Nei giorni scorsi, le agenzie di stampa e i quotidiani italiani hanno riportato la notizia di un presunto dispiegamento di soldati nordcoreani a fianco delle forze armate russe. Nelle conclusioni emerse alla fine del vertice del Consiglio europeo del 17 ottobre, l’UE ha avvisato i “Paesi terzi” a cessare ogni forma di assistenza a Mosca e molti vi hanno letto un avvertimento indiretto a Pyongyang. Come siamo arrivati a questo punto?
Dal 10 ottobre, il Guardian ha pubblicato una serie di articoli in cui, chiamando in causa una fonte anonima ucraina, si alludeva alla presenza di «decine di nordcoreani dietro le linee russe, in squadre che “supportano i sistemi di lancio per i missili KN-23”». In un articolo successivo, il Guardian riprendeva le dichiarazioni di Volodymyr Zelensky in merito a “recenti rapporti” secondo cui la Corea del Nord starebbe anche «inviando un gran numero di truppe» in Russia. Secondo l’agenzia di spionaggio della Corea del Sud, Pyongyang avrebbe inviato 1500 soldati delle forze speciali nell’Estremo Oriente russo per l’addestramento nelle basi militari locali e questi saranno “probabilmente” impiegati per combattere nella guerra in Ucraina. E attorno a quel “probabilmente” ruota tutta l’inconsistenza della narrazione. Il capo della Direzione dell’intelligence della Difesa ucraina (GUR), il generale Kyrylo Budanov, si è spinto oltre e ha riferito che sarebbero ben 11 mila i soldati nordcoreani che si stanno addestrando nella Russia orientale, e un primo gruppo di essi – circa 2600 uomini – sarebbe già pronto a combattere nella regione di Kursk a partire dal primo novembre.
Le testate internazionali, comprese quelle italiane, hanno ripreso come oro colato la sparata dell’accoppiata Zelensky & Budanov e le insinuazioni dell’intelligence di Seoul con titoli roboanti: L’esercito della Corea del Nord va in soccorso dello zar Putin; I soldati di Kim con i russi già 1.500 al confine ucraino; Seul: “Divise russe e documenti falsi, già a Vladivostok i 1500 soldati nordcoreani che combatteranno per Mosca contro Kiev’’; ‘’11mila nordcoreani pronti a combattere per i russi’’. La rivelazione degli 007 di Kiev; L’Ue risponde alla Corea del Nord per l’invio in Russia di truppe “su larga scala”; ecc. Una breve rassegna stampa spingerebbe chiunque a presumere che le informazioni riportate su queste testate siano affidabili e che il pericolo sia concreto.
Premesso che sia la Russia sia la Corea del Nord negano tali ricostruzioni, la smentita da parte del capo del Pentagono, ripresa da Reuters, è stata volutamente ignorata da quelle stesse testate che hanno deciso di sbattere in prima pagina la notizia mai confermata. Il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ha, infatti, dichiarato di non poter confermare queste notizie e che il Pentagono non ha le prove che tali insinuazioni siano vere, ma che «continua a indagare».
Che cosa sappiamo, quindi, in concreto, di queste ricostruzioni che campeggiano da giorni sulle prime pagine di quotidiani cartacei e siti online? Nulla. Nel senso che, come spesso accade con notizie di tenore propagandistico, non esistono conferme su cui costruire fantomatici reportage. Tant’è che alcuni organi di informazione hanno preferito ricorrere all’utilizzo delle virgolette per evidenziare che si tratta di notizie provenienti da “fonti di parte”, Seoul e Kiev: è il caso di Repubblica che in un articolo di Gianluca Modolo (corrispondente non si sa bene da dove) nel sommario ha preferito mettere le mani avanti e specificare che «Se fosse confermato», l’invio totale delle truppe «segnerebbe il primo coinvolgimento così massiccio in una guerra da parte dell’esercito di Pyongyang dai tempi della Guerra di Corea del 1950». Insomma, basta spingersi poco sotto il titolo per scoprire che di confermato non c’è nulla e che, per l’ennesima volta, in Occidente i mezzi di informazione rilanciano come una cassa di risonanza la propaganda di Kiev e di Seoul, senza nemmeno esserne troppo convinti.
I numerosi precedenti che abbiamo analizzato in questa rubrica dovrebbero invitare alla prudenza. A maggior ragione quando si tratta della Corea del Nord, dove ci si trova sovente di fronte a fake news anche grottesche, diffuse da agenzie sudcoreane o da giornali satirici, ma ritenute credibili e perciò ribattute in Occidente senza averne potuto accertare la veridicità. Con ciò non si intende “difendere” o spalleggiare il regime nordcoreano, ma mostrare la dinamica che viene utilizzata con Kim Jong-un così come con altri leader stranieri al solo fine di demonizzarli.
Il regime di Pyongyang è particolarmente chiuso rispetto al resto del mondo; quindi, è difficile ottenere notizie attendibili provenienti dal suo interno e questo, di conseguenza, ha favorito la diffusione di bufale sul suo conto, che sono state usate dalla propaganda sudcoreana. Il leader nordcoreano ha alimentato storie fantasiose talmente assurde che si fatica a credere che siano state rilanciate dai media di massa, dallo zio Jang Song-thaek, che sarebbe stato sbranato da 120 cani (la notizia falsa proveniva da un giornale semi-satirico di Hong Kong, il «Wen Wei Po»), all’ex fidanzata di Kim, la cantante Hyon Song-wol, che sarebbe stata fucilata il 20 agosto 2013, dopo essere stata condannata per violazione delle leggi contro la pornografia (la “notizia” proveniva dal quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, grazie a “fonti” interpellate in Cina; nel maggio del 2014, Hyon Song-wol ricomparve pubblicamente, viva e vegeta, in un concerto cui presenziava lo stesso Kim), dalla morte del ministro della Difesa, che sarebbe stato giustiziato con la contraerea per un pisolino di troppo (smentita addirittura dai Servizi segreti sudcoreani ma rilanciata dai media italiani) alla macabra uccisione di un generale gettato in una vasca di piranha.
Oggi lo schema è lo stesso: sulla base di notizie infondate, si chiede all’opinione pubblica un atto di fede. Si vuole far credere di avere la prova definitiva che «la Russia non vuole davvero la pace» per legittimare una escalation del conflitto che rischia di incendiare l’Europa. Prima di farsi trascinare in una guerra globale sarebbe almeno il caso di verificare l’attendibilità delle fonti.
[di Enrica Perucchietti]
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