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"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Conflitto Israele Iran: Russia e la Cina cercano di influenzare gli sviluppi attraverso il dialogo diplomatico e la cooperazione economica

La strategia iraniana nel contesto del Medio Oriente riflette una complessa dinamica geopolitica, in cui Teheran, sotto costante pressione internazionale, ha scelto di adottare un approccio strategico basato sulla pazienza e su una visione a lungo termine. Israele, da parte sua, si trova in una situazione di crisi interna ed economica, aggravata dalla crescente migrazione di cittadini e dai problemi di governance, ma continua a cercare di provocare una risposta iraniana che possa giustificare un intervento diretto degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti, tuttavia, si trovano in una posizione difficile, tra l’obiettivo di contenere le ambizioni regionali dell’Iran e il rischio di innescare un conflitto che potrebbe avere conseguenze devastanti, soprattutto sul piano economico, con la possibile chiusura dello stretto di Hormuz e l’interruzione delle forniture petrolifere. In questo quadro, l’Iran ha risposto alle provocazioni israeliane con lanci mirati di missili, ma senza cercare un’escalation immediata, preferendo mantenere una postura prudente.

A livello regionale, la possibilità di una guerra su vasta scala tra Iran e Israele rimane concreta, ma è mitigata dalla presenza di attori globali come la Russia e la Cina, che cercano di influenzare gli sviluppi attraverso il dialogo diplomatico e la cooperazione economica piuttosto che con l’intervento militare diretto. Israele, pur essendo una potenza militare di primo piano, si trova isolata a livello internazionale e le sue azioni rischiano di compromettere ulteriormente la sua posizione, soprattutto se dovessero suscitare una risposta unita da parte del mondo arabo e islamico.

In questo contesto, il vertice dei BRICS rappresenta un’opportunità per i Paesi emergenti di rafforzare il multipolarismo e sfidare l’egemonia occidentale, ponendo nuove basi per un riequilibrio di potere a livello globale. Tuttavia, l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, farà di tutto per preservare il suo ruolo dominante, ricorrendo a ogni mezzo disponibile, incluse pressioni economiche e militari, per impedire che queste dinamiche si consolidino in modo definitivo.

Gli USA stanno favorendo un attacco israeliano all’Iran, che non vuole la guerra, sempre molto moderato e paziente nel tentativo di evitarla, nonostante le provocazioni israeliane

 

Guerra all'Iran: il sogno decennale dei neocon

Incombe l'attacco israeliano. Teheran è pronta a rispondere. Le domande sul terremoto registrato in territorio iraniano. Il documento Usa sulle difficoltà di una guerra contro l'Iran
 
 
Guerra all'Iran: il sogno decennale dei neocon Tempo di lettura: 5 minuti

Israele “è obbligato” a rispondere all’attacco iraniano, ha affermato Netanyahu. Su tale attacco, riportiamo quanto scrive Paul Pillar su Responsaible Statecraft: “La salva di missili iraniani della quale il prossimo attacco israeliano rappresenta una apparente rappresaglia è stata essa stessa una rappresaglia di precedenti attacchi israeliani. La rappresaglia della rappresaglia è una ricetta per un ciclo infinito di violenza”.

Biden is letting Israel trap the US into war with Iran Biden is letting Israel trap the US into war with Iran

“Gli Stati Uniti stanno facilitando un attacco a una nazione che non vuole la guerra e che è stata più che moderata nel tentativo di evitarla, di fronte alle ripetute provocazioni israeliane”, i cui picchi sono stati gli omicidi del leader di Hamas Ismail Haniyeh, a Teheran, e del leader di Hezbollah Hassan Narsallah, a Beirut.

Il sogno si avvera?

La risposta di Tel Aviv è ancora allo studio, ma arriverà; e l’Iran ha comunicato che ha già pronte 10 opzioni in risposta all’attacco israeliano… Sulla crisi incombente, l’ammonimento del leader del movimento libertario Ron Paul, in un articolo che titola così: “I neocon americani ottengono la loro guerra contro l’Iran mentre il Congresso dorme”.

American Neocons Get Their Iran War as Congress Sleeps

Questo l’incipit dell’articolo: “Nel weekend, il comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), generale Michael Kurilla, è sbarcato in Israele per ‘coordinarsi’ con l’esercito israeliano e pianificare un attacco militare contro l’Iran. Pensateci un attimo: uno degli ufficiali più alto in grado dell’esercito degli Stati Uniti sta pianificando una guerra in un paese straniero contro un altro paese straniero, guerra che sarà alimentata da armi americane, intelligence americana e dollari delle tasse americane”.

“[…] Dopo una guerra per procura mortale e inutile durata tre anni contro la Russia in Ucraina, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un’altra guerra in Medio Oriente, specialmente contro l’Iran. Ma non fatevi illusioni, la guerra è ciò verso cui andiamo […] I neocon hanno voluto questa guerra per decenni” e ora sembra che il loro sogno si stia finalmente realizzando.

Questa la conclusione di Ron Paul: “Stiamo camminando come sonnambuli verso una guerra catastrofica, cullati nell’obbedienza da una incessante propaganda mediatica. Altri miliardi saranno prosciugati dalla nostra economia e molte altre vite innocenti andranno perdute in questa follia. Quasi un quarto di secolo dopo non abbiamo ancora imparato le lezioni dell’11 settembre. Quando andiamo all’estero a scatenare caos e distruzione su popolazioni straniere che non ci hanno fatto nulla di male, creiamo nemici che cercheranno vendetta. Facciamo del male anche a noi stessi. E rischiamo reazioni”.

Terremoto, test atomico o altro?

Ha suscitato domande il terremoto registrato il 5 ottobre nella provincia iraniana di Semnan. Area desertica, nessuna vittima. Ma tanti analisti si sono chiesti se l’evento fosse legato a un test nucleare iraniano. Lo annota The Cradle, accennando ad alcuni indizi che potrebbero portare a credere che Teheran abbia sviluppato la tecnologia per fabbricare l’atomica.

Iran earthquake sparks speculation of covert nuclear weapons test

In realtà, appare più che improbabile, se non impossibile, nascondere a certi occhi tale enormità (come è più che improbabile che Russia o Cina possano fornire simili armi all’alleato).

Nondimeno è interessante la conclusione dell’articolo: “La Fondazione per la difesa della democrazia (FDD), un think tank legato a Israele con sede a Washington DC, nel 2019 ha pubblicato uno studio nel quale si affermava che l’Iran aveva avviato un programma per costruire siti sotterranei per test nucleari a partire dagli anni 2000, noto come ‘Progetto Midan'”.

“L’FDD ha affermato: ‘Utilizzando informazioni geospaziali comprovate e pubblicamente disponibili, abbiamo identificato un sito (in un’area a sud-est di Semnan) dove probabilmente sono stati realizzati test di esplosivi non nucleari sotterranei nel 2003 come parte dello sviluppo di metodi sismici per misurare la resa di un esplosivo nucleare sotterraneo'”.

Project Midan Developing and Building an Underground Nuclear Test Site in Iran

Ci porta a suppore che, più o meno impossibile l’atomica, è possibile, invece, che Teheran abbia sviluppato armi convenzionali ad alto potenziale, qualcosa di simile al “Padre di tutte le bombe” sovietico o alla “Madre di tutte le bombe” americano, ordigni che hanno una resa paragonabile a una bomba nucleare tattica. Ossessionati a scrutare indizi su un’eventuale l’atomica iraniana, agli occhi di cui sopra potrebbe essere sfuggito un progetto segreto alternativo.

Se ciò fosse vero, e se fosse vero che dietro il sisma si cela una violenta esplosione sotterranea, il test, sempre che ci sia stato, avrebbe uno scopo precipuo: dissuadere l’antagonista regionale dall’utilizzare le sue atomiche, un’opzione che aprirebbe scenari ad oggi inimmaginabili.

Gli Usa e la guerra difficile

Se l’America sarà trascinata in una guerra con l’Iran, ché Israele non può farla in solitaria, non sarà una passeggiata in stile Iraq. Lo rileva, tra gli altri, uno studio dell’ex generale Kenneth F. McKenzie, che ha coordinato la ritirata Usa dall’Afghanistan, realizzato per il Jewish Institute for National Security of America.

