Perché la vendetta dell’Iran tarda ad arrivare?
Di Lorenzo Maria Pacini, strategic-culture.su
In molti si stanno domandando come mai l’Iran non abbia ancora scaricato la propria legittima vendetta contro Israele. Proviamo a dare una spiegazione geopolitica.
Una millenaria arte della guerra
Mettiamo in chiaro una cosa: l’Iran è un impero millenario, con una storia incredibile, una cultura ricchissima e uno stile di vita totalmente diverso da quello occidentale. Per queste semplicissime ragioni, gli occidentali non riescono a capire l’Iran. È un Paese troppo diverso dall’Occidente. Questo problema di interpretazione provoca numerosi fraintendimenti da parte degli analisti e dei giornalisti occidentali, ma anche da parte dei politici e degli strateghi, perché cercano di applicare delle chiavi di lettura che non sono corrette. Non si può “leggere” l’Iran come un qualsiasi altro Stato occidentale.
Questo errore grossolano è in verità un grande vantaggio per gli iraniani, perché possono giocare su livelli di conflitto ibrido senza troppa fatica. In particolare, nel contesto delle infowar, l’Iran gode di un alone di mistero e confusione che rendono impenetrabile la verità di ciò che accade nel Paese. I media occidentali, gravidi di propaganda, diffondono informazioni errate, distorte, parziali, convinti di avere in mano gli scoop del momento e di raccontare chissà quale verità. Al di là di quelle notizie che vengono costruite a tavolino per ingannare il pubblico occidentale, il dato di fatto oggettivo è che i media stranieri non hanno accesso a ciò che avviene all’interno, se non che nella misura in cui l’Iran gli consente di acquisire informazioni. Che piaccia o no, questa è un’ottima strategia di difesa e tutela ed ha funzionato sempre.
Oggi può sembrare strano non sapere qualcosa di un Paese, ma la domanda da porsi è “perché dovrei saperne qualcosa?”. Fino a mezzo secolo fa, le informazioni che avevamo sui Paesi esteri erano limitatissime, non c’era un accesso al bacino informazionale globale come lo abbiamo adesso. Per qualche ragione, ci si è lasciati convincere che sapere tutto di tutti sia la normalità e laddove, manchino delle informazioni, staremmo davanti ad un qualche regime che opprime i propri cittadini. Non è forse, questa, una programmazione cognitiva collettiva ben orchestrata? Non è forse vero che sì, abbiamo accesso a tante informazioni, ma siamo bombardati continuamente da stimoli, messaggi, info, tanto che è quasi impossibile discernere la verità? Il paradosso è che siamo stati persuasi ad una iper-connessione, senza però accendere il cervello. L’Iran questo lo sa molto bene. All’interno del Paese, la tecnologia è presente e le persone vivono collegate con il mondo intero senza alcuna difficoltà; fuori, invece, è quasi impossibile penetrare. Un meccanismo di difesa che sta permettendo all’Iran di restare in piedi davanti ai numerosi attacchi di guerra informazionale.
Spostandoci dal contesto ibrido a quello più convenzionale, l’Iran mantiene la propria integrità territoriale da migliaia di anni e sa bene come difendere i propri interessi. Non solo il potenziale di arsenale non è ufficialmente conosciuto – a differenza di molti Stati occidentali – ma addirittura si fa credere che l’Iran non sia in grado di sostenere militarmente alcun conflitto.
Anche in questo caso, siamo davanti ad un gioco psicologico: nessun Paese rivela mai veramente le dimensioni del proprio arsenale, la diffusione pubblica dei dati è oggetto di un attento calcolo azione-reazione nei confronti degli avversari e dei nemici, perché rivelare la fattispecie dei propri armamenti sarebbe una mossa che porrebbe in enorme svantaggio; le attività militari non sono fatte di proclami giornalistici.
Sta di fatto, tuttavia, che non appena l’Iran minaccia di entrare in gioco, il mondo si ferma. È successo così quando è stato ucciso Ismail Haniyeh a Teheran, con violazione della integrità territoriale iraniana, cosa che ha motivato le Nazioni Unite ad acconsentire una operazione militare all’Iran nei confronti del nemico.
L’Iran ha allora agito così: ha compostamente dichiarato l’intenzione di scatenare una vendetta – coerentemente con la battaglia a favore della Palestina e per la liberazione di Gerusalemme dall’occupazione sionista -, però poi… non ha ancora fatto accadere niente. Perché? Siamo sicuri che non sia veramente successo niente?
