«Legittimo attaccare la Russia». Ma a Bruxelles qualcuno conosce la storia?
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Ancora una volta, i geniali capintesta di Bruxelles fanno finta di non capire nulla dello spirito che anima i russi. Fingono, ovviamente; e che altro potrebbero fare: gli interessi del complesso militare-industriale euro-atlantico, a partire da quello tedesco che sta incamerando miliardi su miliardi dal conflitto in Ucraina, impongono alle teste di legno di Bruxelles di spingere Kiev a nuove avventure. Attaccate dunque a piacere il territorio russo, urlano quei genialoni ai nazigolpisti, noi vi sosteniamo fino in fondo. Duecento e più anni di storia buttati al vento. Attaccate, penetrate fin dentro la Russia: sarà un colpo “al cuore dell'impero”! Ecco, proprio così: non c'è modo più sicuro di questo per sollevare lo spirito russo e spingere anche i dubbiosi a far quadrato contro l'attaccante. Geniale, da parte di Kaja Kallas & Co. Non c'è che dire. Ma, gli affari sono affari. Rheinmetall, Leonardo, Lockeheed, Northrop, Boeing, e via dicendo Grumman lo impongono.
Ma veniamo al dunque: l'attacco ucraino nella regione russa di Kursk.
Il solito “consigliere” presidenziale golpista Mikhail Podoljak sentenzia che la bravata è necessaria «per iniziare i colloqui con Mosca», dato che, dice lui, i russi «possono sedere al tavolo delle trattative e si può ottenere qualcosa da loro, solo se capiscono che la guerra non segue lo scenario da essi voluto» e la Russia può fare concessioni solo se le si incute paura.
Un ragionamento da vero “stratega”, che arriva, come ricorda Irina Alksnis su RIA Novosti, nel momento in cui Kiev ha ricevuto una serie di colpi abbastanza dolorosi: le “imprese” africane, risoltesi con la rottura con Mali e Niger; le iniziative di paesi terzi per arrivare al cessate il fuoco; le disfatte ucraine al fronte, che portano i curatori di Kiev a considerare come male minore l'accettazione delle condizioni russe.
Ed è proprio per Kiev che le trattative costituirebbero una sonora sconfitta, non foss'altro perché Mosca ha dichiarato senza giri di parole di non aver intenzione di trattare con l'ormai illegittimo Vladimir Zelenskij. Il quale ultimo, insieme alla sua cerchia golpista, fa di tutto – e l'attacco su Kursk ne è un'ulteriore prova – per dimostrare al mondo quanto sia “indipendente” anche dai propri più accaniti sponsor anglosassoni, riuscendo comunque a sollevare i cori di approvazione dei genialoni europeisti che, al pari di Kiev, fingono appunto di non sapere quali reazioni siano solite apparire nel corpo della società russa, ogni qualvolta senta odore di invasione straniera, foss'anche risoltasi in veloce disfatta ukronazista e, contrariamente alle intenzioni degli attaccanti, con la perdita di altro territorio ucraino, nonostante il massiccio impiego di blindati e corazzati occidentali.
Quali gli obiettivi concreti dell'attacco? Si è parlato della centrale atomica di Kurchatov, non lontano da Kursk. The Washington Post
ritiene che «obiettivo di Kiev potrebbe essere quello di interrompere
ogni fornitura di gas russo verso l'Europa, come leva di pressione» su
Mosca e, in effetti, proprio nelle vicinanze di Sudža, parzialmente
occupata dalle forze ucraine, c'è la centrale gasiera attraverso cui
passa il gas russo diretto in Europa e, tra Kurchatov e Sudža, non ci
sono che una sessantina di km. Ma le forze russe hanno già ripreso il
controllo dell'area.
LEGGI: Mosca aggiorna il numero delle perdite ucraine nell'incursione a Kursk
Come nota Evgenij Krutikov su Vzgljad, anche con il temporaneo predominio ucraino in un'area circoscritta, era comunque difficile, sin dall'inizio, contare su un'avanzata particolarmente profonda in territorio russo e sulla conquista di obiettivi di una qualche importanza, come, appunto, centrali atomica o gasiera. A quanto sembra, però, ancora una volta a Kiev la speranza su effetti politici e propagandistici ha prevalso sul buon senso e sulle teorie militari.
Dopo tre giorni di euforia, le forze ucraine si sono trovate sul punto di perdere due brigate d'assalto e potenzialmente parte della regione di Sumy. Un prezzo decisamente alto per dimostrare le "capacità" militari di Kiev e ottenere «posizioni negoziali favorevoli».