U.S Bases in the Middle East: Overcoming the Tyranny of Geography

Lo studio prende atto della “tirannia della geografia” e deplora la casuale disposizione delle basi americane in Medio oriente, create troppo a ridosso dell’Iran, cioè a portata del suo micidiale arsenale balistico.

Infatti, rileva lo studio, “ci vogliono solo cinque minuti o meno perché i missili lanciati dall’Iran raggiungano le basi” americane; e mentre “è molto difficile colpire in aria [un F-35]… a terra non è altro che un pezzo di metallo molto costoso e vulnerabile esposto al sole”. Stesso discorso vale per le infrastrutture necessarie per alimentare la macchina bellica in questione.

Peraltro, le “basi sono tutte difese da Patriot e altri sistemi difensivi. Sfortunatamente, a una distanza così ravvicinata dall’Iran, la capacità dell’attaccante di lanciare sciami di vettori in grado di sopraffare la difesa è molto reale”.

L’America, sintetizza il documento, “non sarà in grado di preservare tali basi in un conflitto a tutto campo, perché saranno rese inutilizzabili nel caso di un massivo attacco iraniano”.

Resta la possibilità di utilizzare le portaerei, ma secondo McKenzie, “non ci sono abbastanza portaerei”, così che l’aviazione della Marina può essere solo di supporto, non il fulcro dello sforzo bellico. Peraltro, va ricordato che le portaerei Usa non hanno brillato nello scontro contro i ribelli Houti dello Yemen…

Non si tratta di magnificare la potenza iraniana, solo di evidenziare che i costi di questa follia sarebbero alti per l’Impero, altissimi se consideriamo anche la chiusura dello Stretto di Hormuz, vitale per il traffico mercantile ed energetico.

Il logoramento derivante da un conflitto del genere supererebbe i benefici e andrebbe a detrimento della competizione che gli Usa hanno impegnato con Russia e Cina. Resta da vedere se l’America ascolterà quanti nel suo establishment conservano un residuo di lucidità.

Elezioni USA, l’unica certezza è che ci saranno brogli elettorali, in alcuni stati non occorre neppure un documento di identità, può votare chiunque

 

Elezioni USA, unica certezza i brogli

Manca un mese alle cruciali elezioni presidenziali americane e il dibattito, ovviamente, verte su chi le vincerà, Trump o Kamala Harris, che ha sostituito in corsa lo spompato Joe Biden. Dall’esito del voto dipenderanno moltissime cose per il mondo intero, tuttavia l’unica certezza è che vi saranno brogli. Dopo la contestata vittoria di Biden del 2020 vi furono documentate contestazioni in vari stati e i procedimenti giudiziari che ne sono scaturiti hanno rivelato frodi e irregolarità di vario genere. Nel 2000 la vittoria del repubblicano George Bush nei confronti del democratico Al Gore fu proclamata dopo un lungo braccio di ferro alla Corte Suprema sull’esito del voto in Florida. Venne alla luce una serie impressionante di falle del sistema: modalità di espressione del voto le più varie, dalle schede cartacee alle macchine elettroniche, da vecchi macchinari a schede perforate, sino al voto postale, a quello elettronico, e soprattutto l’inesistente aggiornamento degli aventi diritto al voto, l’inaffidabilità o inesistenza dei relativi elenchi

Su tutto, l’incredibile mancanza di una legge federale che imponga l’identificazione di chi si reca alle urne. Impressionante: la terra che si gloria della democrazia e pretende di esportarne in armi principi e modalità non è capace di svolgere il processo elettorale – il cuore stesso della democrazia rappresentativa- con garanzia di regolarità. La conclusione è che se qualcosa di evidente, conclamato, risolvibile per via tecnica e legislativa non riceve soluzione- anzi il problema si aggrava nel tempo- è segno che “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”. Insomma, la democrazia concreta e il suo esercizio nella fase elettorale, quella che decide il futuro in base al principio di maggioranza, è in America una falsa narrazione. Non solo per la prevalenza del potere del denaro, che rende difficilissimo non solo vincere , ma addirittura partecipare alle elezioni per chi ha scarsi mezzi e non gode dell’appoggio dei potenti. I brogli sono parte del sistema e l’apparato è volutamente disfunzionale.

L’ultimo caso è quello della California, il cui governatore democratico ha promulgato una legge che vieta di esigere l’ identificazione certa di chi si presenta ai seggi di votazione.  La motivazione è debolissima, una excusatio non petita che diventa una manifesta auto accusa di lavorare a frodi elettorali, nonché un attacco ai fondamenti della procedura, l’individuazione degli aventi diritto al voto.  In questo contesto, il rifiuto di richiedere l’identificazione è un attacco alle basi democratiche. “Per tutto dobbiamo avere una tessera, ma non per votare: questo è semplicemente assurdo”, ha commentato Trump. La nuova legislazione si allinea con un ampio movimento teso a eliminare i requisiti di identificazione degli elettori, in nome dell’ accessibilità e equità nel processo elettorale. Senza parole: senza controlli di identità, residenza, unicità del voto e perfino cittadinanza (!!!) si favorirebbe l’accessibilità e l’equità. Orwell al potere: l’inversione perfetta dei significati. “ Ora è illegale richiedere la carta d’identità elettorale in California! Hanno semplicemente reso illegale per legge la prevenzione delle frodi elettorali”, secondo Elon Musk

Non che i responsabili siano solo i democratici: le falle del sistema sono note a tutti da novant’anni e nessuno le ha mai affrontate. Già nel 1934 Joseph P. Harris, politologo e funzionario di commissione  elettorale, incaricato di studiare il funzionamento del sistema di voto americano, pubblicò un rapporto inequivocabile: “Probabilmente non c’è nulla , nella pubblica amministrazione degli Stati Uniti, tanto mal gestito quanto lo svolgimento delle elezioni. Ogni elezione porta alla luce irregolarità, errori ed equivoci da parte degli operatori elettorali, mancato rispetto delle leggi e dei regolamenti elettorali, pratiche pasticciate e vere e proprie frodi”.

Poco è cambiato da allora. Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2004 , l’ex presidente Jimmy Carter (democratico) , la cui fondazione ha studiato la sicurezza elettorale in tutto il mondo, richiesto scherzosamente se fosse disposto a controllare la qualità delle elezioni americane, rispose che se gli Stati Uniti fossero un paese straniero che gli chiedesse di supervisionare le proprie votazioni, sarebbe costretto a rifiutare , perché il sistema elettorale americano non è all’altezza degli standard internazionali. Nello stesso anno Carter e l’ex segretario di Stato James A. Baker (repubblicano) crearono una commissione il cui obiettivo era rendere più sicure le elezioni. La conclusione fu che “il sistema elettorale non può ispirare la fiducia del pubblico perché non esistono garanzie per scoraggiare o individuare le frodi”. Nel 2004, la presidente della Commissione elettorale del Sud Africa, durante una visita d’ispezione ai seggi in Florida, espresse il suo stupore: “Qui assolutamente tutto qui è una violazione “. Nel 2006, l’ex presidente della US Election Assistance Commission, organismo indipendente il cui ruolo include la certificazione delle macchine per il voto elettronico, denunciò il pericoloso dilettantismo che governa le elezioni americane. A causa del suo contenuto esplosivo, il rapporto fu vietato e solo successivamente pubblicato su Internet.

Nel 2012 analogo verdetto fu emesso da studiosi dell’ Università della California. “Non crediamo che esista una democrazia matura con un sistema elettorale pessimo come il nostro. “ La legge del 2002 ( Help America Vote Act ) richiede la presenza di una macchina per il voto elettronico in tutti i seggi elettorali. Ma non esiste nessun prototipo, nessuno standard o ricerca per costruire una macchina elettronica utilizzabile in sicurezza. Un micidiale commento fu : “sarebbe uno scandalo se ogni casa dovesse disporre di un forno a microonde senza che siano state sviluppate norme di sicurezza. Ma oggi sappiamo di più su come costruire una macchina per scattare foto delle rocce su Marte che su come costruire un’affidabile macchina per il voto elettronico. Se fossimo un paese straniero analizzato dagli Stati Uniti, concluderemmo che il paese è maturo per furti e frodi elettorali.”