Osserviamo con maggiore attenzione. Al momento del proclama iraniano, è avvenuto qualcosa di insolito ma prevedibile nella maggioranza delle borse: un crollo repentino, fortissimo, che ha coinvolto tutti i settori… eccetto quello della difesa. E in particolare della difesa americana. Come mai? È interessante volgere lo sguardo a cosa è successo in quelle ore di crollo finanziario – dove anche le criptovalute, le cui blockchain sono a maggioranza gestite da Paesi occidentali, sono cadute a picco – perché proprio le aziende militari americane, nel crollo dei valori azionari, hanno avuto una impennata di acquisti “intelligenti”, svolti per la maggior parte da aziende… che fanno capo a gruppi di investimento cinesi e russi.
Riassumiamo: l’Iran annuncia l’intenzione di una
vendetta militare, il mercato crolla, Cina e Russia acquistano pezzetti
di aziende americane. L’assist perfetto. 3 a 0, palla al centro.
Con
una semplicissima mossa, l’Iran, di concerto con i suoi alleati
multipolari, ha consentito non soltanto un’accelerazione alla crisi
economica occidentale, ma ha anche permesso agli acerrimi nemici degli
USA di comprargli pezzi di aziende, il che significa poterle almeno in
parte gestire, manimettere, far addirittura fallire.
Geniale, no? Semplice ma efficace.
Una vendetta che velatamente è già cominciata, come promesso, perché l’Iran ha una storia millenaria di strategia millenaria che l’Occidente non comprende. Stessa cosa vale per la Cina: il confucianesimo e l’arte della guerra di Sun Tzu insegnano a muoversi esattamente in questo modo. Solo gli americani sono ancora convinti che fare la guerra significhi usare una retorica violenta e prepotente e sparare indiscriminatamente qua e là fino a che non si ottiene un risultato. E questo gli americani continuano a non capirlo. Non si può fare la guerra con un avversario senza capire il suo modo di fare la guerra. Un errore del genere significa la sconfitta.
Garantire il Rimland
Veniamo ora a qualche prospettiva più concreta. Come ho già spiegato in altri articoli, le potenze che stanno operando per la costruzione del mondo multipolare sono ben consapevoli che devono garantire la difesa del Rimland. L’Iran lo sa molto bene e, dopo aver chiuso accordi con la Russia, i Paesi del Caspio, i Paesi del Golfo, si dirige ora verso Est: India, Cina e… Indonesia. Quest’ultimo Paese è stato troppo a lungo ignorato: è uno degli Stati più in crescita al mondo, è demograficamente giovane e numeroso, economicamente fiorente, socialmente stabile, militarmente preparato. Soprattutto, è posizionato nel posto giusto al momento giusto: a metà fra l’Australia e il Sud-Est Asiatico, ma anche a metà fra Oceano Pacifico e Oceano Indiano. Esattamente quella zona su cui la Cina ha interesse geopolitico e strategico a svilupparsi, ed ancor più precisamente quella zona in cui gli anglo-americani stanno preparando una proxy war tramite l’AUKUS, sfruttando l’Australia, che diventerà la nuova Ucraina.
Chiudere il Rimland. Questo è necessario per intraprendere qualsiasi conflitto internazionale da parte delle potenze eurasiatiche. Non dimenticatevi queste parole.
L’Iran ha cominciato a dialogare con la Cina con un linguaggio nuovo, non solo diplomaticamente ma anche militarmente. La Cina, dal canto suo, ha preso posizioni chiarissime rispetto al conflitto palestinese. La Russia garantisce la zona occidentale, centrale e nordica dell’Eurasia; ad Est abbiamo Nord Corea e Cina che difendono i confini. Resta il Sud, dove l’Iran è in posizione ed ora mancano solo gli ultimi tasselli. Proprio pochi mesi fa i Primi Ministri dei Paesi sud-asiatici hanno compiuto un lungo pellegrinaggio diplomatico fra Pechino, Mosca e Teheran, non è stato una casualità. Le parti in gioco stanno dialogando già da tempo con l’Indonesia perché sono a conoscenza del valore strategico del Paese, che è pieno di basi militari americane diffuse su varie isole, poste lì come scudo di difesa missilistico e aerospaziale.
In Bangladesh gli USA hanno ordito un golpe per tentare di destabilizzare il Rimland. In Australia cercano di aprire un fronte bellico. Tutto torna. E torna ancora di più se pensiamo che proprio pochi giorni fa la Russia ha annunciato le prime esercitazioni militari con l’Indonesia.
Ora capiamo come mai l’Iran sta temporeggiando: non è nel suo stile fare le cose di fretta, la vendetta è un piatto che va consumato freddo.
Di Lorenzo Maria Pacini, strategic-culture.su
17.08.2024
Lorenzo Maria Pacini. Professore Associato in Filosofia Politica e Geopolitica, UniDolomiti di Belluno. Consulente in Analisi Strategica, Intelligence e Relazioni Internazionali
Fonte: https://strategic-culture.su/news/2024/08/17/why-is-iran-revenge-so-late-coming/
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