Biden, Trump e le guerre infinite
Interpellato sul disastro provocato dalle tempeste che si sono abbattute sugli Stati Uniti, Biden ha sorriso per poi rispondere in maniera sorprendente: “Presidente Trump, aiuti queste persone“. Detto questo, ha nuovamente sorriso e se n’è andato. L’ennesima gaffe, forse; o forse no. Così, per una volta, parliamo di Politica, quella con la P maiuscola, quella che si consuma negli interna corporis dell’Impero e che è altra da quella che appare nel teatro del mondo.
Il senso di Biden per Trump
Per iniziare, riportiamo quanto scrive Revolver news, un sito pro-Trump. In una nota in cui definisce “bizzarre” le prossime presidenziali Usa, dato anche il “colpo di Stato soft” che ha eliminato Biden dalla corsa per sostituirlo con la vacua Kamala Harris, annota: “Uno degli aspetti più interessanti di questa campagna è stata la reazione di Joe Biden”.
“Sembra che Biden stia attivamente sabotando Kamala Harris. Voglio dire, ha indossato un cappello MAGA il giorno dopo il dibattito tra Kamala e il presidente Trump. Poi si è presentato a una conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca e ha detto che lui e la Harris stavano ‘cantando la stessa canzone‘, proprio in un momento in cui il team della Harris stava disperatamente cercando di prendere le distanze dai fallimenti di Biden. E, come se non bastasse, mentre Kamala cercava guadagnare consensi attaccando il governatore DeSantis [repubblicano ndr.] nel corso dell’uragano Milton, Biden lo elogiava“.
Secondo la nota, le mosse di Biden sarebbero motivate da questioni personali, cioè vorrebbe passare alla storia come l’unico democratico ad aver battuto Trump. Altri opinionisti, commentando la stessa apparente svolta, affermano che si voglia vendicare per essere stato estromesso.
In realtà, la Politica, a questi livelli, si muove per altri input, anche perché Biden non potrebbe muoversi in tal senso se agisse in solitaria (senza sponde interne) gli verrebbe presto un raffreddore. In una nota pregressa, avevamo già rilevato l’apparente senso di Biden per Trump, ma ben prima della sua estromissione dalla campagna elettorale. Già, perché quel che ora viene sussurrato come ipotesi bizzarra, qualcosa che peraltro è meglio non esplicitare per non passare per matti, si era palesato da tempo.
Infatti, avevamo definito molto bizzarra l’ostinazione di Biden per correre alla Casa Bianca nonostante fosse ormai evidente il suo declino cognitivo e nonostante l’insistenza perché si ritirasse da parte di gran parte della leadership del partito e del potente establishment americano che a esso fa riferimento, con conseguente martellamento mediatico in tal senso.
Aveva resistito a tutto e a tutti, forte anche dell’appoggio di parte dei democratici: sicuramente Bernie Sanders, rimasto con lui fino alla fine, e Barak Obama, che poi ha tradito. Tradimento risultato decisivo (anche se resta simpatica la battuta di Trump sul fatto che Obama “voterà” per lui).
Il motivo di tale ostinazione non si può dire, o meglio lo ha detto Biden con una delle sue solite battute – battute che è libero di fare nei momenti di lucidità perché vengono derubricate a prodotto della sua senescenza – quando ha detto che gli andrebbe bene anche perdere contro Trump “a patto di riuscire a dare il massimo” (Businessinsider).
Nel teatro del mondo tutto ciò può apparire fuori registro, ma il fatto è che la Politica, quella vera, ha altre dinamiche da quelle apparenti.
La variabile guerre infinite
Il punto è che la Politica, e tutta la Politica, dell’Impero e del mondo, da oltre due decenni verte su uno scontro decisivo, che produce altre conflittualità secondarie, ed è quello riguardante le guerre infinite iniziate nel post 11 settembre e che attualmente incendiano i confini tra Oriente e Occidente, in Ucraina e Medio oriente, con roghi secondari sparsi nelle aree di scontro intermedie (dalla rinnovata aggressione terroristica contro i Paesi del Shael che si sono liberati dai tutori occidentali, alla mattanza che si sta consumando in Sudan, al conflitto in Myamnar, per citarne alcuni).