Nel 2017, l’ Electoral Integrity Project, specializzato nello studio comparativo internazionale delle elezioni, ha classificato ventotto Stati democratici in base all’affidabilità dei rispettivi sistemi elettorali, utilizzando i dati delle votazioni tenute tra il 2000 e il 2012. Il risultato è stato indiscutibile: gli Stati Uniti occupavano l’ultimo posto. La frode elettorale è diffusa in tutti gli Stati. Hans von Spakovsky, ex membro della Commissione elettorale federale, si batte per migliorare la sicurezza delle elezioni statunitensi. Nel 2012, giunse a una triste conclusione: “Le frodi elettorali, siano esse la registrazione fraudolenta degli elettori, i voti illegali per corrispondenza, l’acquisto di voti, i conteggi discutibili o brogli elettorali vecchio stile come schede già compilate, possono essere osservati ovunque negli Stati Uniti”. Le misure di contrasto suggerite sono ovvie: mantenere liste elettorali accurate; richiedere un documento d’identità con foto per votare di persona e per posta; consentire agli osservatori qualificati l’ accesso illimitato allo spoglio;  vietare il conteggio dei voti anticipati prima del giorno delle elezioni; vietare che le macchine per il voto elettronico si connettano a Internet e siano dotate di modem;  impedire la modifica delle leggi elettorali nell’imminenza del voto; proibire ai funzionari elettorali di ricevere fondi privati ​​per finanziare l’organizzazione dei servizi.

L’OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) attraverso il proprio Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIDH), invia regolarmente osservatori per monitorare le elezioni. Nel rapporto sul voto legislativo del 2022, individuò ben trentuno carenze nel sistema elettorale statunitense, tredici delle quali gravi. Tra questi: mancata delimitazione delle circoscrizioni, finanziamento delle campagne elettorali, amministrazione elettorale, identificazione degli elettori, liste degli aventi diritto incomplete o non aggiornate, applicazioni e richieste di voto elettronico incontrollate e trasmesse solo via Internet, assenza di osservatori elettorali, dubbia pubblicazione dei risultati, mancata verifica degli stessi tramite audit, nessuna certificazione delle macchine per il voto elettronico, falle nel voto per corrispondenza e nelle leggi elettorali.

La frode elettorale è dunque un fenomeno reale, non una narrazione interessata, come vogliono far credere i principali media statunitensi. Il sistema americano è il peggiore tra  tutti gli stati democratici. Ma dopo le contestate elezioni presidenziali del 2020, le agenzie federali, i funzionari elettorali e i media mainstream hanno negato l’evidenza e ripetuto che le votazioni erano state “le più sicure della storia”. Nel frattempo il sistema giudiziario porta avanti il suo lavoro, e arrivano le prime condanne per brogli. Crediamo ancora nel sistema ? La scelta di chi decide le sorti del mondo non è nelle mani del popolo americano, ma di un radicato sistema di prevaricazione, orientamento fraudolento e finanche capovolgimento dell’esito elettorale.

Nessuno stupore, per chi osserva la realtà senza occhiali rosa. Prima lavorano per rendere difficile partecipare al processo elettorale, escludendo i poveri e i dissenzienti, poi inquinano la volontà popolare con il denaro e la propaganda ( una campagna presidenziale costa miliardi) infine riducono il rischio di scelte non gradite al sistema con procedure di votazione opache e conteggio di voti falsificabile. Cambiare è possibile solo attraverso un imponente moto di popolo. Stabilità , ovvero riproduzione eterna del sistema, è la parola chiave. Perché rischiare che le elezioni siano vinte da chi non piace alla gente che conta? Chi ha in mano tutte le carte è il baro perfetto. Democrazia, democrazia, è cosa vostra e non è mia. Purtroppo.

Elon Musk: Trump deve vincere per preservare la Costituzione e la democrazia in America.

“Abbiamo quattordici stati ora che non richiedono l’identificazione degli elettori, la California, dove vivevo, ha appena approvato una legge che vieta l’identificazione degli elettori per votare… Non riesco ancora a credere che sia vero. Quindi come si suppone che si possano avere delle buone elezioni se non c’è un documento d’identità, è semplicemente privo di significato. E la libertà di parola, la libertà di parola è il fondamento della democrazia. E se le

persone non sanno cosa sta succedendo, se non conoscono la verità, come puoi, come puoi esprimere un voto informato? Devi avere la libertà di parola per avere la democrazia. Ecco perché è il primo emendamento. E il secondo emendamento è lì per garantire che abbiamo il primo emendamento. Il presidente Trump deve vincere per preservare la Costituzione. Deve vincere per preservare la democrazia in America.”

Elon Musk: “14 stati non chiedono  il documento di identità a chi vota”

Former President Donald Trump hugs Elon Musk at a campaign rally at the Butler Farm Show on October 5, 2024, in Butler, Pennsylvania.

“Abbiamo quattordici stati ora che non richiedono l’identificazione degli elettori, la California, dove vivevo, ha appena approvato una legge che vieta l’identificazione degli elettori per votare… Non riesco ancora a credere che sia vero. Quindi come si suppone che si possano avere delle buone elezioni se non c’è un documento d’identità, è semplicemente privo di significato.

E la libertà di parola, la libertà di parola è il fondamento della democrazia. E se le persone non sanno cosa sta succedendo, se non conoscono la verità, come puoi, come puoi esprimere un voto informato? Devi avere la libertà di parola per avere la democrazia. Ecco perché è il primo emendamento. E il secondo emendamento è lì per garantire che abbiamo il primo emendamento. Il presidente Trump deve vincere per preservare la Costituzione. Deve vincere per preservare la democrazia in America.”

Confermata la notizia che l’IDF utilizza i soldati ONU in Libano come scudi umani per limitare le perdite inflitte dagli Hezbollah

 

Finalmente i nostri soldatini UNIFIL servono. Come scudi umani

Ieri Hezbollah aveva denunciato che alla periferia di Maroun al-Ras, nel Libano meridionale, l’esercito invasore israeliano aveva fatto delle manovre nascondendosi dietro le postazioni dell’UNIFIL, utilizzando di fatto i soldati delle forze internazionali come scudi umani. Per questo motivo la Resistenza aveva deciso di pazientare e non compiere operazioni militari.

Oggi, a conferma della dichiarazione di Hezbollah, un soldato irlandese della forza ONU nel Libano centro-meridionale ha rilasciato una foto che mostra come i carri armati Merkava abbiano scavato posizioni difensive e offensive all’interno della base irlandese e tra i suoi edifici e veicoli.

Secondo Hezbollah Israele sta cercando di usare le forze internazionali UNIFIL come scudi umani per nascondere il suo fallimento nell’avanzare verso il villaggio, soprattutto dopo i suoi falliti e ripetuti tentativi su più di un asse per progredire verso Maroun al-Ras.

Notizie dall’Iran islamico e rivoluzio

Chi non compra un’auto elettrica è una persona più intelligente dei burocrati e politici che hanno concepito il progetto e sbagliato tutti i calcoli iniziali

 

Chi non compra un’auto elettrica è una persona intelligente

miglioverde

 

di FORTUNATO NARDELLI

Le auto elettriche non si vendono. Gli ambientalisti lo ritengono un disastro, ma non sanno che, anche se si vendessero, il crack sarebbe solo rimandato. Perché? Perché attivisti e anche produttori di auto dimostrano di non saper usare i numeri e la scienza. Vediamo.

Si prevede che nel 2035 tutte le auto prodotte siano elettriche e, nel 2050, tutto il parco auto sia elettrico. Se proiettiamo su scala mondiale questo obiettivo (parco attuale di 1.400.000.0000 auto) abbiamo quanto segue. Secondo la previsioni Mckinsey nel 2030 si sarebbero dovute vendere 40 milioni di auto cioè il 28,5% delle vendite totali (vedi qui).

Partiamo da questo numero per proiettare i dati di produzione fino al 2050, partendo dall’assunto (ormai improbabile) che dal 2035 tutte le auto vendute saranno elettriche.

In questa ipotesi paragoniamo le riserve con la quantità cumulata di minerale necessaria. In rosso i valori che eccedono le riserve. Per esempio a partire dal 2042 il Cobalto richiesto (8,53+06 Ton) supera le riserve (7,6+06 Ton). Dal 2046 mancheranno Litio e Nichel.

