Israele, l'Iran e la Grande guerra mediorientale
La pioggia di missili caduta su Israele potrebbe servire per riportare la sua leadership alla realtà dopo il delirio di onnipotenza successivo all’attacco tramite cercapersone e all’assassinio di Nasrallah. Difficile che accada, ma il destino del Medio oriente e del mondo è appeso a come essa deciderà di reagire al raid iraniano, dal momento che Teheran ha annunciato una nuova ondata di attacchi se sarà colpita.
L’America e la grande guerra: rischi, ma anche opportunità…
La risposta ci sarà, ha deciso il gabinetto di sicurezza israeliano, ma deve ancora prendere forma. Il motivo lo spiega Axios: “Israele risponderà da solo, ma vuole coordinarsi con gli Stati Uniti per le implicazioni strategiche della situazione. Un altro attacco iraniano in risposta a una rappresaglia israeliana richiederebbe una cooperazione difensiva con il Comando centrale degli Stati Uniti, altre bombe per l’aeronautica militare israeliana e altri tipi di supporto operativo Usa, ha affermato un funzionario israeliano”.
Sempre Axios: “Durante i colloqui tra l’amministrazione Biden e il governo israeliano di martedì, gli Stati Uniti hanno chiarito che sosterranno una risposta israeliana, ma ritengono che debba essere ponderata“.
Per parte sua Netanyahu ha però già annunciato “gravi conseguenze” (cioè una risposta non proprio “ponderata”). Parole usate successivamente, e non casualmente, dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa Jacob Jeremiah (Jake) Sullivan, il quale ha affermato che gli Usa si impegneranno perché la minaccia si concretizzi.
L’America è divisa, quindi. E ciò perché nel suo establishment non pochi ritengono che un incendio divorante del Medio oriente potrebbe portare vantaggi agli Stati Uniti.
Esaustivo, su tale dialettica, un articolo di David Sanger, autorevole opinionista del New York Times: “‘Una guerra su vasta scala, o anche una più limitata, potrebbe risultare devastante per il Libano, Israele e la regione’, ha affermato Jonathan Panikoff, direttore della Scowcroft Middle East Security Initiative presso l’Atlantic Council. “Ma da essa deriveranno anche opportunità inaspettate, come indebolire la malvagia influenza iraniana nella regione, ad esempio, ostacolando attivamente i suoi sforzi di ricostituire Hezbollah. E una nuova amministrazione dovrebbe essere pronta a trarne vantaggio’“.
“Questo è ciò che fanno le guerre combattute all’antica e le guerre calde”, annota Sanger. “Creano nuove dinamiche di potere, vuoti da riempire. Ma resta il pericolo che le guerre su vasta scala, una volta iniziate, proseguano per anni prima che si riesca a chiuderle. E la presenza di armi nucleari, missili balistici e di pulsioni verso l’escalation crea una miscela particolarmente tossica”. Sanger è un falco, da cui l’importanza della prudente annotazione finale (da notare come Panikoff riconosca che anche Israele ne uscirà devastato…).
Il forcing e la sorpresa di Netanyahu
In attesa degli sviluppi, possiamo solo notare che l’iniziativa iraniana è stata forzata in tutti i modi da Netanyahu. Non solo attraverso il genocidio di Gaza, il cui strazio è così lontano da tanti cuori occidentali, ma più che sentito altrove. Un genocidio che Netanyahu ha portato avanti con metodo, sabotando tutti i tentativi di tregua (vedi Haaretz) per alimentare l’incendio affinché dilagasse in Libano per poi incenerire l’Iran, la cui distruzione è da decenni la sua principale ossessione (Reuters).
Ma soprattutto superando tutte le linee rosse, com’è avvenuto per l’assassinio del leader di Hamas Haniyeh, ucciso in Iran in concomitanza con l’insediamento del nuovo presidente, e la più recente uccisione di Nasrallah, il leader di Hezbollah.
Un assassinio quest’ultimo, che aveva uno scopo precipuo: far saltare i negoziati tra Stati Uniti, Iran e la parte più ragionevole di Israele per chiudere le ostilità mediorientali, un’intesa che era stata raggiunta con il placet di Netanyahu, con sconfessione successiva di quest’ultimo (Axios).
Sebbene saltata, però, la trattativa aveva ripreso slancio sottotraccia all’Assemblea generale dell’Onu, grazie anche all’impegno del nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, sostenitore di un appeasement con gli Usa. E proprio mentre si trovava negli Usa per partecipare alla sessione Onu, Netanyahu ha ordinato l’assassinio di Nasrallah, incenerendo tale possibilità.
Non pago, tornato in patria ha inviato uno stranissimo messaggio al popolo iraniano, preannunciando il prossimo collasso del governo di Teheran. Con l’ajatollah Khamenei costretto a rifugiarsi in un luogo sicuro, le parole di Netanyahu sono risuonate come una dichiarazione di guerra. Il presidente iraniano, che fino a quel momento aveva frenato le pressioni per rispondere alle iniziative incendiarie di Israele, non ha più avuto possibilità in tal senso. Da qui il raid di ieri.
Detto questo, Netanyahu è stato sorpreso dall’attacco, avendo immaginato un’escalation progressiva e un’eliminazione dei nemici in stile Orazi e Curiazi ed essendo convinto che Teheran fosse paralizzata.
Tanto che ha cercato la mediazione di Putin per fermare il raid (Yedioth Aronoth). Ma l’interlocutore – forse informato preventivamente dell’attacco dal primo ministro russo Mishustin, appena tornato dall’Iran – evidentemente non era disponibile. Insomma, non è andata come prevedeva, come dimostra il nervosismo palesato nel video in cui minaccia rappresaglie contro Teheran.
Di interesse l’editoriale di Haaretz sull’incendiario premier israeliano: “Israele si trova del periodo più difficile della sua storia, sotto una leadership spericolata guidata da un uomo la cui unica promessa fatta e mantenuta al suo popolo è stata quella di vivere di spada. […] Sotto la sua guida sconsiderata, Israele sta facendo passi da gigante verso una guerra regionale, mentre il mondo continua a chiedersi: cosa vuole? Dove sta andando?”
Ora sta agli americani decidere se frenare Netanyahu o meno. Così Trita Parsi su Responsible Statecraft: “Bisogna sperare che in qualche modo si eviti un’ulteriore escalation. Ma il rischio di un simile esito è enorme e se gli Stati Uniti si ritrovassero in una nuova guerra senza fine in Medio Oriente, la responsabilità ricadrebbe su Biden. La Casa Bianca ha ripetutamente scelto di tenere gli Stati Uniti sull’orlo della guerra, piuttosto che frenare l’esercito israeliano mentre le sue guerre in espansione uccidevano sempre più civili a Gaza e in Libano. L’amministrazione Biden ha contribuito a provocare questo momentum estremamente pericoloso assicurando a Israele armi, protezione politica, supporto diplomatico e il denaro di cui ha bisogno per perseguire esattamente l’escalation che la stessa amministrazione Biden dichiara di non volere”.
Nessun commento:
Posta un commento