Ecco cosa non perdoneranno mai ad Angela Carini
In 40 secondi sul ring viene giù tutta l’ideologia gender e woke. La questione è se esisterà ancora lo sport femminile o se diventerà un contenitore omnibus
Quello che non perdoneranno mai ad Angela Carini – e che spiega anche le reazioni così scomposte e rabbiose nei suoi confronti per la decisione di gettare la spugna – è di aver smascherato in mondovisione, in soli 40 secondi, la follia della loro ideologia gender, in senso lato woke.
La furia cieca dell’ideologia si è scontrata con la realtà, con la vita reale, uscendone a pezzi. Varcando anche i confini destra/sinistra, perché sono molti – soprattutto donne ma anche uomini di sinistra – che di fronte all’assurdità vista sul ring ieri hanno gridato, sussurrato o anche solo pensato, non è poi così importante, basta! Basta con questa follia.
I poveretti d’animo hanno accusato la nostra pugile di aver fatto il gioco di Salvini e Meloni, di essersi prestata ad una sceneggiata, istigata da social e politica, e c’è chi ha parlato di figuraccia – persino dai canali Rai. Ma in realtà nemmeno questo ha concesso loro Angela.
Nessun proclama “politico”, nessuna rivendicazione di genere, nessun commento offensivo nei confronti dell’avversario né polemica per le decisioni del CIO di farlo gareggiare. La sua condotta è stata perfetta, lineare. Rifiutarsi di salire su quel ring l’avrebbe molto probabilmente esposta a penalizzazioni che avrebbero potuto danneggiare il suo cammino in questo sport. Quindi ci è salita e quando ha constatato che non era fattibile, che mancavano le condizioni di sicurezza minime per portare avanti l’incontro, ha abbandonato. Ineccepibile, inattaccabile. Nessuno può rimproverarle di non essersi fatta massacrare di botte.
Assurdo anche solo pensare che un’atleta che ha lavorato duro per quattro lunghi anni per arrivare a giocarsi il suo sogno olimpico, l’occasione di una intera vita, possa mollare ai primi duri colpi incassati, dopo soli 40 secondi. Non una novellina, ma una pugile che ha disputato un centinaio di incontri. No, la realtà che non si vuole vedere è che da quei primi colpi si è resa conto che quell’incontro non sarebbe stato ad armi pari, perché quei colpi non provenivano semplicemente da un’avversaria più forte, ma erano di un’altra categoria. E il suo labiale inequivocabile: “non è giusto”.
Nessuna sceneggiata, ma la nuda verità: un uomo è un uomo e una donna è una donna. Per quante sfumature possano esserci, i generi restano due e non è per capriccio se c’è uno sport maschile e uno sport femminile. Persino nel tiro con la pistola. Nella boxe i pugili competono per categorie di peso, figuriamoci se possa essere ininfluente il genere.
Nemmeno di fronte al tema sicurezza si sono fermati. Angela doveva farsi massacrare, un sacrificio necessario a soddisfare la loro ideologia.
Né si sono resi conto che questa follia ha fatto il giro del mondo. Non si è trattato di una polemicuccia di bassa cucina nostrana attribuibile a Salvini o Meloni, è stato un evento rivelatore di cui si è scritto e dibattuto a livello internazionale.
“Vergognoso, non finirà bene per le persone al potere che hanno permesso che accadesse”, ha commentato Martina Navratilova su X, non certo accusabile di essere salviniana.
“Ad una giovane pugile è stato appena portato via tutto ciò per cui aveva lavorato e si era allenata, perché avete permesso ad un maschio di salire sul ring con lei. Siete una vergogna, la vostra ‘salvaguardia’ è una barzelletta e Parigi 2024 sarà offuscata per sempre dalla brutale ingiustizia fatta a Carini”, è il duro atto d’accusa della scrittrice J.K. Rowling, un’altra non certo di estrema destra, commentando le giustificazioni di una funzionaria del CIO.
“Qualcuno con un DSD (disturbi della differenziazione sessuale, ndr) non può fare a meno del modo in cui è nato, ma può scegliere di non imbrogliare; di non prendere medaglie alle donne”, ha scritto Suzanne Moore sul Telegraph.
“Gli uomini non appartengono agli sport femminili”, ha scritto su X la ex nuotatrice Usa Riley Gaines.
Hanno provato ad arrampicarsi sugli specchi argomentando che Imane Khelif ha già partecipato alle Olimpiadi di Tokyo 2020 non superando i quarti e che altre donne sono riuscite a batterlo. E se al prossimo turno perde, vi andrete a nascondere? “Magari se non si fosse ritirata avrebbe potuto farcela, chissà…” è riuscita a dire Laura Boldrini, quella che ci fa la morale sulla lotta alla violenza di genere e al femminicidio.
Bisogna rigettare questa logica truffaldina. Che Khelif possa perdere degli incontri con altre donne non prova nulla. Qualsiasi uomo deve raggiungere un certo livello di pugilato per battere una donna pugile. Carini potrebbe anche essere scarsa e Khelif non ad un livello tale da riuscire a battere tutte le pugili donna di questo mondo, ma ciò non toglie che appartengono a due generi diversi e non sarà mai un incontro ad armi pari.
Ricorderete le atlete della Germania Est prima della caduta del Muro dai tratti a dir poco mascolini. Ma erano pur sempre donne, sebbene potenziate dal doping di stato. Ora siamo di fronte ad un doping biologico legalizzato.
Il punto oggi è un altro: se esisterà ancora uno sport femminile, oppure se diventerà una sorta di contenitore omnibus, un fritto misto che racchiuda qualsiasi identità di genere diversa da quella maschile.
C’è poi un effetto politico di tutto questo. Se non siamo più nemmeno in grado di distinguere tra uomo e donna, se l’ideologia prevale anche sul dato del genere, non c’è più compromesso possibile e la politica diventa guerra civile su qualsiasi identità. È, se ci pensate, la più potente forma di decostruzione della democrazia liberale. Se c’è qualcuno disposto a sostenere che sia equo e inclusivo far combattere un uomo e una donna, allora quel politico sarà capace di tutto, e la delegittimazione reciproca inevitabile.
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