L’Italia è la quarta potenza al mondo per quanto concerne le esportazioni. Il primo semestre del 2024 ha visto il sorpasso del nostro Paese sul Giappone. Con 316 miliardi di euro di controvalore, le esportazioni di beni italiane hanno tra inizio gennaio e fine giugno superato quelle nipponiche, attestatesi a 312. A 308 miliardi, invece, il valore della Corea del Sud, sorpassata nei mesi scorsi, settima la Francia con 300, distanziata dai cugini d’Oltralpe.
L’Italia in un decennio ha scalato le classifiche, dal decimo al quarto posto. E, va detto, questo sorpasso avviene in un contesto in cui l’euro si è notevolmente apprezzato, tra fine 2023 e inizio 2024, rispetto a yen e won, le valute di Giappone e Corea del Sud, in un contesto in cui dunque si è prodotto un volano per la competitività all’estero dei prodotti dei due Paesi asiatici.
L’Italia guarda il podio costituito dai giganti dell’economia mondiale, Cina e Usa, e dalla potenza esportatrice per eccellenza, la Germania, dalla posizione massima a cui può ambire qualsiasi altra nazione della Terra. E lo fa – va detto – con un contributo delle proprie industrie a cui fa difetto un ruolo preponderante dell’automotive, per tutte le altre nazioni nelle prime sette posizioni della classifica voce importante dell’export.
In meno di quindici anni, l’Italia è arrivata ad avere in sei mesi lo stesso valore di export conquistato in un anno nel 2010 (337 miliardi) e se nel 2014 il valore era di poco inferiore ai 400 miliardi, quest’anno la spinta a superare quota 630 sembra tracciata.
Ad annunciare la notizia del sorpasso sul Giappone è stato Marco Fortis, Direttore della Fondazione Edison, che già nei mesi scorsi in un’analisi su Il Foglio ricordava come fossero “i magnifici sette” i settori trainanti dell’export italiano, raggruppandoli nelle “3F” e nelle “4M”: “Le 3F costituiscono i tre settori tradizionali di specializzazione internazionale dell’Italia, quelli più noti: Fashion, Food, wine and tobacco e Furniture and building materials. Ma le 4M sono non meno importanti e rappresentano i quattro settori di più recente sviluppo e specializzazione dell’Italia nel commercio mondiale. Le “4M” sono: Metal products, Machinery, Motor yachts and other transport equipment, Medicaments and personal care products”, notava Fortis.
L’economista ricordava che “le 91 voci statistiche che costituiscono i prodotti di punta dei “magnifici 7” settori del made in Italy hanno generato nel 2023 un export di 322,2 miliardi di dollari e un surplus con l’estero di 203 miliardi“.
Ebbene, tutto questo mostra una trasversalità settoriale e una pervasività della capacità di conquista di mercati esteri che si è sdoganata, in un decennio, al cambiare dei governi e in un contesto in cui, paradossalmente, la posizione internazionale del Paese subiva spesso duri colpi. L’export delle imprese ha assorbito i rincari di costi energetici, la precarietà geopolitica, la chiusura di molti mercati (si pensi al caso russo), l’inflazione e i rincari. Ha visto un contributo crescente del Mezzogiorno, che sta crescendo da dieci anni nelle classifiche dell’export più del resto del Paese. Inoltre, bisogna dirlo, è stato anche la conseguenza di politiche che ora lo Stato dovrebbe pensare di riconsiderare, a partire dalle scelte su lavoro e bassi salari, per redistribuire trasversalmente nella popolazione il dividendo dell’export.
Nel rapporto con l’estero, inoltre, si nota come ormai il “brand Italia” sia associato all’idea di alta qualità in ogni campo in un’ampia fascia di mercati internazionali. E questo garantisca un posizionamento produttivo che consente di sfruttare una rendita in termini di creazione di valore aggiunto e di assorbire anche la continua e crescente presenza di capitali stranieri nelle nostre aree industriali di punta. Questo deve però portare il sistema-Paese a lavorare per difendere i risultati acquisiti: creare filiere strategiche nei campi critici per l’innovazione di processo e di prodotto, far fare squadra al sistema Paese unendo atenei, centri di competenza, imprese e istituzioni per rafforzare il posizionamento dell’economia italiana, valorizzare competenze e talenti creando un capitalismo esportatore capace di garantire alti salari e alzare la solidità patrimoniale delle Pmi italiane sono obiettivi necessari da conseguire. Pena il rischio di veder sfumare le conquiste crogiolandosi sugli allori. Sarebbe un peccato, per la quarta potenza esportatrice mondiale, fermarsi quando il bello sembra appena cominciato.
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