Qui sotto è paragonata la produzione annua necessaria con le richieste annue. A partire dal 2022 le quantità di Litio superano la produzione del 2019. Dal 2034 Ni, Li, Co, e Grafite supereranno di non poco la produzione annua di riferimento del 2019.

In conclusione, anche senza le batterie di stoccaggio, i minerali necessari per le batterie delle auto elettriche sono in grave carenza. E’ facile prevedere una corsa all’accaparramento di questi materiali preziosi, con conseguente aumento dei prezzi.

Non avremo risolto granché dal punto di vista delle emissioni perché le auto elettriche provocheranno un aumento del 40% dell’energia elettrica per le ricariche, e le fonti fossili non potranno essere eliminate per le ragioni già spiegate sull’intermittenza.

Gli obbiettivi fissati per il 2035 e il 2050 si rivelano tutti irrealizzabili, e mostrano di essere un trampolino di lancio verso qualcosa di diverso dalla soluzione dichiarata.

Non comprando auto elettriche, la gente si mostra più intelligente di burocrati e industriali. (FONTE)

L’avanzata delle forze russe risulta inarrestabile e le truppe ucraine sono ormai in completa ritirata dal Donbass.


Le forze armate russe hanno fatto a pezzi il gruppo nemico a Toretsk, raggiungendo il centro e i quartieri occidentali


Fonti ucraine scrivono che “le truppe russe sono entrate nella parte orientale di Toretsk”. Questo riconoscimento da parte dei media ucraini è arrivato con circa un mese di ritardo, per il semplice motivo che le forze armate russe operano già da molto tempo nella parte orientale della città, mentre ora sono già in corso dei progressi nella parte occidentale.

A partire dalla mattina dell’8 ottobre, le forze armate russe hanno tagliato il gruppo nemico a Toretsk (Dzerzhinsk), prendendo il controllo non solo dei quartieri orientali, ma anche della “linea mediana”, ovvero la Via Centrale. I combattimenti si svolgono nella parte centrale della città, anche all’esterno degli edifici amministrativi.

Secondo gli ultimi dati, diverse unità ucraine operanti a Toretsk, dopo aver subito perdite significative, hanno lasciato le loro posizioni all’interno della città e si stanno ritirando verso ovest. Allo stesso tempo, la ritirata si è “diretta” verso Leonidovka, che recentemente è stata sotto il controllo delle forze armate russe. Di conseguenza, durante la ritirata, anche le unità ucraine sono finite sotto il fuoco del contrattacco proveniente dalla periferia occidentale di Toretsk.

In effetti, nella città e nei suoi dintorni, le forze armate russe hanno formato diversi sacchi antincendio contemporaneamente. E se il nemico cerca di “indugiare” in ciascuno di essi, allora questo potrebbe finire male per lui, ad esempio con l’accerchiamento e la completa distruzione.

Nota: L’avanzata delle forze russe risulta inarrestabile e le truppe ucraine sono ormai in completa ritirata dal Donbass. Sempre più ambienti occidentali chiedono a Zelensky di trattare un negoziato con la Russia per porre fine alla carneficina dei soldati ucraini.

Fonte: Top War

Traduzione: Luciano Lago

Alcune unità israeliane in Libano hanno preso scudi umani dalle truppe UNIFIL per sottrarsi agli attacchi degli Hezbollah


Ufficiale militare di Hezbollah: le forze di occupazione israeliane prendono scudi umani dalle truppe UNIFIL

Un ufficiale militare di Hezbollah ha dichiarato alla TV Al-Mayadeen che domenica i combattenti della Resistenza islamica hanno segnalato di aver monitorato un insolito movimento delle forze di occupazione israeliane dietro un sito militare dell’UNIFIL alla periferia della città di confine di Maroun Al-Ras, nel Libano meridionale.

La Camera operativa della Resistenza islamica ha chiesto ai combattenti di essere pazienti e di evitare di attaccare il movimento per preservare la vita dei soldati delle forze internazionali.

Il nemico israeliano sta cercando di usare le forze internazionali UNIFIL come scudi umani per nascondere il suo fallimento nell’avanzare verso il villaggio, soprattutto dopo i ripetuti tentativi falliti su più di un asse di avanzare verso Maroun Al-Ras e la perdita di decine di suoi soldati, tra morti e feriti.

La Resistenza Islamica di Hezbollah ha intensificato le sue operazioni militari nel primo anniversario dell’Operazione Al-Aqsa Flood, prendendo di mira i siti israeliani lungo il confine libanese con la Palestina occupata, così come le basi militari e gli insediamenti più in profondità. Questa azione rappresenta un sostegno incrollabile per i palestinesi resilienti a Gaza e la loro resistenza, salvaguardando allo stesso tempo il Libano e i suoi cittadini.

Fonte: Al-Manar

Traduzione: Fadi Haddad

L’intero progetto dell'Unità d'Italia fu diretto dalla massoneria britannica, vero collante del Risorgimento, un processo di colonizzazione

 

Truffa dell’Unità d’Italia: Garibaldi Ladro di Cavalli e dell’Oro del Banco di Napoli

di Enrico Novissimo

Il processo di Unità di Italia ha visto come protagonisti una sfilza di uomini più o meno celebri, i cosiddetti padri del Risorgimento. Dal nord al sud Italia ogni piazza o via principale si fregia di nomi “illustri”: Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele etc.

Il popolo viene indottrinato fin dalla più tenera età a considerare costoro dei veri eroi, gli artisti li raffigurano esaltando il loro valore in maniera da rafforzare il mito che li circonda. Innumerevoli sono infatti le opere d’arte che ritraggono l’eroe dei due Mondi ora a cavallo… ora in piedi che impugna alta la sua spada, alcune volte indossa la celebre camicia rossa… altre volte si regge su un paio di stampelle come un martire.

Tuttavia un ritratto che di certo non vedremo mai vorrebbe il Gran Maestro massone, Giuseppe Garibaldi, privo dei lobi delle orecchie. E dire che nessuna raffigurazione potrebbe essere più realistica poiché al nostro falso eroe furono davvero mozzate le orecchie, la mutilazione avvenne esattamente in Sud America, dove l’intrepido Garibaldi fu punito per furto di bestiame, si vocifera infatti che fosse un ladro di cavalli. Naturalmente nessuna fonte ufficiale racconta questa vicenda.

È dunque lecito chiedersi quante altre accuse infanghino le gesta degli eroi risorgimentali. Quante altre macchie vennero lavate a colpi d’inchiostro da una storiografia corrotta e pilotata? Ma soprattutto quale fu il ruolo dei banchieri Rothschild nel processo di Unità d’Italia?

La Banca Nazionale degli Stati Sardi era sotto il controllo di Camillo Benso conte di Cavour, grazie alle cui pressioni divenne una autentica Tesoreria di Stato. Difatti era l’unica banca ad emettere una moneta fatta di semplice carta straccia. Inizialmente la riserva aurea ammontava ad appena 20 milioni ma questa somma ben presto sfumò perché reinvestita nella politica guerrafondaia dei Savoia. Il Banco delle Due Sicilie, sotto il controllo dei Borbone, possedeva invece un capitale enormemente più alto e costituito di solo oro e argento, una riserva tale da poter emettere moneta per 1.200 milioni ed assumere così il controllo dei mercati.

Cavour e gli stessi Savoia avevano ormai messo in ginocchio l’economia piemontese, si erano indebitati verso i Rothschild per svariati milioni e divennero in breve due burattini nelle loro mani. Fu così che i Savoia presero di mira il bottino dei Borbone. La rinascita economica piemontese avvenne mediante un operazione militare espansionistica a cui fu dato il nome in codice di Unità d’Italia, un classico esempio di colonialismo sotto mentite spoglie. L’intero progetto fu diretto dalla massoneria britannica, vero collante del Risorgimento. Non a caso i suddetti eroi furono tutti rigorosamente massoni.

