https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-giacomo_gabellini__il_declino_dellegemone_e_le_fantasie_della_controinformazione_filotrumpiana/5871_57038/
Nel corso degli ultimi anni, anche grazie al successo di determinate
operazioni di guerra psicologica, in numerosi ambienti della
"controinformazione" si è largamente diffusa una stucchevole agitazione
propagandistica che vedrebbe l'ex Presidente degli Stati Uniti d'America
Donald Trump come una figura politica "antisistema" e "pacifista"
all'interno del panorama politico degli USA, che non ha mai scatenato
nuove guerre, impegnata in un eterno conflitto con il "Deep State",
rappresentato da Soros, Biden, Clinton, Kamala Harris e più in generale
dall'ala "liberal" dell'establishment statunitense.
I recenti attentati falliti contro l’ex Presidente da parte di
estremisti filo-Kiev hanno contribuito ad alimentare tale mito. Il
tycoon è visto come l’unica figura in grado di porre fine all’escalation
della guerra per procura della NATO in Ucraina contro la Federazione
Russa e di garantire la pace.
Ma è realmente così?
Per capirlo, bisognerebbe analizzare quella che è stata la prima parusia messianica di Trump.
Se l'amministrazione Trump ha avuto un merito, è stato quello di
mostrare al mondo intero il volto reale, nudo e crudo, della
"democratica e libera" America. Basti pensare a come l'ex presidente non
abbia esitato a definire l'Europa come un "nemico"
(https://www.bbc.com/news/world-us-canada-44837311), mettendo bene in
evidenza lo status di subordinazione neocoloniale del continente europeo
nei confronti del proprio padrone d'oltreoceano ed il fatto che
qualsiasi forma di "integrazione" europea sia percepita dagli Stati
Uniti come una minaccia qualora non strettamente controllata da
Washington. A tal proposito, coloro che, ignoranti di tale realtà
geopolitica, esprimono il desiderio che Donald Trump sia eletto
nuovamente come Presidente affinchè possa "liberare" l'Europa e
l'Italia, oltre ad addentrarsi nella fantageopolitica, mettono altresì
in evidenza l'autocolonialismo degli europei e il loro atteggiamento di
sottomissione "psicologica" agli occupanti statunitensi. Non a caso, il
Presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar al-Assad descrisse il
miliardario newyorkese come "il più trasparente tra i presidenti degli
Stati Uniti"
(https://www.politico.com/news/2019/11/01/syria-assad-trump-best-president-063765),
dopo che quest'ultimo ammise apertamente che l'occupazione militare
statunitense dei territori nord-orientali della Siria, con l'ausilio
delle milizie separatiste curde addestrate dal Pentagono, fosse diretta
ad assicurare il controllo delle risorse petrolifere del Paese arabo
(poi vendute illegalmente all'entità sionista tramite il magnate
israeliano Mordechai Kahana, in ottimi rapporti con John McCain) e ad
impedirne così la ricostruzione post-bellica. Nello stesso senso si
mossero le dichiarazioni della Guida della Rivoluzione Islamica, l'Imam
Khamenei: "Noi apprezziamo Trump, perchè ha fatto il lavoro per noi
rivelando la vera faccia dell'America"
(https://english.khamenei.ir/news/4617/We-thank-Trump-for-exposing-the-reality-of-the-U-S-Ayatollah).
Se si analizza l'operato dell'amministrazione Trump, si può notare
tranquillamente come quest'ultima si sia mossa in sostanziale continuità
con la precedente amministrazione Obama; lo stesso discorso vale per
l'attuale amministrazione Biden con la precedente amministrazione Trump,
come spiegherò successivamente.
Obama, con la sua strategia del "leading from behind", in un momento
di iniziale e progressivo esautoramento dell'egemonia unipolare
statunitense a livello mondiale, era giunto alla conclusione che il mero
impiego della forza militare diretta non era più nè sufficiente nè
adeguato a garantire l'egemonia USA: tant'è vero che la strategia
obamiana si concentrò fortemente sull'utilizzo di alleati regionali,
coinvolgendoli in guerre per procura, forze mercenarie e formazioni
terroristiche eterodirette dai servizi segreti nordamericani e, spesso,
israeliani e sauditi al fine di generare la destabilizzazione di diverse
aree del mondo, come accaduto in Siria, Libia, Yemen ed Ucraina.