Di fatto, a parere di vari osservatori ucraini, i nazigolpisti stanno preparando psicologicamente gli ucraini a una “pace ingiuriosa”. Nella società ucraina, scrive Sergej Zuev su Ukraina.ru, ci si rende conto che la guerra non è che un modo di arricchimento dei vertici politici e, dunque, né Zelenskij, né i suoi accoliti sono interessati alla pace. Ma questa verrà. Che tipo di pace sarà, questa è un'altra cosa. Su UKRLIFE.TV, il politologo ucraino Andrej Zolotarev afferma che Kiev non controlla la situazione e, ammesso che il fronte o le retrovie reggano, «ciò che ci aspetta, nel migliore dei casi, è qualcosa di simile al piano di pace cinese, cioè un cessate il fuoco, poi lo svolgimento di elezioni e poi, forse, la firma di alcuni documenti che probabilmente porranno fine al conflitto per un po'. Anche se, con un alto grado di probabilità, dopo qualche anno rischieremo una continuazione della guerra», perché in ogni caso la politica ucraina sarà «per definizione anti-russa e ci sarà brama di vendetta». E i curatori occidentali, possiamo aggiungere, da oltre un secolo puntano proprio sull'Ucraina quale spada di Damocle nei confronti della Russia: erano stati, tanto per ricordarne una, i tedeschi di Guglielmo II, nel 1918, insieme alla cosiddetta Repubblica popolare ucraina antibolscevica, a occupare proprio l'allora governatorato di Kursk. Per non parlare dei loro successori nazisti e dei loro scagnozzi banderisti, e poi ancora, di seguito, dei piani CIA sulle “zone ucraine adatte a operazioni antisovietiche...
Dunque, che futuro attende l'Ucraina? L'economia è crollata e si è vicini a una catastrofe demografica; il governo sta quindi preparando «la società a una pace vergognosa», afferma Zolotarev, che una sua parte significativa percepirà come un tradimento, dopo che, per anni, si sono gonfiate le aspettative degli ucraini. E proprio la mancata realizzazione di tali aspettative farà sprofondare questa parte della società «nella depressione, che potrebbe trasformarsi in aggressione verso coloro che hanno condotto a questa situazione».
Ciò significa, di fatto, l'annientamento politico dell'attuale junta golpista. Anche se è pur vero che Bruxelles «non sta affatto togliendo il sostegno a Kiev, ma la sta spingendo a una pace in cambio di territori», in vista della quale, osserviamo, non ci si fa scrupolo di fomentare ancora più le spinte terroristiche ukronaziste, che la UE, coi suoi guerrafondai a ogni costo, proclama “legittime”.
In ogni caso, sondaggi addomesticati a parte, a seconda del trend propagandistico che, nel dato momento, serve alla junta, pare indubbio il desiderio di pace degli ucraini, di contro al partito della guerra guidato da Vladimir Zelenskij. Dunque, dichiara al canale Politeka l'ex deputato della Rada Igor Mosijchuk (non certo un “agnellino”: ha comandato operazioni “Antiterrorismo” in Donbass, all'epoca di Petro Porošenko) il popolo «chiede la pace, perché è stanco della guerra», così che Zelenskij passa a una “retorica pacifista", ma solo all'interno, perché all'esterno si deve ancora elemosinare denaro dall'Occidente; denaro che non fa altro che alimentare corruzione e scandali.
E la gente vede tutto questo; ci si rende conto che Zelenskij non vuole la pace, per la semplice ragione che – qui Mosijchuk è certamente troppo ottimista - con la fine delle ostilità, si terranno le elezioni presidenziali, lui le perderà e lo metteranno in galera. Così lui fa il doppio gioco: retorica sulla pace e continuazione della guerra, che per Zelenskij e la sua cerchia è «un grosso e folle affare, sul quale sono diventati miliardari».
Tra l'altro, tanta è la “volontà pacifista” della junta che, secondo il deputato Fedor Venislavskij, alla Rada sarebbe in preparazione un disegno di legge per consentire direttamente ai comandanti delle unità militari di arruolare uomini senza l'intervento dei distretti, sui quali si sta sempre più concentrando lo sdegno della popolazione per i metodi feudali di arruolamento forzato. In pratica, l'esercito agirebbe direttamente nei confronti degli uomini da mobilitare, rispondendo anche alle pretese dei curatori occidentali di Kiev, che impongono di abbassare fino ai 18 anni l'età dei coscritti.
Eccoli, i “piani di pace” della junta nazigolpista; eccole, le grida europeiste sul «diritto di Kiev di attaccare il territorio russo»: che muoiano quanti più giovani ucraini; gli affari degli un i e degli altri e dei complessi militari-industriali ne hanno urgente bisogno, per fare come Ezechia, che «ebbe ricchezze e gloria in abbondanza. Egli si costruì depositi per l'argento, l'oro, le pietre preziose, gli aromi, gli scudi e per qualsiasi cosa pregevole» (Cronache 2 – 32-27).
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