La storia ufficiale racconta che i Mille guidati da Giuseppe Garibaldi, benché disorganizzati e privi di alcuna esperienza in campo militare, avrebbero prevalso su un esercito di settanta mila soldati ben addestrati e ben equipaggiati quale era l’esercito borbonico. In realtà l’impresa di Garibaldi riuscì solo grazie ai finanziamenti dei Rothschild, con i loro soldi i Savoia corruppero gli alti ufficiali dell’esercito borbonico che alla vista dei Mille batterono in ritirata, consentendo così la disfatta sul campo.

Dunque non ci fu mai una vera battaglia, neppure la storiografia ufficiale ha potuto insabbiare le prove del fatto che molti ufficiali dell’esercito borbonico furono condannati per alto tradimento alla corona. Il sud fu presto invaso e depredato di ogni ricchezza, l’oro dei Borbone scomparve per sempre. Stupri, esecuzioni di massa, crimini di guerra e violenze di ogni genere erano all’ ordine del giorno.

L’unica alternativa alla morte fu l’emigrazione. Il popolo cominciò a lasciare le campagne per trovare altrove una via di fuga. Ben presto il malcontento generale fomentò la ribellione dei sopravvissuti, si trattava di poveri contadini e gente di fatica che la propaganda savoiarda bollò con il dispregiativo di “briganti”, così da giustificarne la brutale soppressione.

A più di 160 anni di distanza si parla ancora di “questione meridionale”. Anche i più distratti scoveranno diverse analogie con quella che fino a ieri veniva definita “questione palestinese”. Stesse tecniche di disinformazione, stesse mire espansionistiche e soprattutto stesse famiglie di banchieri.

Solo che un tempo gli oppressi erano chiamati briganti… oggi invece sono cattivi terroristi.

Articolo di Enrico Novissimo

Fonte: https://edizionisicollanaexoterica.blogspot.com/2012/02/la-truffa-dellunita-ditalia-dal-ladro.html

In tutto il mondo le piazze si sono riempite in solidarietà con la Palestina, nonostante divieti e repressione in Occidente

 

 

In tutto il mondo le piazze si sono riempite in solidarietà con la Palestina

Ad un anno dagli attacchi delle sigle della resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana, al quale è seguito il genocidio tutt’ora in corso nella Striscia di Gaza portato avanti su volontà del governo di Tel Aviv, nel finesettimana in tutto il mondo le piazze e le strade si sono riempite in solidarietà con il popolo palestinese, per chiedere la fine del massacro della popolazione civile tanto in Palestina quanto in Libano e in tutto il Medio Oriente. Sono decine di migliaia le persone che hanno protestato, da Parigi a Città del Capo, passando per la grande manifestazione di Roma e arrivando fin negli Stati Uniti e in Australia. Oltre al sostegno alla popolazione civile e alle critiche contro Israele, è forte anche la rabbia delle piazze contro il governo statunitense, principale alleato di Tel Aviv nel massacro in corso.

Circa 40 mila persone hanno rimepito le strade di Londra nella giornata di sabato, sventolando decine di bandiere palestinesi e cartelloni con messaggi di pace. Nonostante la protesta si sia svolta in modo per lo più pacifico, la polizia ha riferito di aver arrestato 17 persone. Immagini simili a quelle di Londra sono giunte da Parigi e da Madrid, dove i manifestanti hanno portato con sè anche bandiere libanesi. A Berlino, la polizia ha caricato con violenza i manifestanti che stavano marciando per le strade della città, con scene simili a quelle alle quali abbiamo assistito per la manifestazione di sabato a Roma – dove, nonostante il divieto delle autorità, almeno diecimila cittadini hanno marciato sotto la pioggia.

Oltre alle principali piazze europee, manifestazioni in solidarietà con il popolo palestinese e libanese si sono svolte in tutte le maggiori città del mondo. Un delle più partecipate si è svolta a Rabat, in Marocco, dove decine di migliaia di cittadini si sono riversati nelle strade per protestare anche contro la normalizzazione dei rapporti con Israele, avvenuta con la firma degli Accordi di Abramo del 2020. Domenica, migliaia di persone, per lo più vestite in bianco e nero e con addosso una kefiah, si sono radunate di fronte all’ambasciata statunitense di Giacarta, per protestare contro il doppio standard di Washington. «Mentre segnamo un anno del genocidio in corso, dobbiamo ricordare come tutto questo non è iniziato il 7 ottobre dell’anno scorso. Questo è iniziato più di 70 anni fa, e dobbiamo sottolineare che la colonizzazione che ha avuto luogo deve arrivare alla sua fine» hanno dichiarato i manifestanti. La solidarietà con il popolo palestinese si è fatta sentire anche a Manila, dove la popolazione ha accusato il governo statunitense di complicità nel genocidio in atto a Gaza e hanno chiesto al governo delle Filippine di smettere di acquistare armi da Israele. I manifestanti hanno tentato di arrivare di fronte all’ambasciata USA, ma sono stati fermati dalle forze dell’ordine. A Washington, centinaia di persone si sono radunate all’esterno della Casa Bianca, chiedendo che il governo smetta di inviare armi a Israele. Qui, un uomo ha anche cercato di darsi fuoco, ma è stato immediatamente raggiunto dalle forze dell’ordine e da altri manifestanti. E iniziative di protesta hanno avuto luogo anche a Los Angeles, Caracas, Santiago del Cile, Città del Capo, Sidney e molte altre.

L’aggressione israeliana, iniziata lo scorso anno in risposta agli attacchi della resistenza palestinese, arriva proprio oggi a compiere un anno di durata. Il bilancio delle vittime civili accertate nella Striscia di Gaza è di 42 mila, delle quali poco meno della metà sono bambini. La cifra reale potrebbe tuttavia essere molto più alta, considerato l’alto numero di cadaveri ancora seppelliti dal crollo degli edifici e di persone scomparse. Sono quasi due milioni gli sfollati interni, costretti a vivere in una porzione di territorio equivalente a circa il 14% della Striscia (il restante 86% è sottoposto a ordini di evacuazione da parte di Israele). Le persone vivono un catastrofico livello di insicurezza alimentare e sanitaria, dal momento che la maggior parte delle strutture mediche sono inagibili e che le malattie si diffondono rapidamente. E la situazione si aggrava ogni giorno di più, con gli attacchi in Cisgiordania che si fanno di giorno in giorno più intensi. Israele ha poi allargato il proprio fronte al Libano, dove i bombardamenti sulla capitale Beirut proseguono senza sosta insieme agli ordini di evacuazione di decine di altre località, mentre l’escalation con l’Iran promette di aggravarsi di ora in ora.

[di Valeria Casolaro]

Il declino dell'egemone e le fantasie della "controinformazione" filo-trumpiana. Un'accurata esaustiva analisi di Giacomo Gabellini

 

Giacomo Gabellini - Il declino dell'egemone e le fantasie della "controinformazione" filo-trumpiana


https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-giacomo_gabellini__il_declino_dellegemone_e_le_fantasie_della_controinformazione_filotrumpiana/5871_57038/

Nel corso degli ultimi anni, anche grazie al successo di determinate operazioni di guerra psicologica, in numerosi ambienti della "controinformazione" si è largamente diffusa una stucchevole agitazione propagandistica che vedrebbe l'ex Presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump come una figura politica "antisistema" e "pacifista" all'interno del panorama politico degli USA, che non ha mai scatenato nuove guerre, impegnata in un eterno conflitto con il "Deep State", rappresentato da Soros, Biden, Clinton, Kamala Harris e più in generale dall'ala "liberal" dell'establishment statunitense.

I recenti attentati falliti contro l’ex Presidente da parte di estremisti filo-Kiev hanno contribuito ad alimentare tale mito.  Il tycoon è visto come l’unica figura in grado di porre fine all’escalation della guerra per procura della NATO in Ucraina contro la Federazione Russa e di garantire la pace.

Ma è realmente così?

Per capirlo, bisognerebbe analizzare quella che è stata la prima parusia messianica di Trump.

