I BRICS chiudono il vertice annunciando una infrastruttura finanziaria alternativa
Ieri è terminato il sedicesimo vertice BRICS tenutosi a Kazan, in Russia. Dopo tre giorni di colloqui, i Paesi hanno rilasciato un documento congiunto, la Dichiarazione di Kazan. Essa ruota su “tre pilastri” fondamentali: “politica e sicurezza, economia e finanza, cultura e scambio tra le persone [ndr. letteralmente: people-to-people]”. I Paesi del gruppo hanno così discusso di temi internazionali, di sicurezza, di multipolarità; il tema più rilevante, tuttavia, sembrerebbe essere quello finanziario: “Abbiamo sottolineato la necessità di riformare l’attuale architettura finanziaria internazionale”, scrivono i BRICS, nell’ottica di un sistema economico più inclusivo e rappresentativo delle economie emergenti, da promuovere con BRICS Clear, una nuova infrastruttura finanziaria. Analogamente, secondo la Dichiarazione di Kazan, deve venire riformato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in modo da coinvolgere nei processi decisionali Paesi dell’America latina e dell’Africa. Queste stesse raccomandazioni sono state fatte da Vladimir Putin in persona al Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in quello che è risultato il loro primo incontro da oltre due anni.
La Dichiarazione di Kazan è stata adottata dai Paesi membri del gruppo il 23 ottobre, il giorno prima della chiusura del vertice. Essa è divisa in quattro paragrafi fondamentali, che seguono a una breve introduzione. Al punto 6 del primo paragrafo, sull’importanza della multilateralità, il gruppo sottolinea il valore della multipolarità, riconoscendo l’importanza delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Proprio per tale motivo, al punto 8 si trova una delle iniziative più interessanti del documento: “Riconoscendo la Dichiarazione di Johannesburg II del 2023 riaffermiamo il nostro sostegno a una riforma globale delle Nazioni Unite, compreso il Consiglio di Sicurezza, al fine di renderlo più democratico, rappresentativo, efficace ed efficiente, e di aumentare la rappresentanza dei Paesi in via di sviluppo tra i membri del Consiglio”. Con questo passaggio, i Paesi BRICS sottolineano quanto dichiarato singolarmente più di una volta da molti di essi: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU va riformato, nell’ottica di una maggiore inclusione dei Paesi in via di sviluppo. Rilevanti anche i punti 10 e 22, che condannano l’utilizzo delle sanzioni unilaterali come mezzo di pressione internazionale.
Il secondo paragrafo del documento è dedicato a un “rafforzamento della cooperazione per la stabilità e la sicurezza globale e regionale”. Qui, al punto 25, i Paesi condannano l’uso della violenza come metodo per risolvere le controversie internazionali, incoraggiando, piuttosto, l’adozione di soluzioni diplomatiche. In questo paragrafo si passa così a parlare in generale della situazione internazionale, con particolare attenzione agli scenari globali maggiormente sotto i riflettori. Per quanto riguarda il Medioriente (punti 30-35), i Paesi condannano le aggressioni israeliane sulla Striscia di Gaza, e in generale le iniziative dello Stato ebraico negli altri Paesi (specialmente il Libano), esprimendo timore per quella che sembrerebbe una escalation sempre più imminente. Nel documento, i Paesi si impegnano a riconoscere uno Stato di Palestina e promuovono l’adozione di una soluzione che ripristini i confini di Israele e Palestina come erano prima del giugno del 1967, con Gerusalemme Est come capitale della Palestina. Per quanto riguarda la questione africana, il documento si concentra sul conflitto attualmente in corso in Sudan, e sostiene il principio della “soluzione africana ai problemi africani”. Poche parole sono dedicate all’Ucraina, per cui i BRICS si limitano a fare riferimento alle carte internazionali.
Il terzo paragrafo risulta senza ombra di dubbio il più ricco di contenuto. Esso mira a “promuovere la cooperazione economica e finanziaria per uno sviluppo globale giusto”, e introduce una delle questioni fondamentali della Dichiarazione: l’architettura finanziaria del mondo, si legge, va cambiata. Per farlo è necessario introdurre nuovi metodi di finanziamento e inedite modalità di scambio, come quella già in atto tra i Paesi BRICS, che si basano sulle monete locali. Inoltre, continua il documento al punto 66, “Riconosciamo l’importanza di esplorare la fattibilità della connessione dell’infrastruttura dei mercati finanziari dei Paesi BRICS. Accettiamo di discutere e studiare la fattibilità dell’istituzione di una infrastruttura indipendente di regolamento transfrontaliero e depositario, BRICS Clear, un’iniziativa per integrare l’infrastruttura del mercato finanziario esistente, così come la capacità di riassicurazione indipendente dei BRICS, compresa la Compagnia di (Ri)assicurazione BRICS, con partecipazione su base volontaria”. Il quarto paragrafo, infine, si concentra brevemente su politiche del lavoro, ambientali e sulla preservazione della biodiversità.
Al termine del vertice, i BRICS hanno iniziato a valutare un allargamento dei Paesi partner, tra cui si annoverano Cuba, Nigeria, e, nonostante le varie indiscrezioni, Turchia. L’eventuale entrata di Ankara nei BRICS è stata più volte fonte di discussione e speculazione giornalistica, oltre che di diffusione di autentiche fake news, come quella relativa a una sua richiesta formale di adesione al gruppo. Tuttora, malgrado le numerose voci, lo status della Turchia risulta incerto. La presenza di Erdogan agli incontri, comunque, appare quanto meno interessante, e conferma la tendenza del Paese a restare in bilico tra mondo occidentale e realtà orientali. Attualmente, i BRICS, fondati nel 2009, sono composti da Brasile, Russia, India, Cina (i Paesi fondatori, da cui deriva il nome del gruppo), Sudafrica (che si è aggiunto nel 2011, e a cui si deve la lettera finale dell’acronimo), Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran (aggiuntisi l’1 gennaio 2024).
[di Dario Lucisano]
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