Ad
un occhio attento non sfugge come l'amministrazione Trump abbia portato
avanti la medesima strategia: con il celebre discorso del Cairo, Obama
inaugurò una nuova fase della strategia nordamericana per il Medio
Oriente; questa strategia consisteva nel consolidamento dell'egemonia
atlantica sul mondo arabo, coinvolgendo i regimi del Golfo in un ampio
fronte anti-iraniano e nella collaborazione con il regime sionista a tal
fine. La politica mediorientale di Trump è stata incentrata proprio su
tale prospettiva, attraverso gli Accordi di Abramo, volti a garantire la
saldatura di un'alleanza sotto il profilo economico, militare e di
intelligence tra il regime sionista e le monarchie arabe in chiave
anti-iraniana, e gli accordi-truffa del secolo, con la supervisione del
genero ebreo sionista Jared Kushner (amico di famiglia del genocida
Netanyahu), che hanno riconosciuto le colonie sioniste in Cisgiordania,
dopo aver già riconosciuto la sovranità sionista su Gerusalemme
trasferendovi l'ambasciata USA (con tanto di Mike Pompeo che approvava i
piani sionisti di distruzione della Moschea di al-Aqsa e ricostruzione
del Terzo Tempio, una delle ragioni che hanno portato all'Operazione
Tempesta di al-Aqsa) e sulle alture del Golan siriano, e prevedevano la
formazione di una pseudo-entità statale palestinese priva di qualsiasi
sovranità ed a macchia di leopardo, condannando il popolo palestinese
all'insignificanza, altra ragione fondamentale che ha spinto Hamas ad
agire il 7 ottobre per riportare la causa palestinese al centro del
dibattito internazionale.
Rimanendo nello scacchiere mediorientale, la presidenza di Trump ha
visto l'intensificazione del sostegno logistico-militare alla criminale
aggressione saudita contro lo Yemen, l'imposizione del Caesar Act alla
Siria (oltre che il bombardamento di Douma e l'occupazione del
territorio nord-orientale della Repubblica Araba), che tutt'ora
strangola un popolo già devastato da 13 anni di aggressione
condannandolo alla miseria
(https://www.marx21.it/internazionale/risultati-preliminari-della-visita-nella-repubblica-araba-siriana-del-relatore-speciale-sullimpatto-negativo-delle-misure-coercitive-unilaterali-sul-godimento-dei-diritti-umani-della-dr-alena-douh/),
la cancellazione unilaterale dell'accordo nucleare con l'Iran (con il
plauso israeliano e saudita), i cui termini, ad onor del vero, non
furono minimamente rispettati da Obama ed erano volti unicamente a
temporeggiare, la strategia della "massima pressione" e quindi
l'imposizione di un regime sanzionatorio criminale a Teheran, che, oltre
a colpire gravemente il popolo iraniano, ha anche provocato enormi
perdite economiche all'Europa, tant'è che la sola Italia ha perso quasi
30 miliardi in commesse commerciali, e soprattutto l’assassinio del
generale Qassem Soleimani, in missione diplomatica a Baghdad per
ristabilire i contatti tra l'Iran e l'Arabia Saudita; un vero e proprio
atto di terrorismo internazionale che ha violato ogni trattato e che ha
fatto comprendere agli attori principali del multipolarismo
l'impossibilità di dialogare con gli USA per lo sviluppo di un nuovo
ordine multipolare, dando inizio all'attuale "guerra mondiale a pezzi"
(per usare le parole di Papa Francesco).