Se l'amministrazione Trump ha avuto un merito, è stato quello di mostrare al mondo intero il volto reale, nudo e crudo, della "democratica e libera" America. Basti pensare a come l'ex presidente non abbia esitato a definire l'Europa come un "nemico" (https://www.bbc.com/news/world-us-canada-44837311), mettendo bene in evidenza lo status di subordinazione neocoloniale del continente europeo nei confronti del proprio padrone d'oltreoceano ed il fatto che qualsiasi forma di "integrazione" europea sia percepita dagli Stati Uniti come una minaccia qualora non strettamente controllata da Washington. A tal proposito, coloro che, ignoranti di tale realtà geopolitica, esprimono il desiderio che Donald Trump sia eletto nuovamente come Presidente affinchè possa "liberare" l'Europa e l'Italia, oltre ad addentrarsi nella fantageopolitica, mettono altresì in evidenza l'autocolonialismo degli europei e il loro atteggiamento di sottomissione "psicologica" agli occupanti statunitensi. Non a caso, il Presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar al-Assad descrisse il miliardario newyorkese come "il più trasparente tra i presidenti degli Stati Uniti" (https://www.politico.com/news/2019/11/01/syria-assad-trump-best-president-063765), dopo che quest'ultimo ammise apertamente che l'occupazione militare statunitense dei territori nord-orientali della Siria, con l'ausilio delle milizie separatiste curde addestrate dal Pentagono, fosse diretta ad assicurare il controllo delle risorse petrolifere del Paese arabo (poi vendute illegalmente all'entità sionista tramite il magnate israeliano Mordechai Kahana, in ottimi rapporti con John McCain) e ad impedirne così la ricostruzione post-bellica. Nello stesso senso si mossero le dichiarazioni della Guida della Rivoluzione Islamica, l'Imam Khamenei: "Noi apprezziamo Trump, perchè ha fatto il lavoro per noi rivelando la vera faccia dell'America" (https://english.khamenei.ir/news/4617/We-thank-Trump-for-exposing-the-reality-of-the-U-S-Ayatollah).

Se si analizza l'operato dell'amministrazione Trump, si può notare tranquillamente come quest'ultima si sia mossa in sostanziale continuità con la precedente amministrazione Obama; lo stesso discorso vale per l'attuale amministrazione Biden con la precedente amministrazione Trump, come spiegherò successivamente.

Obama, con la sua strategia del "leading from behind", in un momento di iniziale e progressivo esautoramento dell'egemonia unipolare statunitense a livello mondiale, era giunto alla conclusione che il mero impiego della forza militare diretta non era più nè sufficiente nè adeguato a garantire l'egemonia USA: tant'è vero che la strategia obamiana si concentrò fortemente sull'utilizzo di alleati regionali, coinvolgendoli in guerre per procura, forze mercenarie e formazioni terroristiche eterodirette dai servizi segreti nordamericani e, spesso, israeliani e sauditi al fine di generare la destabilizzazione di diverse aree del mondo, come accaduto in Siria, Libia, Yemen ed Ucraina.

Ad un occhio attento non sfugge come l'amministrazione Trump abbia portato avanti la medesima strategia: con il celebre discorso del Cairo, Obama inaugurò una nuova fase della strategia nordamericana per il Medio Oriente; questa strategia consisteva nel consolidamento dell'egemonia atlantica sul mondo arabo, coinvolgendo i regimi del Golfo in un ampio fronte anti-iraniano e nella collaborazione con il regime sionista a tal fine. La politica mediorientale di Trump è stata incentrata proprio su tale prospettiva, attraverso gli Accordi di Abramo, volti a garantire la saldatura di un'alleanza sotto il profilo economico, militare e di intelligence tra il regime sionista e le monarchie arabe in chiave anti-iraniana, e gli accordi-truffa del secolo, con la supervisione del genero ebreo sionista Jared Kushner (amico di famiglia del genocida Netanyahu), che hanno riconosciuto le colonie sioniste in Cisgiordania, dopo aver già riconosciuto la sovranità sionista su Gerusalemme trasferendovi l'ambasciata USA (con tanto di Mike Pompeo che approvava i piani sionisti di distruzione della Moschea di al-Aqsa e ricostruzione del Terzo Tempio, una delle ragioni che hanno portato all'Operazione Tempesta di al-Aqsa) e sulle alture del Golan siriano, e prevedevano la formazione di una pseudo-entità statale palestinese priva di qualsiasi sovranità ed a macchia di leopardo, condannando il popolo palestinese all'insignificanza, altra ragione fondamentale che ha spinto Hamas ad agire il 7 ottobre per riportare la causa palestinese al centro del dibattito internazionale.

Rimanendo nello scacchiere mediorientale, la presidenza di Trump ha visto l'intensificazione del sostegno logistico-militare alla criminale aggressione saudita contro lo Yemen, l'imposizione del Caesar Act alla Siria (oltre che il bombardamento di Douma e l'occupazione del territorio nord-orientale della Repubblica Araba), che tutt'ora strangola un popolo già devastato da 13 anni di aggressione condannandolo alla miseria (https://www.marx21.it/internazionale/risultati-preliminari-della-visita-nella-repubblica-araba-siriana-del-relatore-speciale-sullimpatto-negativo-delle-misure-coercitive-unilaterali-sul-godimento-dei-diritti-umani-della-dr-alena-douh/), la cancellazione unilaterale dell'accordo nucleare con l'Iran (con il plauso israeliano e saudita), i cui termini, ad onor del vero, non furono minimamente rispettati da Obama ed erano volti unicamente a temporeggiare, la strategia della "massima pressione" e quindi l'imposizione di un regime sanzionatorio criminale a Teheran, che, oltre a colpire gravemente il popolo iraniano, ha anche provocato enormi perdite economiche all'Europa, tant'è che la sola Italia ha perso quasi 30 miliardi in commesse commerciali, e soprattutto l’assassinio del generale Qassem Soleimani, in missione diplomatica a Baghdad per ristabilire i contatti tra l'Iran e l'Arabia Saudita; un vero e proprio atto di terrorismo internazionale che ha violato ogni trattato e che ha fatto comprendere agli attori principali del multipolarismo l'impossibilità di dialogare con gli USA per lo sviluppo di un nuovo ordine multipolare, dando inizio all'attuale "guerra mondiale a pezzi" (per usare le parole di Papa Francesco).

Centrale nella geopolitica trumpiana è stata la dottrina obamiana del "Pivot to Asia", inaugurata nel 2008, e decisamente rafforzata attraverso l'aumento esponenziale della vendita di armi al regime fantoccio di Taiwan e delle operazioni militari USA nel Mar Cinese Meridionale, lo scatenamento di una vera e propria guerra commerciale e doganale contro Pechino (ora continuata da Biden, senza successi) e la destabilizzazione di Hong Kong e delle principali arterie della Via della Seta, come l'Asia Centrale, la Thailandia, il Libano e la Bielorussia; a questo si collegano anche le reiterate pressioni nei confronti di Pechino sulla questione dello Xinjiang (ma anche i già citati Accordi di Abramo), fondamentale per la Via della Seta, culminate con la rimozione del Movimento Islamico del Turkestan Orientale dalla lista dei gruppi terroristici stipulata dal governo statunitense e portate avanti anche attraverso l'intensificazione della propaganda relativa al presunto "genocidio degli uiguri" da parte di numerosi personaggi e media legati al trumpismo, come l'Epoch Times. Di recente la Reuters ha rivelato come Trump abbia autorizzato la CIA e il Pentagono a lanciare campagne di disinformazione contro il governo di Pechino (https://www.reuters.com/investigates/special-report/usa-covid-propaganda/, https://www.reuters.com/world/us/trump-launched-cia-covert-influence-operation-against-china-2024-03-14/). Inoltre, gli USA hanno puntato soprattutto sull'India di Modi nel tentativo (portato avanti anche da Biden ma di fatto rimasto sulla carta) di spostare la propria produzione manifatturiera dalla Cina a Nuova Delhi, per farne un rivale strategico di Pechino nel continente asiatico, sotto l'egida nordamericana.

