Per i media spagnoli è “el procés”. Così viene definito il movimentato periodo tra il 2017 e il 2019 in cui la Catalogna tentò di emanciparsi e di ottenere l’autonomia rispetto alla Spagna. Una fase travagliata, che ha aperto un solco profondo nell’animo del Paese, ancora ben lungi dall’aver superato quella crisi. Si può quindi capire il rumore che ha fatto la diffusione (come, perché e da chi resta ovviamente da stabilire) di un rapporto della Comisaria General de Informacion de la Policia, ovvero i “servizi segreti” con compiti antiterrorismo della polizia di Stato spagnola. Rapporto che, come vedremo, ha rinfocolato le peggiori paure dei nazionalisti spagnoli e ha allungato ombre più intense sul movimento autonomista catalano.
Il rapporto, in sostanza, descrive una specie di “cupola” catalana diretta da Carlos Puidgemont, l’ex presidente della Generalitat che ora vive in Belgio, inseguito (ma non troppo) da una serie di mandati di cattura spagnoli, e dotata di una sua precisa struttura, con compiti ben ripartiti. Victor Terradellas, già responsabile delle Relazioni internazionali del partito Convergència Democràtica de Catalunya, incaricato del finanziamento del movimento e dei contatti con Mosca. Josep Luis Alay, incaricato dei contatti con i servizi segreti russi. Gonzalo Boye, stratega politico, incaricato di elaborare una strategia favorevole a Mosca in cambio di finanziamenti. Natalia Boronat, giornalista, per le pubbliche relazioni, e Jordi Sardà, organizzatore di scambi e incontri. E altri ancora. Sono nomi già noti alle cronache spagnole, insieme ad altri che sarebbe inutile qui ricordare.
Perché il vero punto del rapporto della Comisaria General sta nella ricorrente e quasi ossessiva citazione della Russia come “complice” del tentativo autonomista dei catalani. Se c’era una cupola catalana, infatti, secondo i servizi d’informazione della polizia di Stato ce n’era una anche russa, organizzata per approfittare del tentativo catalano per destabilizzare la Spagna e con essa l’Unione Europea. In cambio della collaborazione a tale progetto politico, dice il rapporto, la Russia avrebbe sostenuto gli indipendentisti catalani con criptovalute e con l’esportazione a prezzi agevolati di idrocarburi. L’idea delle autorità spagnole, insomma, è che ci fosse un filo rosso a legare l’annessione della Crimea, il tentativo di colpo di Stato in Montenegro, la Brexit e la Catalogna: un’unico piano russo per sconvolgere gli equilibri europei.
Non è una tesi nuova, né meno credibile o complottista di tante altre. La parte più interessante delle indiscrezioni, infatti, sta nei nomi dei personaggi russi tirati in ballo. A cominciare da quello di Evgenyj Primakov Junior, nipote dell’Evgeny Primakov che fu ministro degli Esteri e primo ministro della Russia eltsiniana. Il Primakov nipote è personaggio poco noto in Occidente ma occupa una posizione cruciale per la relazioni della Russia con la grande galassia degli emigrati e dei simpatizzanti all’estero: Rosstrudnichestvo, l’agenzia federale russa incaricata di seguire “gli affari della Comunità di Stati Indipendenti, i compatrioti all’estero e la cooperazione umanitaria internazionale”. Primakov è stato giornalista (e per anni ha seguito sul terreno il Medio Oriente), deputato e membro del servizio diplomatico, un curriculum che pare copiato con la carta carbone da quello del nonno, che fu grande spia e grande teorico politico.
Ad affiancarlo, nel progetto di destabilizzazione, una serie di ex di un certo peso. Nikolaj Sadovnikov, ex diplomatico, e Sergej Motin, ex generale, che furono presenti con Terradillas e Sardà a Barcellona nella riunione del 26 ottobre del 2017, in cui, sempre secondo la Comisaria General, sarebbe stata decisa la strategia “destabilizzazione in cambio di criptovalute e petrolio”. Di un certo interesse anche i nomi di Sergej Sumin (ex membro dei servizi di protezione di Vladimir Putin), Elena Stanislavova (ex agente del KGB, in passato anche arrestata da parte dell’FBI), Anastasia Popova ed Edvard Chesnokov (giornalisti). Altri nomi di ex membri dei servizi di sicurezza russi figurano nel rapporto della polizia spagnola, tutti (come i precedenti) presenti prima o poi a Barcellona.
Ma il nome su cui portare l’attenzione, al di là delle qualifiche più o meno alti sonanti, è quello di Artiom Lukjanov, finanziere e figlio adottivo di Fyodor Lukjanov, uno dei più noti politologi russi, già consigliere di Vladimir Putin e attualmente membro del Consiglio per la politica di difesa e di sicurezza della Federazione Russa. Come uomo d’affari, Lukjanov (Artiom) era assai più libero di viaggiare degli ex diplomatici ed ex agenti, tutti in qualche modo “segnalati alle Questure”. E con le proprie competenze sarebbe stato lo snodo decisivo nei patteggiamenti perversi tra indipendentisti catalani e autorità russe.
Come si vede, il lavoro della Comisaria General è stato piuttosto approfondito e puntuale. Come per tante altre ricostruzioni degli eventi di questi ultimi anni, può essere vero, verosimile o ben concepito. Certo è che anche sulla questione catalana bisognerà attendere molto tempo per capire bene quel che davvero successe e, soprattutto, quel che avrebbe dovuto succedere.
Fulvio Scaglione
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