“Israele” cerca una strategia di uscita dopo il fallimento dei suoi obiettivi in Libano
di Yusuf Fernandez
Con
l’esaurimento delle operazioni militari efficaci, comprese le
incursioni di terra nemiche, la leadership di Israele si trova ad
affrontare la sfida di formulare una strategia di conflitto, al fine di
evitare di sprofondare in una lunga guerra di logoramento che l’entità
sionista e la sua economia indebolita non potrebbero sopportare.
Negli
ultimi giorni, l’esercito israeliano ha subito decine di morti e
centinaia di feriti in pochi giorni nel Libano meridionale, uno scenario
molto peggiore in proporzione a quello della sua occupazione del Libano
meridionale tra il 1982 e il 2000.
I leader e gli esperti del nemico israeliano non nascondono che lo scenario attuale non solo non porterà a nessun ulteriore risultato positivo, ma diventerà anche una fonte di pressione sull’establishment politico e di sicurezza e porterà ad un marcata divisione dell’opinione pubblica israeliana.
Questa sfida si è cristallizzata dopo
che è diventato chiaro al nemico che non era riuscito a distruggere le
capacità militari di Hezbollah, a smantellare il suo sistema di comando e
controllo o a indebolire le sue prestazioni operative. Gli
avvenimenti dimostrano che il partito Hezbollah è riuscito a contenere
lo scontro, a recuperare l’iniziativa militare operativa e a cominciare a
imporre equilibri con risposte che si estendono in profondità nei
territori occupati da “Israele”.
Forse un insieme di variabili attese
a livello regionale (la tensione tra Iran e “Israele” e le sue
conseguenze) e internazionale (le elezioni presidenziali americane e i
loro risultati) contribuiscono a ritardare l’adattamento del nemico alla
realtà del sud del Libano e degli attacchi missilistici che riceve il
suo fronte interno, affinché i percorsi politici e territoriali vengano
disegnati alla luce di queste due variabili.
Sembra chiaro che il problema del nemico è che le sue ambizioni politiche e di sicurezza sono molto più ampie di quanto impone la realtà sul campo, alla luce della continua fermezza della resistenza, che ha un’ampia base sociale che non può essere ignorata in nessuna soluzione politica .
Storicamente, “Israele” ha cercato di trasformare il Libano in uno stato satellite incoraggiando gli ambienti dell’opposizione a resistere con l’intenzione che il Libano non costituisse un ostacolo ai suoi piani di egemonia regionale, e ritiene che qualsiasi autorità politica che non accetti le sue richieste, non è disposta ad attuarle e non lavora per isolare la resistenza e la sua base sociale su cui poggia, costituisce una minaccia per il regime israeliano. Va notato, tuttavia, che Hezbollah non gode solo del forte sostegno della comunità sciita libanese (che costituisce più di un terzo del paese), ma anche di numerosi cristiani e musulmani sunniti.
Tuttavia, le esperienze di conflitto con il nemico hanno dimostrato che quello di solito alza al massimo il tetto politico e le sue ambizioni e cerca di realizzarle al massimo possibile, ma quando vede che la fermezza della resistenza gli impedisce di realizzarle e che quest’ultima si rafforza e si intensifica, allora si ritira ai suoi limiti minimi.
Questo scenario è confermato dal fatto che quando questi massimali esagerati si sono cristallizzati, si è basato su una scommessa operativa che avrebbe dovuto avere successo, ma che è stata sorpresa dal suo fallimento nel momento in cui ha visto che Hezbollah è tornato a bombardare il suo fronte interno con salve di missili in una dimensione di molto maggiore proporzione rispetto a prima e i loro tentativi militari non hanno avuto successo. Haifa e Tel Aviv sono già state attaccate con missili e droni e questa situazione continuerà e addirittura persisterà.
In questo senso, Orna Mizrahi, ricercatrice presso l’Istituto “Israele” per gli studi sulla sicurezza nazionale, ritiene che “il partito (Hezbollah) è riuscito a riprendersi dopo i duri colpi che sono stati diretti in particolare alla sua leadership e alla sua generazione fondatrice. Nel frattempo, i combattenti continuano a lanciare centinaia di razzi, missili e dozzine di droni contro obiettivi militari e civili sul fronte interno israeliano, e ampliano continuamente il raggio dei bombardamenti, dal nord ad Haifa e, negli ultimi giorni, anche oltre Haifa, verso il centro”.
Il risultato è che Netanyahu non solo non è stato in grado di “riportare indietro” i coloni dal nord, ma il numero degli sfollati è aumentato poiché Hezbollah ha attaccato gli insediamenti con maggiore intensità e ha ampliato gli obiettivi dei suoi attacchi.
Recentemente i coloni rimasti a Kiryat Shmona sono stati chiamati dalle autorità locali a lasciare l’insediamento per recarsi a Tiberiade.
Anche “Israele” non è stato in grado di raggiungere il suo obiettivo di “eliminare Hamas” e tanto meno Hezbollah. Dopo un anno intero di guerra, ciò non è avvenuto ed è chiaro che continuare i vostri attacchi non porterà al risultato che cercate. In un recente discorso, il vice segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha osservato che non ci saranno negoziati sotto attacco e che il fronte di Gaza non può separarsi dal fronte libanese.
Un’altra domanda che gli israeliani devono affrontare è cosa accadrà alle decine di migliaia di combattenti stranieri, principalmente dall’Iraq, dallo Yemen e da altri paesi, che sono arrivati nella regione per unirsi ai combattenti di Hezbollah. Nel caso di un afflusso di combattenti stranieri, la posizione israeliana sarebbe molto più esposta poiché si trova ad affrontare una guerra senza fine contro un numero praticamente inesauribile di combattenti della resistenza provenienti da numerosi paesi.
Mizrahi ritiene che quanto viene richiesto a “Israele” in questa fase, soprattutto con il continuo “esaurimento” delle operazioni militari nel sud del Libano, è di “cristallizzare una strategia di uscita”, per “non sprofondare in una guerra lunga e priva di significato nel nord”.
Fonte: AL Manar
Traduzione: Luciano Lago
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