Ma narrazione fantasiosa più amata sia dai media liberal sia dalla "controinformazione" filo-trumpiana è quella che ritrae il tycoon statunitense come un fervido amico della Russia di Vladimir Putin (ricordare la bufala del "Russiagate"), secondo gli "antisistema" in nome di un sedicente conservatorismo cristiano contro le "èlite globaliste" (descritte dai trumpisti come alleate della Cina comunista). Peccato che tra le grandi imprese della prima parusia di Zion Don si annoveri la messa in moto dell'Iniziativa Tre Mari (storicamente di matrice nazionalista polacca), altra eredità dell'obamismo volta a costruire un cordone sanitario ai confini occidentali della Russia, andata di pari passo con l'ampliamento della NATO, l'uscita unilaterale dall'Intermediate Range Nuclear Forces Treaty, e a tal proposito occorre ricordare che l'eventualità che gli USA potessero piazzare missili a medio raggio in Ucraina a quattro minuti di volo da Mosca è una delle ragioni fondamentali che hanno spinto Putin all'avvio dell'Operazione Militare Speciale del 24 febbraio, gli sforzi per sabotare la realizzazione del gasdotto Nord Stream-2, intensificando le pressioni diplomatiche sul governo di Berlino, predisponendo una serie di sanzioni contro tutte le imprese coinvolte nella costruzione del gasdotto, con il plauso dei governi russofobi dell'Europa orientale, e inviando la prima fornitura di GNL americano verso la Polonia, e l'invio di 250 milioni di dollari in aiuti militari al regime golpista neonazista di Kiev, nel momento di maggiore recrudescenza dell'aggressioni contro le Repubbliche del Donbass: nel 2017 gli USA vendettero per la prima volta armi letali a Kiev. L'amministrazione Trump ha intensificato le tensioni con Mosca più di ogni altra amministrazione precedente dalla caduta del Muro di Berlino: ai fatti già elencati vanno aggiunti gli attacchi a partner russi come Siria e Venezuela, l’attuazione della revisione della postura nucleare, costringere RT e Sputnik a registrarsi come agenti stranieri, le infiltrazioni della rete elettrica russa, l'espulsione di decine di diplomatici e la nomina del falco antirusso Kurt Volker a rappresentante speciale in Ucraina.

Per concludere, altri "successi" dell'amministrazione Trump includono l'embargo contro il Venezuela bolivariano e il fallito tentativo golpista dell'Operazione Gedeone, volto a detronizzare Maduro in favore del burattino Guaidò, il primato di ordigni sganciati sull'Afghanistan e di civili uccisi e l'espansione del budget militare USA: a tal proposito, occorre ricordare come nel 2016 Trump promise di sciogliere la NATO, ma invece, una volta insediatosi, impose a tutti i suoi membri di destinarle il 2% del PIL ogni anno.

Insomma, è abbastanza chiaro come Trump non sia nè un amico della Russia, nè un pacifista nè fondamentalmente diverso dagli altri presidenti nordamericani. Geopoliticamente parlando, il trumpismo si è mosso in assoluta continuità con le amministrazioni precedenti, applicando la consueta strategia USA: esacerbare le tensioni internazionali per garantire profitti al complesso militare-industriale nordamericano, far fluire i capitali finanziari internazionali negli Stati Uniti e costruire blocchi di contrapposizione tra l'Europa ed il resto dell'Eurasia.

Il centro imperiale USA è caratterizzato dalla presenza di un complesso militare-industriale che persegue delle precise finalità geopolitiche e si muove in una data direzione a prescindere dalla figura del Presidente, a cui si tende ad attribuire eccessivo potere. Quello che viene presentato come scontro tra Trump e il Deep State è in realtà uno scontro interno tra diverse strategie e fazioni, esistente negli USA da ben prima di Trump. Il truffatore Steve Bannon, principale ideologo del trumpismo, attivamente impegnato durante l’amministrazione nel tentativo di unire sotto la bandiera di un rinnovato americanismo i partiti politici di destra che si opponevano (retoricamente) alle istituzioni europee (https://www.eurasia-rivista.com/sovranismo-e-civilta-giudeo-cristiana/, https://www.ereticamente.net/affinita-e-divergenze-presunte-tra-globalisti-e-sovranisti-daniele-perra/), riuscì a far nominare diversi "uomini di fiducia" all'interno dei gangli precedente amministrazione, come Randall G. Schriver, ex assistente del Segretario alla Difesa per la sicurezza nella regione dell'Indo-Pacifico: fondatore del "Think Tank" Project 2049, con il quale, sin dal 2008, ha continuamente sfornato lunghi rapporti sulla sedicente "minaccia cinese" nei quali si suggeriva di incrementare la vendita di armamenti USA a Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Filippine, Indonesia e Australia, proprio in chiave anticinese. Tra i finanziatori di Project 2049 risulta anche la Open Society di George Soros, oltre che, naturalmente, le grandi industrie degli armamenti (come Lockheed Martin).

I falchi neocon come Bolton, Graham e Pompeo sono stati messi alla Casa Bianca dallo stesso Trump. Il magnate ebreo sionista Sheldon Adelson, terzo uomo più ricco degli USA e ardente sostenitore del trasferimento della capitale israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme, fu il principale donatore alla campagna elettorale di Trump nel 2016 e nel 2020. Proprio di recente la sua vedova Miriam Adelson, israeliana più ricca al mondo, ottava donna più ricca al mondo ed ardente sostenitrice dell'annessione della Cisgiordania allo Stato di Israele, si è detta pronta a finanziare la campagna elettorale di Trump di quest'anno con una donazione di 100 milioni di dollari. Non stupisce che Trump sia un fervente sionista e che stia incentrando gran parte della propria campagna elettorale sul sostegno al regime genocida di Netanyahu. Negli ultimi mesi Trump ha anche cominciato ad incassare il sostegno di alcuni pezzi grossi del capitalismo tecno-finanziario nordamericano, come Stephen A. Schwarzman, fondatore e CEO di Blackstone, Elon Musk e Peter Thiel, miliardario autodefinitosi "anarco-capitalista", co-fondatore di PayPal e fondatore di Palantir Technologies, azienda che di recente ha fornito la propria tecnologia IA "Lavender" all'esercito israeliano per effettuare i bombardamenti terroristici su Gaza che sterminano migliaia di civili ogni giorno. Si è arrivati, per dichiarazione stessa di Trump, persino all'ipotesi della nomina a Segretario al Tesoro di Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, la più grande banca privata del mondo.

Questo sarebbe lo scontro con il Deep State?

Di fatto, propaganda elettorale a parte, l'amministrazione Trump è stata propedeutica alla preparazione della strategia geopolitica della successiva amministrazione Biden (Iniziativa Tre Mari, ritiro unilaterale dall'INF, Accordi di Abramo), così come Biden sta spianando la strada per l’operato della futura amministrazione, che al 90% sarà nuovamente presieduta da Trump. Obiettivo del primo trumpismo era la reindustrializzazione degli USA e scaricare in misura maggiore il peso della NATO sui subalterni europei. Biden, con lo scoppio della seconda fase della guerra per procura in Ucraina, ha “dato il via” alla reindustrializzazione USA (che però rimane ancora sulla carta ed infattibile) attraverso la distruzione del tessuto industriale europeo, rendendo l’Europa e nella fattispecie la Germania del tutto subordinata a Washington e favorendo una fuga di capitali dal continente.

La politica europea di Trump e Biden è stata identica nelle misure protezioniste e nell’attacco all’industria europea. I Democratici non dicono “America First”: fanno direttamente saltare in aria i gasdotti dei competitor, scatenano un conflitto nel cuore dell’Europa e costringono le industrie europee ad investire negli USA.

Attualmente, la nomina di J.D. Vance come vicepresidente mette già in luce la traiettoria geopolitica della prossima amministrazione Trump, qualora il tycoon dovesse vincere le elezioni. Vance, lautamente finanziato dal già citato miliardario Peter Thiel, sostiene che gli USA debbano smarcarsi dal teatro ucraino, delegando il conflitto all’Europa, per sostenere Israele in una guerra contro l'Iran in collaborazione con le monarchie del Golfo, e aggiungo che non a caso Trump ha già parlato di “accerchiamento dell’Iran”, e impegnarsi per un conflitto prossimo con la Cina, prima che le sue capacità militari siano accresciute. Naturalmente, la vendita di armi a Taiwan e le provocazioni USA nel Pacifico aumenteranno esponenzialmente.

Insomma, è ancora più chiaro come il trumpismo non possa minimamente essere considerato un alleato del multipolarismo, e lo sarà ancor meno durante un eventuale secondo mandato di Trump.

