La NATO, inizialmente costituita come alleanza difensiva nel 1949, si è trasformata nel tempo in uno strumento geopolitico a guida statunitense, la cui azione bellica contro la Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1999 ha segnato l’inizio di una nuova strategia. L’intervento ha visto il coinvolgimento di vari Paesi europei, tra cui Germania e Spagna, che non entravano in conflitto armato dal 1945. Questi bombardamenti hanno portato alla morte di numerosi civili, molti dei quali vittime di bombe all’uranio impoverito, lasciando cicatrici profonde e durature nei Balcani e ponendo questioni sulla natura e sugli obiettivi reali della NATO.
Il concetto di “Stato-portaerei”, teorizzato nel contesto dell’espansione NATO, si riferisce a entità territoriali che fungono da avamposti strategici per i progetti di egemonia occidentale. In questo modello, tali Stati, sostenuti militarmente e finanziariamente dagli USA e dalla NATO, fungono da strumenti per proiettare potere nelle regioni strategiche senza che le potenze occidentali debbano schierare proprie forze in maniera massiccia. Israele, ad esempio, è visto come una “portaerei” statica nel Mediterraneo orientale, con il supporto incondizionato degli Stati Uniti e un ruolo chiave per garantire stabilità alleata in Medio Oriente.
Il Kosovo, riconosciuto come Stato indipendente grazie all’intervento NATO, è un altro esempio di Stato-portaerei. Strategicamente posizionato nei Balcani, il Kosovo ospita una delle più grandi basi militari americane in Europa, la base Bondsteel. La sua esistenza come entità indipendente serve gli interessi NATO, riducendo l’influenza serba e russa nella regione e fornendo una piattaforma di controllo e influenza su tutto il Sud-Est europeo.
L’Ucraina rappresenta un ulteriore sviluppo di questa teoria, poiché l’invasione russa ha visto la NATO e gli Stati Uniti impegnati nel sostenere Kiev, armando e addestrando l’esercito ucraino in funzione anti-russa. In questo caso, l’Ucraina diventa uno “Stato-portaerei “de facto, in quanto riceve aiuti militari significativi e funziona come una barriera avanzata contro l’influenza russa in Europa. La guerra in Ucraina, però, ha mostrato anche i limiti di questa strategia, con una NATO che si è rivelata incapace di intervenire direttamente per non rischiare uno scontro globale, preferendo supportare il conflitto attraverso armi, finanziamenti e intelligence.
Il concetto di Stato-portarei si estende inoltre al Nord Africa, con il Marocco come alleato strategico di Stati Uniti, Francia e Israele. Il Paese nordafricano, posizionato tra l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo, rappresenta una postazione cruciale per il controllo di rotte marittime vitali. Il sostegno militare e finanziario occidentale permette al Marocco di assumere il ruolo di custode dei confini meridionali dell’Europa, in funzione anti-immigrazione e contro le minacce di destabilizzazione provenienti dal Sahel.
La teoria degli Stati-portarei suggerisce una tendenza da parte dell’Occidente a stabilire o sostenere Stati-clienti in regioni critiche, creando entità che possono fungere da postazioni militari e politiche senza compromettere direttamente le forze occidentali. Tuttavia, questa strategia è rischiosa, poiché contribuisce a creare instabilità nelle regioni coinvolte e genera Stati “artificiali” spesso altamente militarizzati, privi di una solida base economica e sociale. Le conseguenze di questo approccio sono evidenti: aumenta la probabilità di conflitti prolungati, e le tensioni geopolitiche si amplificano, con gravi rischi per la sicurezza europea.
Nessun commento:
Posta un commento