Centrale nella geopolitica trumpiana è stata la dottrina obamiana del
"Pivot to Asia", inaugurata nel 2008, e decisamente rafforzata
attraverso l'aumento esponenziale della vendita di armi al regime
fantoccio di Taiwan e delle operazioni militari USA nel Mar Cinese
Meridionale, lo scatenamento di una vera e propria guerra commerciale e
doganale contro Pechino (ora continuata da Biden, senza successi) e la
destabilizzazione di Hong Kong e delle principali arterie della Via
della Seta, come l'Asia Centrale, la Thailandia, il Libano e la
Bielorussia; a questo si collegano anche le reiterate pressioni nei
confronti di Pechino sulla questione dello Xinjiang (ma anche i già
citati Accordi di Abramo), fondamentale per la Via della Seta, culminate
con la rimozione del Movimento Islamico del Turkestan Orientale dalla
lista dei gruppi terroristici stipulata dal governo statunitense e
portate avanti anche attraverso l'intensificazione della propaganda
relativa al presunto "genocidio degli uiguri" da parte di numerosi
personaggi e media legati al trumpismo, come l'Epoch Times. Di recente
la Reuters ha rivelato come Trump abbia autorizzato la CIA e il
Pentagono a lanciare campagne di disinformazione contro il governo di
Pechino
(https://www.reuters.com/investigates/special-report/usa-covid-propaganda/,
https://www.reuters.com/world/us/trump-launched-cia-covert-influence-operation-against-china-2024-03-14/).
Inoltre, gli USA hanno puntato soprattutto sull'India di Modi nel
tentativo (portato avanti anche da Biden ma di fatto rimasto sulla
carta) di spostare la propria produzione manifatturiera dalla Cina a
Nuova Delhi, per farne un rivale strategico di Pechino nel continente
asiatico, sotto l'egida nordamericana.
Ma narrazione fantasiosa più amata sia dai media liberal sia dalla
"controinformazione" filo-trumpiana è quella che ritrae il tycoon
statunitense come un fervido amico della Russia di Vladimir Putin
(ricordare la bufala del "Russiagate"), secondo gli "antisistema" in
nome di un sedicente conservatorismo cristiano contro le "èlite
globaliste" (descritte dai trumpisti come alleate della Cina comunista).
Peccato che tra le grandi imprese della prima parusia di Zion Don si
annoveri la messa in moto dell'Iniziativa Tre Mari (storicamente di
matrice nazionalista polacca), altra eredità dell'obamismo volta a
costruire un cordone sanitario ai confini occidentali della Russia,
andata di pari passo con l'ampliamento della NATO, l'uscita unilaterale
dall'Intermediate Range Nuclear Forces Treaty, e a tal proposito occorre
ricordare che l'eventualità che gli USA potessero piazzare missili a
medio raggio in Ucraina a quattro minuti di volo da Mosca è una delle
ragioni fondamentali che hanno spinto Putin all'avvio dell'Operazione
Militare Speciale del 24 febbraio, gli sforzi per sabotare la
realizzazione del gasdotto Nord Stream-2, intensificando le pressioni
diplomatiche sul governo di Berlino, predisponendo una serie di sanzioni
contro tutte le imprese coinvolte nella costruzione del gasdotto, con
il plauso dei governi russofobi dell'Europa orientale, e inviando la
prima fornitura di GNL americano verso la Polonia, e l'invio di 250
milioni di dollari in aiuti militari al regime golpista neonazista di
Kiev, nel momento di maggiore recrudescenza dell'aggressioni contro le
Repubbliche del Donbass: nel 2017 gli USA vendettero per la prima volta
armi letali a Kiev. L'amministrazione Trump ha intensificato le tensioni
con Mosca più di ogni altra amministrazione precedente dalla caduta del
Muro di Berlino: ai fatti già elencati vanno aggiunti gli attacchi a
partner russi come Siria e Venezuela, l’attuazione della revisione della
postura nucleare, costringere RT e Sputnik a registrarsi come agenti
stranieri, le infiltrazioni della rete elettrica russa, l'espulsione di
decine di diplomatici e la nomina del falco antirusso Kurt Volker a
rappresentante speciale in Ucraina.
