La proliferazione degli Zelensky
di Pino Cabras - 28/10/2024
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Fonte: Pino Cabras
Le elezioni in Georgia, così come quelle di pochi giorni fa
in Moldavia, hanno un peso di gran lunga superiore a quello
demograficamente modesto dei due paesi post-sovietici. E come sempre più
spesso accade, del racconto dei media occidentali nulla – ma proprio
nulla - serve a capire la verità dei fatti. Presentano ogni cosa come
uno scontro fra democrazia di stampo liberale occidentale da una parte e
autocrati filorussi dall’altra. Il tutto condito da manipolazioni
estreme delle vicende storiche e delle cronache politiche.
Quelli che
chiamano “filorussi” in realtà sono esponenti di formazioni politiche
che a lungo – sino a poco tempo fa - hanno sostenuto un avvicinamento
dei loro paesi alle istituzioni sovranazionali occidentali, UE e NATO.
Solo che è avvenuto un importante cambiamento. Il problema che ora fa
strillare come aquile spennate le cancellerie occidentali è che adesso
queste personalità si sono accorte dell’immensa fregatura e si rifiutano
di trasformare questo avvicinamento in un vassallaggio totalmente
subalterno e dipendente dall’Occidente, interamente finalizzato ad
aprire un altro fronte di guerra contro la Russia che avrebbe un prezzo
distruttivo per i loro paesi. Hanno capito la dimensione spaventosa del
baratro e capiscono che i pifferai che vengono da Ovest li stanno
portando proprio lì.
Il primo ministro georgiano e fresco trionfatore
delle elezioni, Irakli Kobakhidze, semplicemente non vuole essere come
il presidente ucraino Volodymir Zelensky: non vuole trasformare il suo
paese in una piattaforma ostile e russofoba di permanente provocazione
militare e di sabotaggio sistematico della pace. Non vuole che la sua
popolazione sia usata come “materiale di consumo” per i progetti di
guerra di Washington, Londra e Bruxelles.
Idem si dica del candidato alla presidenza della Moldavia, Alexandr Stoianoglo.
Né Kobakhidze né Stoianoglo vogliono seguire le tragiche orme di Kiev.
Chi
vuol essere Zelensky sono invece le due donne presidenti, entrambe con
cittadinanza di paesi occidentali, Salomé Zourabichvili in Georgia
(master alla Columbia University, allieva di Zbigniew Brzezinski), Maia
Sandu in Moldavia (master ad Harvard e consulenze alla Banca Mondiale).
Sono due fantocci - loro sì - disposti a guidare l’ennesima “Rivoluzione
colorata” al prezzo di una guerra civile per imporre un’agenda
interamente asservita alla combinazione bellicista NATO-UE e disposta a
demonizzare, delegittimare in radice gli avversari politici assimilati
al ruolo di “burattini di Mosca”.
Il commissario europeo Olivér
Várhelyi lo scorso 23 maggio ha minacciato con toni mafiosi Kobakhidze
adombrando la possibilità di fargli subire un attentato come quello
subito da un altro bersaglio inviso a Bruxelles, il premier slovacco
Robert Fico. Naturalmente i media nostrani chiamano “legge russa” una
legge georgiana che - così come fanno i paesi occidentali, ma a Tblisi
in modo addirittura molto più blando – vuole impedire che la politica
nazionale sia condizionata dai finanziamenti diretti stranieri a
organizzazioni locali. L’Occidente pretende cieca obbedienza e totale
sacrificio degli interessi nazionali. Era dai tempi della favola del
lupo e l’agnello che non si sentivano pretese così sfacciate: ma
l’Occidente di oggi è ormai l’impero dell’arroganza ammantata di
ipocrisia e tutti i paesi si regolano di conseguenza. La lingua di legno
dei valori democratici e dei diritti umani declinati dagli esportatori
di democrazia piace solo a pezzi dell’élite che vogliono i vantaggi
miserabili della classica borghesia compradora mentre il loro paese
viene svenduto ai padroni delle borse e ai loro scagnozzi.
Ormai si
moltiplicano i paesi “di confine”, “in bilico”, che si trovano loro
malgrado in mezzo alle faglie telluriche dei nuovi equilibri (pensiamo
alla Serbia, ma sono tanti altri). Si trovano a dover scegliere se
raggiungere questi nuovi equilibri (ancora incompleti e contradditori,
ma estremamente attraenti e dinamici) del mondo BRICS in espansione,
oppure se rimanere assorbiti dalla torsione totalitaria dell’atlantismo
odierno. Sono perciò entrati in un’era drammatica di nuove turbolenze
pronte a ricongiungersi in un unico fronte di guerra globale. Il fronte
passa in mezzo alle loro rispettive società con blocchi sociali e
politici contrapposti e incomunicanti, con la quota di élite atlantista
pronta a portare tutti in guerra.
Se una divisione politica di questo
tipo prende piede persino negli USA, dove i blocchi affrontano le
elezioni pronti a delegittimarsi a vicenda, non c’è da meravigliarsi che
il fenomeno dilaghi in tutti quei posti in cui l’egemonia del dollaro e
dei suoi vassalli scricchiola in virtù di fatti materiali e interessi
fortissimi, mentre si approntano alternative strategiche ed economiche
planetarie che sono il tipico incubo di un impero in declino, come lo è
quello delle talassocrazie anglosassoni.
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