Il trumpismo e le sue varie diramazioni, da QAnon alla destra europea, andrebbero lette come un tentativo di egemonizzare il (sacrosanto) malcontento sociale generato dalle politiche neoliberiste a precisi fini geopolitici: nel centro imperiale USA, serve a creare una base ideologica di consenso, mentre nelle province imperiali a garantirne la totale sottomissione a Washington. Non a caso la prima amministrazione Trump ha saputo fare uso delle tendenze cospirazioniste per costruirsi un proprio consenso transnazionale. Nulla vieta che nei prossimi anni le élite occidentali, da sempre abili nella manipolazione del dissenso, in tal caso esercitata da una fazione dello stesso sistema imperialista, possano individuare nel trumpismo un fenomeno politico capace di ricompattare l’Occidente e convincere i popoli europei, illusi dalla visione di Trump come “salvatore”, ad andare a morire per salvare la “civiltà occidentale” assediata dai malefici “tiranni” Xi, Putin e Khamenei.

Per il momento, si può solo sperare che una nuova amministrazione Trump continui ad accrescere i livelli di polarizzazione politica in Occidente e a mettere in crisi la classe dirigente degli USA, come ha già fatto la prima volta.

Il declino dell’egemone procede a passo spedito e così la nascita del nuovo ordine multipolare.


Riflessioni a ruota libera su un’eventuale guerra nucleare che colpisse gli USA, con paradossi tragico grotteschi

 

Riflessioni a ruota libera su un’eventuale guerra nucleare

di JACOB G. HORNBERGER

Coloro che scherniscono l’idea che una guerra nucleare tra Stati Uniti e Russia sia una possibilità hanno un vantaggio nell’argomentazione. Se dimostrano di avere ragione, potranno esultare: “Vedete, vi avevo detto, angosciati, che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Putin non era intenzionato a scatenare una guerra nucleare, non importa quanto lo abbiamo spinto, provocato e sfidato”. D’altro canto, se ci fosse una guerra nucleare, quelli di noi che vi avevano messo in guardia su questa crescente possibilità non sarebbero stati lì a esclamare: “Ve l’avevamo detto. Avreste dovuto ascoltarci”. Beh, come minimo, non saremo in grado di farlo su “X” data la mancanza di wi-fi durante una guerra del genere.

Ciò che è affascinante è che l’establishment che si occupa di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e i suoi sostenitori sono effettivamente disposti a rischiare una guerra del genere. Erano così certi che, con l’aiuto degli Stati Uniti, l’Ucraina avrebbe facilmente sconfitto la Russia in una guerra, che i funzionari statunitensi avevano provocato con le loro buffonate via NATO. Oggi, rendendosi conto di essersi sbagliati, il Pentagono, la CIA e la NSA, che sono coloro che stanno davvero prendendo le decisioni nell’operazione Ucraina, sono disposti a fare qualsiasi cosa per impedire una vittoria russa, anche se ciò comporta spingere, provocare e sfidare Vladimir Putin a fare qualcosa di drastico. Una sconfitta tra Stati Uniti e Ucraina per mano del loro nemico ufficiale decennale, la Russia, che arriverebbe subito dopo i risultati catastrofici delle loro scappatelle militari in Afghanistan, Iraq e Vietnam, è semplicemente una pillola troppo amara da mandare giù.

I sostenitori delle crescenti provocazioni contro la Russia non perdono tempo nel sottolineare che i detrattori si sbagliavano sulla guerra nucleare nel 1962, durante la crisi missilistica cubana. Tutto si è risolto, dicono, e quindi i timori di una guerra nucleare totale tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti erano infondati. Tuttavia, dimenticano due cose importanti:

  • In primo luogo, l’apparato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, non rendendosi conto che i missili nucleari sovietici a Cuba erano armati e pronti a essere lanciati, chiese al presidente Kennedy di bombardare e invadere Cuba al culmine della crisi. Se Kennedy avesse ottemperato a tale richiesta, è praticamente certo che ci sarebbe stata una guerra nucleare totale tra le due nazioni. Furono la saggezza e il coraggio di Kennedy, nonché la sua volontà di prendere posizione contro l’apparato di sicurezza nazionale, a impedire che ciò accadesse. Dopo che Kennedy risolse la crisi con un accordo stipulato con la Russia, i capi di stato maggiore congiunti lo considerarono un anello debole le cui azioni erano paragonabili a quelle di Neville Chamberlain a Monaco.
  • In secondo luogo, l’establishment incaricato della sicurezza nazionale degli Stati Uniti  voleva una guerra nucleare con la Russia. Sapevano di avere una vasta superiorità nucleare sulla Russia ed erano convinti che un attacco nucleare a sorpresa, simile all’attacco a sorpresa del Giappone a Pearl Harbor, avrebbe messo fuori combattimento gran parte della capacità di risposta nucleare della Russia. A suo eterno merito, JFK uscì dalla riunione in cui fu proposto un tale piano, affermando indignato: “E noi ci chiamiamo la razza umana”? Ci si può solo chiedere se quella mentalità pro-guerra nucleare all’interno dell’establishment della sicurezza nazionale dei primi anni ’60 sia stata tramandata nei decenni fino gli attuali componento dell’establishment della sicurezza nazionale del 2024.

C’è una lezione preziosa da imparare in merito all’immigrazione ipotizzando una guerra nucleare. Supponiamo che si verifichi una guerra nucleare tra Russia e Stati Uniti. Le nubi a forma di fungo spunterebbero nelle città di tutti gli Stati Uniti. Per avere un’idea di come potrebbe apparire, date un’occhiata a questo trailer  della serie televisiva “Fallout”.

In alternativa, guardate l’attuale situazione catastrofica nella Carolina del Nord occidentale a causa dell’uragano Helene, moltiplicatela per mille e applicatela alle città e ai paesi di tutta l’America.

Supponiamo che 20 milioni di americani sopravvivano alla guerra, ma sappiano che moriranno se rimangono qui o si trasferiscono in Canada, dove si diffonderebbe gran parte delle radiazioni nucleari. Supponiamo anche che Messico, America Centrale e America del Sud non vengano colpiti da bombe e che la vita sia pressoché normale in quella parte del mondo.

Si può immaginare che molti di quei 20 milioni di americani inizieranno a spostarsi verso sud nel disperato tentativo di salvare le proprie vite, e quelle delle loro famiglie, dalle radiazioni nucleari. Tuttavia, quando arrivano al confine tra Stati Uniti e Messico, incontrano la pattuglia di frontiera messicana, l’esercito messicano e il muro anti-immigrazione che il governo messicano avrebbe rapidamente costruito. I funzionari messicani si rifiutano di consentire ai rifugiati americani di attraversare il confine ed entrare in Messico. I rifugiati americani esclamano: “Ma moriremo se restiamo qui. I nostri figli moriranno. I nostri coniugi moriranno. Dobbiamo entrare”.

Ma i funzionari messicani rispondono: “No, il nostro sistema di immigrazione è molto simile al vostro. Non possiamo gestire un aumento così grande della popolazione tutto in una volta. Sarebbe un peso troppo grande per il nostro sistema di welfare, le nostre infrastrutture, i nostri ospedali e le nostre scuole pubbliche. Dovete presentare una domanda. Vi promettiamo che vi risponderemo entro pochi anni. Nel frattempo, dovete solo mettervi in ​​fila”. Gli altri paesi latinoamericani terrebbero la stessa posizione.

Il mio presentimento è che molti di quei 20 milioni di americani, specialmente quelli con figli, direbbero: “Al diavolo la vostra legge sull’immigrazione” e farebbero di tutto per aggirare il sistema di controllo dell’immigrazione del Messico, persino assumendo trasportatori del mercato nero per aiutarli ad attraversare il confine. D’altro canto, sono sicuro che alcuni americani, specialmente quelli che sono ferventi sostenitori del sistema di controllo dell’immigrazione americano, direbbero ai loro coniugi e figli: “I messicani hanno ragione. La legge è la legge. Dobbiamo obbedirle. Resteremo qui negli Stati Uniti e aspetteremo qualche anno che i funzionari messicani si pronuncino sulla nostra richiesta di entrare legalmente nel paese”.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALETRADUZIONE DI ARTURO DOILO