Per concludere, altri "successi" dell'amministrazione Trump includono
l'embargo contro il Venezuela bolivariano e il fallito tentativo
golpista dell'Operazione Gedeone, volto a detronizzare Maduro in favore
del burattino Guaidò, il primato di ordigni sganciati sull'Afghanistan e
di civili uccisi e l'espansione del budget militare USA: a tal
proposito, occorre ricordare come nel 2016 Trump promise di sciogliere
la NATO, ma invece, una volta insediatosi, impose a tutti i suoi membri
di destinarle il 2% del PIL ogni anno.
Insomma, è abbastanza chiaro come Trump non sia nè un amico della
Russia, nè un pacifista nè fondamentalmente diverso dagli altri
presidenti nordamericani. Geopoliticamente parlando, il trumpismo si è
mosso in assoluta continuità con le amministrazioni precedenti,
applicando la consueta strategia USA: esacerbare le tensioni
internazionali per garantire profitti al complesso militare-industriale
nordamericano, far fluire i capitali finanziari internazionali negli
Stati Uniti e costruire blocchi di contrapposizione tra l'Europa ed il
resto dell'Eurasia.
Il centro imperiale USA è caratterizzato dalla presenza di un
complesso militare-industriale che persegue delle precise finalità
geopolitiche e si muove in una data direzione a prescindere dalla figura
del Presidente, a cui si tende ad attribuire eccessivo potere. Quello
che viene presentato come scontro tra Trump e il Deep State è in realtà
uno scontro interno tra diverse strategie e fazioni, esistente negli USA
da ben prima di Trump. Il truffatore Steve Bannon, principale ideologo
del trumpismo, attivamente impegnato durante l’amministrazione nel
tentativo di unire sotto la bandiera di un rinnovato americanismo i
partiti politici di destra che si opponevano (retoricamente) alle
istituzioni europee
(https://www.eurasia-rivista.com/sovranismo-e-civilta-giudeo-cristiana/,
https://www.ereticamente.net/affinita-e-divergenze-presunte-tra-globalisti-e-sovranisti-daniele-perra/),
riuscì a far nominare diversi "uomini di fiducia" all'interno dei
gangli precedente amministrazione, come Randall G. Schriver, ex
assistente del Segretario alla Difesa per la sicurezza nella regione
dell'Indo-Pacifico: fondatore del "Think Tank" Project 2049, con il
quale, sin dal 2008, ha continuamente sfornato lunghi rapporti sulla
sedicente "minaccia cinese" nei quali si suggeriva di incrementare la
vendita di armamenti USA a Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Filippine,
Indonesia e Australia, proprio in chiave anticinese. Tra i finanziatori
di Project 2049 risulta anche la Open Society di George Soros, oltre
che, naturalmente, le grandi industrie degli armamenti (come Lockheed
Martin).
I falchi neocon come Bolton, Graham e Pompeo sono stati
messi alla Casa Bianca dallo stesso Trump. Il magnate ebreo sionista
Sheldon Adelson, terzo uomo più ricco degli USA e ardente sostenitore
del trasferimento della capitale israeliana da Tel Aviv a Gerusalemme,
fu il principale donatore alla campagna elettorale di Trump nel 2016 e
nel 2020. Proprio di recente la sua vedova Miriam Adelson, israeliana
più ricca al mondo, ottava donna più ricca al mondo ed ardente
sostenitrice dell'annessione della Cisgiordania allo Stato di Israele,
si è detta pronta a finanziare la campagna elettorale di Trump di
quest'anno con una donazione di 100 milioni di dollari. Non stupisce che
Trump sia un fervente sionista e che stia incentrando gran parte della
propria campagna elettorale sul sostegno al regime genocida di
Netanyahu. Negli ultimi mesi Trump ha anche cominciato ad incassare il
sostegno di alcuni pezzi grossi del capitalismo tecno-finanziario
nordamericano, come Stephen A. Schwarzman, fondatore e CEO di
Blackstone, Elon Musk e Peter Thiel, miliardario autodefinitosi
"anarco-capitalista", co-fondatore di PayPal e fondatore di Palantir
Technologies, azienda che di recente ha fornito la propria tecnologia IA
"Lavender" all'esercito israeliano per effettuare i bombardamenti
terroristici su Gaza che sterminano migliaia di civili ogni giorno. Si è
arrivati, per dichiarazione stessa di Trump, persino all'ipotesi della
nomina a Segretario al Tesoro di Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, la più
grande banca privata del mondo.
