Le bombe che Israele ha sganciato su Gaza, oltre a mietere 42mila vittime accertate e quasi centomila feriti, continueranno ad uccidere ancora nel prossimo futuro. Come si legge su Al Jazeera, il bombardamento incessante sulla Striscia “ha scatenato un nemico mortale più silenzioso”, ovvero l’amianto. Il minerale in questione, che di per sé non comporterebbe grossi rischi per l’uomo, diventa altamente cancerogeno quando viene disperso e rilasciato nell’atmosfera. Ebbene, gran parte delle strutture di Gaza sono, o meglio erano, fatte anche di amianto. Nel corso dell’ultimo anno [come emerge dall’analisi satellitare condotta dall’Oregon State University] Israele ha raso al suolo oltre il 60% degli edifici dell’enclave. E le macerie prodotte, che secondo le stime delle Nazioni Unite sarebbero 800mila tonnellate, sono contaminate – anche se al momento è impossibile stabilirne la misura.
La frantumazione delle “enormi quantità di amianto in minuscole particelle nell’aria causa tumori a coloro che le respirano”, ed è per questo che l’esperto in materia, il professor Roger Willey, ha dichiarato che il lascito delle bombe sganciate a Gaza “sarà una condanna a morte per i palestinesi intrappolati nell’enclave”.
L’amianto dell’11 settembre
Di rilievo il paragone che lo stesso Willey ha utilizzato per far comprendere meglio la questione: “L’esposizione all’amianto delle persone coinvolte dopo ciascun bombardamento israeliano può essere confrontata con quella avvenuta a New York, al World Trade Center, dopo il crollo dell’11 settembre 2001”. Anche in quel caso, anni dopo l’accaduto, emerse che sostanze chimiche tossiche, tra cui l’amianto, erano presenti nelle nuvole di polvere. “All’epoca – continua il professor Willey – feci una previsione: più persone sarebbero morte per malattie legate all’amianto di quante ne morirono negli attacchi stessi”. E dunque, secondo il World Trade Center Health Program, 4.343 persone, tra sopravvissuti e soccorritori, sono morti per malattie correlate all’attacco, rispetto alle 2.974 persone morte l’11 settembre.
Il paragone con quanto avvenuto negli Stati Uniti nel 2001 è importante, perché “è stato uno dei pochi incidenti in cui si è potuta studiare approfonditamente l’esposizione all’amianto dopo un’esplosione”, ha dichiarato Liz Darlison, CEO della fondazione Mesothelioma UK [un ente di beneficenza inglese per il mesotelioma].
Per quanto “i pericoli immediati costituiti dai bombardamenti e dai combattimenti a terra abbiano la precedenza nella narrazione dei fatti”, c’è un altro aspetto da tenere in considerazione: il rischio a lungo termine, cioè, come dice Liz Darlinson, la “tragedia che si manifesterà negli anni a venire”.
I campi profughi di Gaza
Che l’amianto sia ampiamente presente a Gaza è una certezza e i documenti risalenti al 2009 dell’UNEP [il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente] lo confermano. “Nei campi profughi di Nuseirat [lo stesso bombardato a giugno da Israele, con un bilancio di 270 morti e 700 feriti] e di Jabalia [bombardato a più riprese nello scorso dicembre, marzo e settembre] sono state trovate grandi quantità di amianto blu (crocidolite)”, ovvero una delle tipologie più pericolose.
Inoltre, per via delle sue qualità isolanti e ignifughe, “l’amianto è stato utilizzato anche per tubature fognarie, capannoni e impianti per il bestiame”.
Nessuna via di fuga
Quale sarebbe la cosa migliore da fare per scampare al pericolo delle particelle di amianto disperse nell’aria? Il succitato professor Willey non ha dubbi: “L’unica salvezza sarebbe prendere un’auto e allontanarsi il più possibile”. Una soluzione preclusa ai due milioni di palestinesi presenti nella Striscia.
Un altro scenario possibile, ma altrettanto irrealizzabile, sarebbe quello di eseguire degli adeguati processi di bonifica, che tuttavia, sottolinea l’esperto, “possono richiedere anni e devono essere eseguiti da professionisti”. “Ci sono pezzi di amianto frantumati a terra […] e le persone ci camminano sopra, sollevando continuamente la polvere, quindi non tornerà mai a essere un ambiente sicuro finché tutto non sarà rimosso”, ha concluso Willey.
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