Il premier polacco Donald Tusk, nei giorni in cui è emersa la problematica storia delle infiltrazioni e dei depistaggi che due anni fa hanno portato al sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico, non ha mostrato grande empatia verso il dilemma strategico-politico della Germania, alleata di Varsavia nell’Unione Europea e nella Nato, e dei Paesi europei che hanno criticato il sabotaggio delle infrastrutture sottomarine del Vecchio Continente.
“Chiedete scusa e state in silenzio” è il monito lanciato dal primo ministro del Governo di centro-destra polacco a tutti gli “iniziatori e patroni” dell’infrastruttura di collegamento tra Russia e Germania che nel settembre 2022 è stata vittima di un sabotaggio per la cui manovalanza Berlino ha spiccato un mandato d’arresto contro cinque cittadini ucraini. August Henning, a capo dei servizi segreti tedeschi dal 1999 al 2005, ha detto senza mezzi termini che i mandanti dell’attacco sono da ricercare a Varsavia.
Non c’è una pistola fumante su questo fronte ma i sospetti iniziano a esser numerosi. Ne davamo conto a gasdotto appena guastato: la coincidenza con l’avvio dell’operatività del gasdotto Baltic Pipe connettente Danimarca, Norvegia e Polonia, dell’attacco a Nord Stream non parve casuale. Si può aggiungere a questo tema il dilemma securitario di una Polonia desiderosa di spezzare con un atlantismo ferreo la gabbia percepita dell’avvicinamento Berlino-Mosca in una “GeRussia” spezzata dalla guerra d’Ucraina. E la continuità tra il Governo di destra conservatrice di Mateusz Morawiecki e quello di centrodestra moderato di Tusk nel voler costruire in Polonia un’importante roccaforte militare capace di mostrare capacità di deterrenza contro la Russia.
Quel “chiedete scusa e state in silenzio” di Tusk richiama molto il “Thank you, Usa” con cui l’attuale ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski mostrò nel 2022 la sua soddisfazione per l’esplosione del gasdotto.
Parole che unite a molti fatti mostrano l’esistenza di un effettivo problema polacco per l’Europa. Può la strategia del Vecchio Continente essere condizionata così in profondità dal paradigma basato sulla percezione di un perenne stato d’assedio di un Paese che presidia i confini più caldi e, inoltre, sta procedendo a un maxi-piano di riarmo potenzialmente in grado di spingere al 4% del Pil la sua spesa in Difesa? Può la Polonia giocare in controtendenza rispetto alle linee operative degli altri Stati financo a mostrare una poco malcelata soddisfazione per il danneggiamento di infrastrutture di Paesi amici?
Tusk, inoltre, non parla da leader di un Paese paria. Il suo partito, Piattaforma Civica, fa parte del Partito Popolare Europeo, dunque della maggioranza comunitaria che sostiene Ursula von der Leyen. La quale è stata a lungo ministro di una degli initiators and patrons di cui parla Tusk, l’ex cancelliera Angela Merkel. E ha promesso, due anni fa, che l’Unione Europea e la sua Commissione avrebbero fatto piena luce sugli avvenimenti e non avrebbero perdonato alcun attacco alle infrastrutture energetiche del blocco dei Ventisette. Un proposito ancora fattibile qualora si volesse andare a studiare il coinvolgimento o perlomeno l’interessata soddisfazione di quel Paese, la Polonia, che più ha guadagnato dal sabotaggio e più spinge per un contenimento aggressivo e duro della Russia per valorizzare la sua posizione di frontiera in Europa?
Del resto, quei falchi dell’Est a cui Von der Leyen si è avvicinata spingendo per la nomina di Kaja Kallas, attuale premier estone, a referente della politica estera Ue nella sua seconda commissione, non mancheranno di esaltare il ruolo del gendarme orientale, la Polonia, come attore decisivo nell’aumentare la proiezione politica, diplomatica e militare verso un confronto duro con Mosca e il ridimensionamento di Stati che hanno tutto da perdere da un’Europa in tensione. Tra cui la Germania di cui Frau Ursula è nativa. Tutto questo a beneficio del ticket Usa-Regno Unito, che vede sempre più satellite un’Europa spezzata dalle diverse pulsioni geostrategiche interne. Non importa che sia stato o meno un ordine da Varsavia a far saltare Nord Stream: il caso del gasdotto mostra il peso del problema polacco sul fronte politico, diplomatico e securitario. Elefante nella stanza dei bottoni degli apatici decisori europei.
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