Questo sarebbe lo scontro con il Deep State?
Di fatto, propaganda elettorale a parte, l'amministrazione Trump è
stata propedeutica alla preparazione della strategia geopolitica della
successiva amministrazione Biden (Iniziativa Tre Mari, ritiro
unilaterale dall'INF, Accordi di Abramo), così come Biden sta spianando
la strada per l’operato della futura amministrazione, che al 90% sarà
nuovamente presieduta da Trump. Obiettivo del primo trumpismo era la
reindustrializzazione degli USA e scaricare in misura maggiore il peso
della NATO sui subalterni europei. Biden, con lo scoppio della seconda
fase della guerra per procura in Ucraina, ha “dato il via” alla
reindustrializzazione USA (che però rimane ancora sulla carta ed
infattibile) attraverso la distruzione del tessuto industriale europeo,
rendendo l’Europa e nella fattispecie la Germania del tutto subordinata a
Washington e favorendo una fuga di capitali dal continente.
La politica europea di Trump e Biden è stata identica nelle misure
protezioniste e nell’attacco all’industria europea. I Democratici non
dicono “America First”: fanno direttamente saltare in aria i gasdotti
dei competitor, scatenano un conflitto nel cuore dell’Europa e
costringono le industrie europee ad investire negli USA.
Attualmente, la nomina di J.D. Vance come vicepresidente mette già in
luce la traiettoria geopolitica della prossima amministrazione Trump,
qualora il tycoon dovesse vincere le elezioni. Vance, lautamente
finanziato dal già citato miliardario Peter Thiel, sostiene che gli USA
debbano smarcarsi dal teatro ucraino, delegando il conflitto all’Europa,
per sostenere Israele in una guerra contro l'Iran in collaborazione con
le monarchie del Golfo, e aggiungo che non a caso Trump ha già parlato
di “accerchiamento dell’Iran”, e impegnarsi per un conflitto prossimo
con la Cina, prima che le sue capacità militari siano accresciute.
Naturalmente, la vendita di armi a Taiwan e le provocazioni USA nel
Pacifico aumenteranno esponenzialmente.
Insomma, è ancora più chiaro come il trumpismo non possa minimamente
essere considerato un alleato del multipolarismo, e lo sarà ancor meno
durante un eventuale secondo mandato di Trump.
Il trumpismo e le sue varie diramazioni, da QAnon alla destra
europea, andrebbero lette come un tentativo di egemonizzare il
(sacrosanto) malcontento sociale generato dalle politiche neoliberiste a
precisi fini geopolitici: nel centro imperiale USA, serve a creare una
base ideologica di consenso, mentre nelle province imperiali a
garantirne la totale sottomissione a Washington. Non a caso la prima
amministrazione Trump ha saputo fare uso delle tendenze cospirazioniste
per costruirsi un proprio consenso transnazionale. Nulla vieta che nei
prossimi anni le élite occidentali, da sempre abili nella manipolazione
del dissenso, in tal caso esercitata da una fazione dello stesso sistema
imperialista, possano individuare nel trumpismo un fenomeno politico
capace di ricompattare l’Occidente e convincere i popoli europei, illusi
dalla visione di Trump come “salvatore”, ad andare a morire per salvare
la “civiltà occidentale” assediata dai malefici “tiranni” Xi, Putin e
Khamenei.
Per il momento, si può solo sperare che una nuova amministrazione
Trump continui ad accrescere i livelli di polarizzazione politica in
Occidente e a mettere in crisi la classe dirigente degli USA, come ha
già fatto la prima volta.
Il declino dell’egemone procede a passo spedito e così la nascita del nuovo ordine multipolare.