Quando Biden fu eletto, come Obama prima di lui, pensava veramente, come ebbe a dire, di poter porre fine alle guerre infinite. Figura di establishment, riteneva, e con lui la parte del suo partito e degli apparati che lo sostenevano, che si potesse preservare la leadership globale americana anche senza la follia sanguinaria delle guerre infinite partorita dall’ideologia neocon e sposata, nel partito democratico, dall’interventismo liberale (che negli ultimi anni ha nella Clinton il suo punto di riferimento).
Ciò perché sa che le guerre infinite stano devastando, insieme al mondo, anche l’Impero, prosciugandone le risorse, vampirizzate dalla Tecnofinanza e dall’apparato militar-industriale, e innescato un processo anti-democratico sempre più repressivo.
Ma pensare che l’Imperatore abbia davvero il potere di ri-orentare, meglio riequilibrare un Impero sempre più squilibrato, nel senso patologico della parola, è alquanto irenico. Il Potere, quello con la P maiuscola, da tempo non risiede più alla Casa Bianca, e tutti i proponimenti e i piani di Biden si sono infranti.
Il piano più ardito era quello che Biden e i suoi avevano previsto per la criticità Ucraina, punto dolente dell’attrito globale, che tutti sapevano poteva sfociare in una guerra mondiale. Così il team Biden diede “luce verde” all’invasione russa, con Putin che, in base a tale tacito accordo, s’imbarcò in un’operazione più che avventurosa, che avrebbe dovuto chiudere la crisi più a rischio del pianeta in pochi giorni e con poche vittime, dal momento che avrebbe dovuto innescare un golpe che avrebbe chiuso in fretta le ostilità.
Ne avevamo scritto all’inizio della guerra, ma a ipotizzarlo è stata anche una fonte alquanto inattesa, cioè Zelensky, che ne ha parlato esplicitamente in un’intervista sibillina al New York Times (vedi Piccolenote). Non è andata secondo i piani, il Potere, quello vero, ha preso in gestione Zelensky, alimentando una nuova guerra infinita.
Quanto all’incendio mediorientale, era imprevedibile (ai suoi, almeno): quando è scoppiato in faccia a Biden, egli era ormai era ridotto all’impotenza, con neocon e liberal democratici che, pur con qualche divergenza secondaria riguardante il ruolo di Netanyahu, hanno colto l’opportunità per rilanciare il sanguinario caos creativo nella regione; caos creativo evocato per la prima volta dall’ex Segretario di Stato Condoleezza Rice, che servì sotto George W. Bush, “sorella” di fatto della più potente Segretaria di Stato Usa della storia recente, Madeleine Albright, che servì sotto Bill Clinton (a proposito di trasversalità).
Il punto è che il tentativo di Obama prima e poi di Biden di salvaguardare la parte realista dell’establishment Usa emarginando neocon e liberal interventisti per chiudere così le guerre infinite non poteva riuscire. Ciò perché tale establishment ha voluto, allo stesso tempo, conservare a tutti i costi l’egemonia globale degli Stati Uniti, lasciando in tal modo ai falchi bipartisan immani spazi di manovra per alimentare il caos globale, che peraltro li ha vieppiù rafforzati.
Biden si è reso conto da tempo di ciò. Sa perfettamente che ormai l’unica chance che ha l’Impero, e il mondo, per uscire dai ristretti orizzonti delle guerre infinite (a rischio terza guerra mondiale) è Trump – non per nulla hanno tentato di assassinarlo già due volte – e si muove di conseguenza. Non è detto che Trump vinca, anche se ha più voti, sono troppe la variabili in gioco e tante a suo sfavore; né che, se vincerà, riuscirà a imporre un isolazionismo il salsa moderna, né se sopravviverà.ai fattori ostativi Ma al momento l’Impero non offre altre chance.
Peraltro, ormai anche i suoi avversari giocano a carte scoperte, come denota l’arrocco che ha portato i neocon repubblicani a dichiararsi per la Harris, con quest’ultima che ha già detto che, se vince, si appoggerà a un “Consiglio di consulenti bipartisan“, che ovviamente sarà formato dai falchi di cui sopra.
Quanto esposto suonerà strano a diversi lettori, anche assurdo. Ci si perdoni, ma in un momento cruciale come l’attuale ci sembrava opportuno affrontare tali tematiche, anche a costo di perderne qualcuno o tanti che siano.