Il tornaconto degli Usa nella invasione di Kursk
di Elena Basile - 22/08/2024
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Fonte: Il Fatto Quotidiano
L’approccio analitico agli eventi porta a sottolinearne la
complessità, l’entrata in gioco di fattori molteplici. La sintesi, al
contrario, nella ricostruzione storica coglie l’essenziale.
Non sono
una stratega militare e, più che le logiche autonome e i minimi spazi,
mi interessa il nocciolo dei problemi. Mi è difficile quindi dare
all’Ucraina una soggettività indipendente dalla volontà della Cia e
degli altri attori del Blob statunitense. Kiev è la capitale di un Paese
distrutto, che sopravvive economicamente e militarmente grazie agli
aiuti occidentali. La sua classe dirigente è asservita agli interessi
statunitensi e passerà alla storia per avere venduto il suo popolo,
avere massacrato una generazione di giovani, i membri della gloriosa
resistenza nazionale (secondo i giornali del mainstream ) che ora
fuggono all’estero, si nascondono in casa, si rompono le ossa per poter
non andare al macello.
La guerra alla Russia non è più nemmeno una
guerra per procura: diviene gradualmente uno scontro tra Nato e Mosca. I
mesi precedenti le elezioni statunitensi sono i più pericolosi perché i
Democratici devono esibire agli elettori qualche scalpo per poter
giustificare gli enormi finanziamenti a spese del contribuente riversati
in una guerra suicida. L’operazione di Kursk, come sta inevitabilmente
emergendo, è stata realizzata con armi e mercenari occidentali e con
l’intelligence angloamericana. Lo scopo è sempre lo stesso. Sin
dall’inizio gli strateghi del Blob erano consapevoli che la guerra
russo-ucraina, se la Nato non avesse scelto la vera competizione con
truppe e conquista dei cieli, sarebbe volta a favore di Mosca.
L’obiettivo era tuttavia la destabilizzazione del regime, la sua caduta.
A Kursk, più che una battaglia militare, si conduce un attacco
terroristico contro i civili russi. Portarli in ostaggio in Ucraina o
costringere Mosca a sacrificarli per sterminare i soldati ucraini
affinché il popolo russo assaggi le ferite della guerra è il fine della
strategia occidentale, non solo ucraina. La Russia, al contrario, ha
finora scelto la stabilità, è avanzata lentamente nonostante la netta
superiorità di uomini, munizioni e armamenti perché tutto proceda
all’interno della Russia come se la guerra avvenisse in una dimensione
parallela, preoccupandosi persino di non spargere troppo sangue
fratello. Come abbiamo ripetuto, la Corte Penale Internazionale (Cpi) ha
emesso un mandato di arresto per Putin che conduce battaglie militari
contro obiettivi militari più che civili, mentre non ha potuto fare la
stessa cosa per il criminale di guerra Netanyahu che massacra ancora
oggi donne e bambini a Gaza. Questo è l’“Ordine internazionale basato
sulle regole” che le più stimate cariche istituzionali europee
raccomandano di difendere nella guerra in Ucraina. Di fatto, come il
“resto del mondo” sa, si tratta soltanto di una pax americana basata su
doppi standard e normative create e utilizzate a beneficio degli
interessi del cosiddetto Occidente collettivo.
La tattica prevale
sulla strategia, per cui non è rilevante se a Kursk alla fine i russi
prevarranno con un massacro di militari ucraini e di civili russi: è
invece essenziale che sui giornali più letti si possa parlare di
sorpresa di Mosca, di inefficienze russe, del valore ucraino al fine di
inorgoglire i bellicisti democratici (in Usa come in Europa) e il loro
elettorato. Mi viene da sorridere quando ascolto gli interventi di ex
generali, personalmente conosciuti, che si affannano a dimostrare come
la difesa dell’Ucraina e l’attacco al territorio russo siano due facce
della stessa medaglia. Chissà come mai invece, quando vi era a Mosca un
rivale strategico e ideologico, le guerre tra Usa e Urss nei vari teatri
del mondo non hanno mai preso in considerazione un attacco militare sui
reciproci territori. Dal 2002, con l’uscita unilaterale di George W.
Bush dal trattato ABM contro la proliferazione di armi nucleari
offensive, il Blob ha perseguito la possibilità del primo attacco
nucleare, evitando i danni “maggiori” per gli occidentali. L’obiettivo
di una destabilizzazione della Russia potenza nucleare è dato per
scontato. Non viene analizzato nelle sue conseguenze disastrose.
Smantellare la Federazione che possiede 6000 testate nucleari o
sostituire Putin con un falco? Domande inutili. Gli strateghi del Blob
hanno interessi a breve termine da servire, altrimenti non sarebbero
stati gli artefici dei disastri in Afghanistan, Iraq e Libia. I benefici
immediati sono molteplici, in termini di campagna elettorale, di
iniezioni di liquidità e guadagni delle oligarchie delle armi e
dell’energia. La destabilizzazione delle aree del mondo, confine
orientale dell’Europa o Medio Oriente, è una finalità in sé. Non prevede
approfondimenti di lungo termine. Kursk va bene così, indipendentemente
dall’esito finale. Le vittime, si sa, hanno sempre avuto nella storia
una loro utilità.
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