Economisti ed errori, l’arroganza di considerare solo gli effetti immediati
di HENRY HAZLITT
L’oggi è già quel domani che il cattivo economista vi consigliava ieri di ignorare. Le conseguenze non immediate di una politica economica possono manifestarsi già fra qualche mese. Altre non si potranno avvertire che fra qualche anno, altre fra decine di anni. Ma, in ogni caso, tali conseguenze lontane sono già in germe nella politica d’oggi, com’è certo che la gallina nasce dall’uovo e il fiore dal seme.
Sotto questo aspetto, dunque, si può condensare il succo di tutta l’economia in una sola lezione, ed essa si può ridurre ad una sola frase: “L’arte della politica eco nomica sta nel prevedere tutte le conseguenze (non solo immediate ma anche lontane) di ogni programma e di ogni provvedimento, e nel considerare non solo gli interessi di parte ma quelli dell’intera collettività”.
Nove decimi degli errori economici, causa di tanti disastri nel mondo contemporaneo, derivano dall’ignoranza di questo assioma. E tutti si ricollegano all’uno, o all’altro, o ad en- trambi questi gravi errori.
Naturalmente si può anche commettere l’errore opposto. Se si studiano le conseguenze di una determinata politica, non ci si deve limitare a considerare solo quelle che essa può produrre a lunga scadenza e sull’intera comunità. Questo errore lo commettevano spesso gli economisti classici. Essi rimanevano indifferenti alla sorte dei gruppi ai quali potesse recare danno immediato una politica che si prospettava invece eccellente nel tempo.
Oggi in questo errore non si ricade quasi più: a commetterlo ancora sono soprattutto economisti di professione. L’errore oggi più diffuso — e quanto diffuso! —, l’errore che si sente continuamente ripetere ogni volta che si affrontano argomenti d’economia, quello che rifà capolino in migliaia di discorsi politici, l’errore fondamentale dell’economia “nouvelle école” sta nel considerare soltanto gli effetti immediati di una politica su qualche gruppo particolare e nel trascurare — o nello svalutare — quelli successivi sull’intera comunità.
Gli economisti “moderni”, nel paragonare i loro metodi con quelli degli economisti “classici” o “ortodossi”, si lusingano d’aver compiuto un grande progresso, o addirittura una rivoluzione perché tengono in gran conto i risultati immediati, che invece i classici trascuravano. Se non che, dimenticando o sottostimando le conseguenze remote, essi finiscono per commettere un errore ben più grave. Mentre sono tutti presi da esami precisi e minuziosi di qualche albero, perdono di vista la foresta.
D’altronde, i loro metodi e le loro conclusioni sono spesso tipicamente reazionari e talvolta sono essi stessi sorpresi di trovarsi d’accordo con le concezioni mercantili del XVII secolo. Essi ricadono, in effetti, in molti dei passati errori e, se non fossero cosi poco coerenti con se stessi, ricadrebbero anche in quelli dei quali si poteva sperare che gli economisti classici avessero, una volta per tutte, fatto giustizia.
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