Israele è criminale, stia fuori dall’Onu
di Pino Arlacchi* - 27/10/2024
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Fonte: Il Fatto Quotidiano
Similitudini
- Le Nazioni Unite non hanno mai espulso nessuno Stato membro. Tuttavia
nel 1974 si tentò di allontanare il Sudafrica dell’apartheid: un caso
che presenta diverse analogie con l’oggi
La
misura è colma. Lo Stato di Israele non può più stare nelle Nazioni
Unite. È diventato uno Stato fuorilegge che infrange uno dopo l’altro i
capisaldi del diritto internazionale e che fa sfoggio della propria
impunità potendo contare sulla protezione politica e sul sostegno
militare senza limiti degli Stati Uniti.
Se
così non fosse, Netanyahu non avrebbe mai osato insultare l’Onu, in
piena Assemblea Generale, definendola “una palude di bile antisemita”, e
non avrebbe fatto uccidere, durante il solo 2023, 230 dipendenti
dell’Unrwa nel corso di bombardamenti, incendi e assalti a scuole,
depositi di viveri, convogli di aiuti umanitari marcati Onu. L’Unrwa è
l’agenzia creata nel 1949 dall’Assemblea Generale per assistere i
rifugiati palestinesi creati dalla “Nabka”, la catastrofe del 1948 che
vide 700 mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e
dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne l’esercito di
Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti
dall’Onu, e inaugurando una lunga serie di crimini e di illegalità che
arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione
dello Stato di Israele nonché di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili.
Accanto
all’Unrwa, la seconda maggiore vittima dell’ostilità israeliana verso
le Nazioni Unite è l’Unifil, una missione composta da 50 paesi, creata
nel 1978 dal Consiglio di Sicurezza per promuovere la pace in Libano.
L’Unifil ha pagato finora con 337 vite umane l’attuazione del suo
mandato. Non tutte le sue perdite sono dovute ad attacchi israeliani, ma
è proprio in queste settimane che è esplosa tutta l’insofferenza di Tel
Aviv contro possibili testimoni di atrocità pianificate e sul punto di
essere attuate.
Dal
1948 fino a oggi, sono oltre 24 le risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza che criticano o condannano l’occupazione illegale di territori
e le crudeltà di Israele contro i palestinesi. Alcune di queste
risoluzioni sono diventate famose per essere richiamate di frequente
durante le crisi scatenate da Israele.
La
risoluzione 242 del 1967 stabilisce il ritiro di Israele dai territori
occupati dopo la Guerra dei Sei giorni allo scopo di favorire una pace
duratura nel Medio Oriente. Le risoluzioni 446 del 1979, 904 del 1994,
1073 del 1996 e 1394 del 2002 si uniscono alle 155 risoluzioni approvate
dall’Assemblea generale dal 2015 a oggi e che riguardano i tre
interventi militari in Libano precedenti quello in corso, gli
insediamenti illeciti in Cisgiordania, il ritiro da territori occupati,
le stragi e le deportazioni di civili palestinesi.
Queste
deliberazioni della maggioranza globale sono altrettante tappe del
solco che si è scavato tra i governi di Israele da un lato, e le Nazioni
Unite e il resto del mondo dall’altro. I 41 mila morti di Gaza, i 100
mila feriti, i milioni di sfollati del Libano e di Gaza, i ripetuti
attacchi all’Iran, allo Yemen e alla Siria, gli assassini mirati di
singole personalità straniere avvenuti nel corso dell’ultimo anno non
sono giustificabili in alcun modo. Non sono eccessi di legittima difesa
causati dal massacro di 1200 civili israeliani.
Ci
troviamo di fronte a uno Stato membro dell’Onu colpito da un processo
degenerativo. Diventato un aggressore seriale che non riesce ad
astenersi dal commettere crimini contro l’umanità, crimini di guerra,
tentati genocidi e stragi a ripetizione per poi fare la parte della
vittima e rifugiarsi dietro lo scudo degli Stati Uniti.
Nessuno
Stato membro è mai stato espulso dalle Nazioni Unite. Tuttavia,
l’organizzazione ci è andata molto vicino, nel 1974, nel caso del
Sudafrica, un caso che presenta evidenti analogie con quello odierno di
Israele. Il dibattito all’Onu sull’espulsione del Sudafrica non fu
scatenato solo dalla crescente avversione internazionale nei confronti
dell’apartheid, ma anche dalla continua occupazione Sudafricana della
Namibia, definita illegale dalla Corte internazionale di giustizia, come
nel caso dell’attuale occupazione israeliana del Libano e della
Cisgiordania.
Tutto
iniziò nel 1969, con la risoluzione 269, in cui si affermava che,
qualora il Sudafrica non si fosse ritirato dalla Namibia, il Consiglio
di Sicurezza si sarebbe “riunito immediatamente per stabilire le misure
efficaci” da adottare.
Fu
sollevato il tema dell’applicazione dell’articolo 6 della Carta delle
Nazioni Unite, che riguarda la procedura di espulsione di uno stato
membro, da votare in Assemblea Generale su proposta del Consiglio di
Sicurezza.
Il
Sudafrica non fu espulso dall’Onu solo perché tre su cinque membri del
Consiglio di Sicurezza – Usa, Francia e Regno Unito – posero il veto
sulla proposta. Si trattava pur sempre di un bastione anticomunista da
proteggere. Ma l’Assemblea Generale aggirò l’ostacolo nel 1974
rifiutandosi di accettare, a stragrande maggioranza, le credenziali
della delegazione sudafricana. Il Sudafrica restò così escluso dalla
partecipazione all’Assemblea Generale per ben venti anni, fino al 1994,
rientrandovi solo dopo la fine dell’apartheid.
La
situazione attuale di Israele è molto più grave di quella Sudafricana
degli anni 70. In entrambi i casi siamo di fronte a regimi rogue,
“delinquenti”, ai margini della comunità internazionale. Ma lo Stato
razzista bianco – posto di fronte agli attentati commessi dall’ala
terroristica del movimento di liberazione guidata dal giovane Mandela e
alle enormi manifestazioni di piazza – non tentò il genocidio o la
deportazione della popolazione nera. Gli anni della transizione alla
democrazia, perciò, costarono ai neri sudafricani “solo” 14 mila morti.
Negli ultimi decenni della sua vita, il regime di Joannesburg non mosse
guerra né all’Onu né alle missioni Onu. Il suo tramonto è avvenuto con
un accordo tra le parti e con la promessa di una futura riconciliazione.
Mandare
via Israele dall’Onu è una misura drastica, ma necessaria. Occorre
rompere la bolla di isteria e onnipotenza dentro cui vive un regime di
psicopatici che non si rendono conto di essere in guerra non contro i
palestinesi e il Medio Oriente, ma contro il mondo intero. Lo choc può
essere salutare anche per il suo protettore, una superpotenza in declino
tentata di andare nella stessa pericolosa direzione.
* Già vicesegretario generale dell’Onu
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