La differenza tra la Shoah e la mattanza in Palestina
di Massimo Fini - 25/08/2024
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Fonte: Massimo Fini
Fra la Shoah e quanto sta avvenendo da alcuni mesi in
Palestina c’è una differenza. Della Shoah e della “soluzione finale” (è
anche incerto che Hitler abbia usato questa espressione anche se era nei
suoi intendimenti nei fatti) mentre erano in corso si aveva una scarsa
conoscenza sia negli Stati Uniti, sia in Europa sia nella stessa
Germania. Gli americani intervennero in Europa abbastanza obtorto collo
trascinati dalla provocazione giapponese di Pearl Harbour ed è certo che
gli Stati Uniti temevano più il Giappone che avrebbe potuto portare la
guerra sul suolo americano dei i nazisti che non avevano mai manifestato
questa intenzione. Intervennero per motivi militari e non certo per
salvare la comunità ebraica. Di quello che era successo si resero conto
quando messo piede sul suolo tedesco poterono entrare nei campi di
concentramento di Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen. Ma gli stessi
tedeschi ne sapevano poco. Ci sono migliaia di tedeschi che avevano
vissuto quasi a fianco dei campi di concentramento senza sospettare che
cosa avvenisse in quei gironi infernali. Certo si poteva sospettare.
Sospetti ne aveva Hanna Reitsch che nelle sue memorie racconta di aver
espresso ad Himmler le sue perplessità su quanto avveniva in Germania ai
danni degli ebrei e che Himmler rispose “credi sul serio a queste
cose?”. Quindi era possibile sospettare, ma era anche legittimo non
sospettare. Hanna Reitsch era un asso dell’aviazione tedesca, riuscì ad
atterrare sotto le bombe americane nell’aeroporto praticamente distrutto
che c’era a fianco del Bunker proponendo ad Hitler di salire sul suo
aereo e di mettersi in salvo, ma il Fuhrer rifiutò: “non voglio cadere
vivo nelle mani degli americani, mi metterebbero in una gabbia, come una
bestia da esporre al pubblico ludibrio” (cosa che poi avvenne per
personaggi minori e probabilmente colpevoli di nulla come il poeta Ezra
Pound messo in queste condizioni a Tombolo). Ora Reitsch non aveva
particolari simpatie per il nazismo in quanto tale casomai un’adorazione
quasi adolescenziale per il Fuhrer e quindi non c’è motivo per cui
mettesse in bocca ad Himmler un’espressione di fatto favorevole al
movimento nazista.
Insomma quasi tutto quello che abbiamo saputo
della Shoah lo abbiamo saputo dopo, non quando gli eventi erano in
corso. Poi bastò leggere il Diario di Anna Frank per capire cosa era
successo. Certo chi partiva dal terribile binario 21 della Stazione di
Milano sapeva di andare incontro ad un destino tremendo, ma non delle
sue circostanze, non aveva una consapevolezza piena delle modalità in
cui si sarebbe concretizzato questo destino. Della Shoah, mentre era in
corso, noi abbiamo avuto una conoscenza “de relato”, attraverso i
racconti delle vittime che dal campo di concentramento riuscivano a far
avere qualche notizia ai familiari o agli amici. Ma, insomma, quegli
avvenimenti atroci noi, come ho già detto, non li abbiamo visti. Non
c’erano le televisioni.
Quello che sta avvenendo in Palestina invece
noi lo vediamo ogni giorno, in presa diretta, grazie appunto alle tv, ai
social, alle testimonianze dirette dei protagonisti, nel bene e nel
male.
La tragedia del popolo palestinese non sta tanto nei 40 mila
morti, comunque una trentina di volte di più degli israeliani uccisi
dopo l’attentato del 7 Ottobre, ma nel fatto che due milioni di persone
sono costrette a vivere senza cibo, senza acqua, senza poter contare su
alcuna assistenza sanitaria perché quasi tutti gli ospedali di Gaza sono
stati distrutti, facendo strame del personale sanitario, medici,
infermieri, volontari. Questi attacchi agli ospedali, che secondo il
diritto internazionale non sarebbero comunque ammessi, vengono
giustificati dagli israeliani col fatto che vi si nasconderebbero molti
dirigenti di Hamas. Quel che è certo è che attualmente ci sono in
Palestina più dirigenti di Hamas, veri o presunti, che ospedali.
Questo
sterminio, non chiamiamolo Olocausto, avviene sotto gli occhi di tutto
il mondo che non è indifferente ma impotente. Biden ha tentato in tutti i
modi di convincere Netanyahu a darsi una misura, ma è stato sempre
umiliato dagli israeliani con un niet che ricorda quello di Gromyko, il
“signor niet” che a suo tempo esasperava gli occidentali.
Pressioni
su Netanyahu sono state fatte anche dagli inglesi (recentemente una
delegazione britannica è stata respinta) e prima ancora dai tedeschi e
dall’Unione Europea, dall’egiziano al-Sisi, dall’emiro del Qatar, ma la
risposta è stata sempre “niet”.
Il peggior nemico di Israele, e molti
all’interno della comunità ebraica internazionale e locale lo hanno
capito, è proprio Bibi Netanyahu che ha scatenato contro il proprio
paese l’odio del mondo intero, non solo arabo: fino al Sudafrica che ha
preso l’iniziativa di portare Netanyahu e alcuni dei suoi collaboratori
davanti al Tribunale internazionale dell’Aia per “crimini di guerra”.
Iniziativa di pura parata, pleonastica, perché si sa benissimo che
questo Tribunale non ha nessuna autorità ed è anche bene che non ce
l’abbia perché sarebbe il “Tribunale dei vincitori” come avvenne, alla
fine della Seconda guerra mondiale, con i processi di Norimberga e
Tokyo.
Che fare? Solo gli americani hanno la possibilità di fermare
Israele togliendogli i rifornimenti militari ed economici. Ma non lo
faranno mai, non solo perché considerano Israele il baluardo della
democrazia in Medio Oriente ma perché la comunità ebraica americana, cui
si aggiunge quella internazionale dei Soros dedita soprattutto a quella
speculazione finanziaria che oggi ci sta strangolando tutti ed è più
forte degli Stati Uniti, dell’Europa e della Russia messe insieme, è
troppo potente perché qualcuno osi mettersi contro.
Si potrebbero
creare delle “brigate internazionali” come è stato in passato per
esempio nella guerra civile spagnola, dove accorsero franchisti e
antifranchisti, comunisti e anarchici (Omaggio alla Catalogna) o nella
guerra greco-turca dove Lord Byron ci lasciò la pelle. Ma questa non è
più epoca di iniziative romantiche. Lord Byron non è morto solo
fisicamente ma anche come idea.
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