Lo stato (al collasso) di Israele
di Francesco Corrado - 31/08/2024
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Fonte: L'Antidiplomatico
Popolazione in fuga, economia giù del 20%: assistiamo, in diretta, all'autodistruzione di Israele?
La
guerra apertamente ed oscenamente genocida che Israele sta conducendo a
Gaza sta minando la comunità dalle fondamenta. Tralasciando l'aspetto
militare che per Israele è davvero tragico, quello cui abbiamo assistito
in questi 8 mesi è lo smantellamento di parte del paese sia dal punto
di vista demografico che di quello economico.
Dal 7 ottobre scorso
46.000 attività sono state chiuse e l'economia è crollata del 20%. La
previsione degli economisti israeliani è che per fine 2024 altre 60.000
attività chiuderanno; ma si tratta di previsioni, plausibili, vediamo i
fatti.
Questi i dati riportati dal periodico israeliano Maariv e sono
dati ufficiali. La crisi attraversa molti settori dell'economia.
Innanzitutto colpisce le piccole attività, quelle fino a 5 dipendenti:
il 77% delle attività chiuse, circa 35.000, appartengono a questa
categoria. La fuga in massa di israeliani verso l'estero seguita agli
attacchi del 7 ottobre ha colpito duramente il settore immobiliare.
Questo ha trascinato con se l'indotto: ceramica, materiali da
costruzione, mobilio, alluminio, condizionatori ecc.
Del terziario
sono stati fortemente colpiti ovviamente i trasporti, ma anche la moda,
l'industria del divertimento ed il turismo che è sceso in maniera
drammatica.
Ricordiamo che l'autorità portuale di Eilat, unico
approdo di Israele sul Mar Rosso dove arrivano le merci provenienti
dall'Asia, ha dichiarato bancarotta. La chiusura dello stretto di Bab
el-Mandeb da parte dello Yemen, efficace al di là degli sforzi militari
dei paesi occidentali fin ora del tutto inutili, ha comportato
un'immediata diminuzione dell'85% del volume di merci in arrivo. Questo
già alla fine del 2023, tanto che il 7 luglio scorso Gideon Golbert,
l'amministratore del porto, ha dichiarato alla Knesset che di fatto per 8
mesi il porto è stato inattivo e non ci sono ingressi economici.
L'occidente
non è riuscito a trovare rimedi e quindi dopo mesi in cui lo Yemen ha
mantenuta salda la volontà di sanzionare Israele per il genocidio in
corso a Gaza, l'autorità portuale di Eilat ha dichiarato fallimento.
Questo
va ricordato: lo Yemen con la chiusura dello stretto di Bab el-Mandeb
sta sanzionando uno stato che sta commettendo una miriade di crimini di
guerra, di violazioni del diritto umanitario e di trattati, il tutto per
commettere un genocidio dichiarato dai propri ministri. Dopo aver visto
USA e paesi del G7 sanzionare altre nazioni, sempre del sud globale,
con pretesti assurdi o palesemente falsi, il che è un atto di guerra,
per la prima volta assistiamo a delle sanzioni poste da un paese del sud
globale a danni di uno stato, Israele, che sta commettendo un genocidio
(quindi una buona ragione) e anche ai suoi alleati occidentali.
Il
fatto che questo eroico paese, cioè lo Yemen, abbia sfidato l'intero
occidente e che quest'ultimo non ci abbia potuto fare ancora niente, la
dice lunga sull'avanzamento tecnologico che questi stati hanno avuto in
termini militari.
Se il porto di Eilat è stato strangolato dal blocco
dello stretto di Bab el-Mandeb, i tre porti sul mediterraneo vengono
presi di mira sia dallo Yemen che dall'Iraq, complicando ulteriormente
le cose.
A subire un duro colpo poi è stata l'agricoltura che si
concentra soprattutto al sud del paese, cioè vicino a Gaza, e a nord,
vicino ad Hezbollah, che sta portando avanti un deciso e consapevole
attacco all'economia israeliana.
Le due principali zone agricole del
paese quindi sono state dichiarate zone di guerra con decine di migliaia
di persone che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni e ora sono
ospitate in alberghi e campano di sussidi, oppure se ne tornano nei
paesi occidentali da cui provengono. Soprattutto al nord il problema è
molto serio: ci sono stime che parlano di 100.000 sfollati in totale. Il
10 luglio scorso Hassan Nasrallah, grande capo di Hezbollah, ha
dichiarato che l'obiettivo di indebolire l'economia di Israele è stato
raggiunto.
Israele, militarmente, è già in serissima difficoltà a
Gaza e sta affrontando perdite cui non è abituato, in uomini e
soprattutto mezzi; affrontare la milizia libanese potrebbe scuotere lo
stato ebraico dalle fondamenta. Lo sforzo bellico sarebbe del tutto
deleterio per l'economia e la getterebbe in un abisso, stando alle
parole di Yoel Amir, CEO dell'Israeli information service and credit
risk management firm, ente che si occupa di rischi di impresa insieme
alla federazione delle camere di commercio.
Un altro aspetto è
fondamentale: quello della fuga dei coloni. Sappiamo che circa 500.000
persone hanno lasciato il paese nei primi tre mesi del conflitto. I
cittadini israeliani vengono da Europa, America del nord, Australia,
nazioni di cui sono cittadini. Paesi in cui hanno vissuto prima di
provare l'ebrezza dell'avventura coloniale. L'ebrezza di presentarsi in
una terra meravigliosa, da perfetto straniero, ed ottenere, in quanto
professante una religione, la casa di un palestinese che è stato
previamente cacciato. Ecco questa gente fino a quando ha potuto
combattere contro civili indifesi, come nelle precedenti intifada,
quando i palestinesi combattevano con le pietre e poi con qualche mitra,
ancora ci stava, ma ora i nemici hanno ben altre armi e lo stesso vale
per i loro alleati.
La voglia di andare a beneficiare di un regime
di apartheid a danno di un'altra popolazione, ridotta in schiavitù,
inizia a venire meno se ti tocca combattere e morire davvero o se non
puoi più vivere tranquillamente perché stavolta la guerra raggiunge
anche te. Così, mentre i palestinesi in quella terra ci sono nati e
cresciuti e non hanno un altro posto dove andare, i coloni ebrei
occidentali si, e infatti se ne vanno. Se in oltre 500.000 hanno
lasciato il paese nei primi tre mesi di guerra c'è da scommettere che i
dati attuali siano ben peggiori. E queste sono pessime notizie per il
governo fascista di Israele.
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