavoratori autonomi dopo 20 o addirittura 35 anni di contribuzione non abbiano maturato il diritto alla pensione minima, quando in passato dipendenti pubblici sono andati in pensione con 15 anni e sei mesi di contribuzione ed attualmente percepiscono pensioni da 1200 euro mensili (e sono decenni che le percepiscono e continueranno a percepirle, mentre i lavoratori autonomi è probabile che le potranno godere solo pochi anni ...). A queste gravissime sperequazioni occorre porre rimedio, senza indugio.
Che siano stati per tutta la vita lavorativa collaboratori occasionali o a progetto, con contratti precari o atipici, non deve importare: la pensione minima deve essere garantita a tutti coloro che sono pervenuti ai 20 anni effettivi di versamenti contributivi, purché i periodi di interruzione (di disoccupazione) siano compensati con versamenti contributivi volontari agevolati ...
E' dovere politico e morale fornire basi certe per coloro che sono obbligati ad effettuare versamenti previdenziali, hanno il diritto di sapere che fine faranno il loro soldi versati all'INPS, in che modo saranno loro restituiti sotto forma di servizi ed erogazioni future, ALTRIMENTI SAREBBE MEGLIO NON FARGLIELI VERSARE E DIRE A TUTTI CHE OGNUNO SI ARRANGI COME PUÒ per provvedere alla propria vecchiaia, SAREBBE PIÙ ONESTO.
Io credo che la proposta cui ho fatto cenno, già avanzata da alcune parti sociali, della cosiddetta SOMMA 100, sia la più adeguata come riforma del sistema pensionistico, occorrerebbe cioè che per andare in pensione la somma dell'età anagrafica più il numero di anni di versamenti previdenziali effettuati desse come risultato 100. Ad esempio si potrebbe andare in pensione a 65 anni con 35 anni di contributi effettuati oppure a 63 anni con 37 di versamenti contributivi
E' probabilmente la riforma meno dolorosa e più efficace per ottenere risultati positivi in tempi brevi ed eliminando le sacche di privilegio ancora in essere. L'applicazione deve essere graduale ma non lenta, soprattutto si devono eliminare tutte le discriminazioni tutt'ora esistenti tra lavorato autonomi, dipendenti, e pubblici, cui si deve riservare uguale trattamento. Ad esempio adesso i lavoratori dipendenti possono andare in pensione a 60 anni di età con 35 anni di versamenti contributivi mentre quelli autonomi devono attendere i 61 anni. Ebbene entrambi dovrebbero poter andare in pensione alla stessa età, e quindi la riforma dovrebbe essere applicata dai 60 anni di età per entrambi, ogni due anni dovrebbe essere elevata l'età anagrafica di un anno, in modo che entro 10 anni si pervenga alla fatidica QUOTA 100, cioè entro il 2022 si deve poter essere a regime.
Oppure si potrà decidere di consentire di andare in pensione anche prima, ma l'erogazione in tal caso sarà proporzionale all'ammontare dei contributi effettivamente versati (quindi applicando il sistema contributivo), le pensioni saranno erogate mensilmente in base alle prospettive di vita (per cui la pensione sarà inevitabilmente di modesta entità se si andrà in pensione prima del tempo). Si dovrà cioè applicare un principio di proporzionalità e penalizzazione per chi decide di andare in pensione prima di aver raggiunto la quota 100.
Al tempo stesso occorre ridimensionare i privilegi concessi in passato, in tempi di gravissima crisi come quella attuale E' IMPENSABILE ED INGIUSTO CONSERVARE PRIVILEGI ANACRONISTICI frutto di tempi passati gestiti irresponsabilmente, come le pensioni baby o le super pensioni, entrambe devono essere limitate con riduzioni delle loro entità, anche significative, ad esempio riducendo di un 15-20 per cento le pensioni baby e ponendo un tetto alle superpensioni, ad esempio di 6 o 7000 euro.
Le pensioni sociali devono essere eliminate e sostituite da effettivi sostegni e servizi alle famiglie ed alle condizioni di vita di ogni singolo soggetto indigente, come avviene in altri paesi europei più civilizzati ed evoluti del nostro, leggetevi in proposito l'esaustivo articolo pubblicato su: http://temi.repubblica.it/micromega-online/se-anche-la-bce-fa-il-tifo-per-il-reddito-di-cittadinanza Del resto sarebbe anche ingiusto dal punto di vista economico ed etico fornire una pensione a coloro che non hanno mai effettuato alcun versamento contributivo e previdenziale o ne hanno effettuati ma irrisori, segnale inequivocabile di rifiuto ideologico delle istituzioni previdenziali oppure di evasione voluta e perseverante, essendo impossibile che un individuo non abbia mai lavorato nel corso dell'intera sua esistenza. Per coerenza questi individui non possono pretendere che lo stato provveda a loro erogando una pensione, se in precedenza non hanno mai aderito e contribuito al sistema previdenziale, altrimenti sarebbe l'ennesima manifestazione di parassitismo culturale e sociale.
Sarebbe infine opportuno fare in modo che non vi fossero sperequazioni (come avviene attualmente) tra i vari settori professionali, nella percentuale contributiva che deve essere versata all'INPS proporzionalmente al reddito, vi sono infatti categorie professionali che godono di eccessivi privilegi ed altre che sono penalizzate, arrivando anche a differenze triple nella percentuale contributiva obbligatoria (dall'8% fino al oltre il 30%).
Inoltre bisognerebbe eliminare le gestioni separate dell'INPS, come per i lavoratori precari, atipici, cioè i collaboratori occasionali e a progetto. Tali figure lavorative, nel corso di una vita professionale possono costituire fasi temporanee di lavoro in attesa di procurarsene un altro, e quindi è assurdo che sia gestito separatamente dall'INPS e concorra a formare una seconda pensione (che sarà probabilmente di modestissima entità). Sarebbe più saggio che potessero confluire in un'unica gestione e quindi in un'unica pensione, al momento che siano maturati i diritti, e che gli anni in cui si sono effettuati i versamenti contributivi come lavoratori atipici siano considerati alla strenua degli altri, concorrendo al calcolo degli anni contributivi cumulativi per maturare il diritto anagrafico alla pensione, ponendo eventualmente una soglia minima di versamento annuale (ad esempio 2000,00 euro annui).
Se non si interviene su questo equo percorso concettuale riformistico, si rischia di generare un diffuso senso di ingiustizia, malevolenza e frustrazione popolare che potrebbe sfociare in violenza e pericolosa conflittualità sociale, che renderebbe la situazione del tutto ingestibile, e porterebbe il paese all'ingovernabilità, un incubo che credo non gioverà a nessuno.
Inoltre è inutile nascondere il fatto che l'INPS si troverà fra non molto in gravi difficoltà gestionali se non si interverrà con una riforma previdenziale adeguata, che sia recepita come appropriata ed equa dalla cittadinanza.
Cordiali saluti