L'offensiva di Kursk non è un momento Prigozhyn
L’incendio divampato ieri nella centrale atomica di Zaporozhye, ora domato, rende ancora più chiaro che uno degli obiettivi principali dell’incursione ucraina in terra russa era la centrale atomica di Kursk, come avevamo scritto in un post precedente. Si trattava, e si è trattato a Zaporozhye, di creare una criticità di tipo nucleare, così da costringere Mosca ad addivenire a più miti consigli.
L’incendio di Zaporozhye, prodotto secondo i russi da un attacco ucraino (né c’è da dubitarne, a meno di pensare che i russi si bombardino da soli), ha inflitto danni all’impianto di raffreddamento della centrale, il danno più grave subito dalla centrale dall’inizio della guerra durante la quale è finita più volte nel mirino dell’artiglieria e dei droni ucraini. Per fortuna, non ci sono state emissioni di radiazioni, anche perché nel frattempo è stata messa in sicurezza, e la cosa è finita là.
Di interesse notare il disinteresse dei media d’Occidente, che hanno dato scarsa rilevanza alla notizia benché di una gravità inaudita, e l’usata omertà dell’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica, che non ha mai dato un nome e un volto a chi ha attentato all’integrità della centrale nucleare, limitandosi a registrare via via i danni subiti e a dare suggerimenti per evitarli in futuro, appelli in verità alquanto insulsi.
Tale disinteresse discende dal cieco sostegno all’Ucraina, che gode di una piena libertà e impunità nel fare quel che crede, anche quella di creare una criticità presso la centrale nucleare più grande d’Europa. Nessuno biasimo, sostegno immutato.
L’offensiva di Kursk continua
Quanto all’offensiva di Kursk, difficile dare aggiornamenti, dal momento che le fonti ufficiali russe e occidentali limitano le informazioni in proposito, data la delicatezza del momento, mentre quelle provenienti dal web sono del tutto contraddittorie.
Si può solo capire, da una sintesi più generale, che le forze russe si sono riprese dalla sorpresa e stanno contenendo, e in alcuni punti respingendo, le forze ucraine, anche se queste continuano a creare criticità nella regione interessata e a tentare di portare minacce alle retrovie delle forze russe che operano in Donbass.
Mentre l’incursione su Sudzha, che avrebbe posto criticità alle forniture di gas russo all’Europa, non sembra aver dato i frutti sperati, con Gazprom che ha comunicato che tutto procede come prima (nonostante la distruzione di un impianto di misurazione del gas). Peraltro, anche secondo l’Agenzia di rating Fitch la mossa di Sudzha comporta rischi minimi per le forniture.
Alcuni cenni di interesse. Il primo lo riprendiamo da Strana, che sintetizza un articolo del Financial Times: “La Russia sta trasferendo meno forze nella regione di Kursk di quanto l’Ucraina vorrebbe. Tale trasferimento arriva soprattutto dalla regione di Kharkov e molto meno dal Donbass”. Cioè, l’obiettivo di alleggerire il fronte del Donbass per frenare l’avanzata russa, è riuscito solo in minima parte (anzi, secondo i russi non è riuscito affatto, dal momento che la loro avanzata avrebbe accelerato).
Sul punto concorda anche il Wall Street Journal, che riporta quanto dichiarato da un ufficiale ucraino di stanza a Chasiv Yar: “Non percepiamo nessun cambiamento, almeno finora. I russi non sposteranno truppe da est a Kursk. Hanno le riserve”. Dello stesso tenore un’analisi del New York Times. Convergenza piena, dunque, tra le fonti.
Sempre il WSJ spiega che tutto dipenderà da come Kiev alimenterà la sua azione all’interno della Russia e da come quest’ultima muoverà il suo contrattacco nel quale, nel caso si formasse un fronte all’interno del suo territorio nazionale, potrà usare tutto il suo maggiore potenziale, comprese le “enormi bombe plananti”.
Ancora sul WSJ, il commento dell’analista militare Franz-Stefan Gady: “L’operazione a Kursk richiede risorse considerevoli, soprattutto in termini di soldati di fanteria, che potrebbero risultare necessari con più urgenza altrove”.
Non è un altra crisi in stile Prigozhyn
Di interesse quanto afferma l’ex ufficiale dell’MI6 Alastair Crooke, secondo il quale gli ucraini hanno impiegato in questa operazione le loro truppe migliori, prese dai battaglioni che presidiano il Donbass e gettate in questa avventura senza ritorno, ipotesi che sembra suffragata dai fatti.
Ma, continua Crooke, andranno tutte perse nell’arco di due settimane (tempistica forse azzardata, ma la riferiamo per dovere di cronaca). E ciò faciliterà le operazioni russe nel Donbass, dal momento che troveranno a presidiarle forze meno efficaci.
Le autorità russe, pur protestando contro l’attacco della Nato (che tale è) sul suo territorio nazionale e spostando risorse verso la regione interessata, nonché rafforzando i presidi difensivi nelle altre regioni al confine con l’Ucraina, sta riflettendo sulle contromosse di più alto livello. Significativo, sul punto, il comunicato col quale hanno escluso una nuova leva militare.
Una rassicurazione certamente tesa a evitare di seminare malcontento tra la popolazione civile, ma che rende anche evidente che l’offensiva ucraina non ha creato una criticità simile a quella dell’ammutinamento di Prigozhyn, quando Putin fu costretto a dichiarare al mondo che il suo Paese stava affrontando un pericolo esistenziale.
Un’analisi condivisa da Crooke, il quale afferma che Mosca non è andata affatto nel panico, aggiungendo che la drammatizzazione di quanto sta avvenendo appartiene solo all’Occidente. In effetti, ad oggi i risultati più importanti dell’offensiva appaiono limitati al piano psicologico-narrativo.
Così Strana riferisce dell’infusione di fiducia che l’operazione ha creato nelle truppe ucraine, mentre il New York Times recita: “l’incursione in Russia ha segnato un cambiamento significativo nella narrazione della guerra”.
Se gli unici esiti dell’offensiva resteranno questi, e se peraltro risulterà di breve durata, se quanto accaduto, cioè, si ridurrà a una trovata hollywoodiana, la decisione di attaccare risulterà ancora più folle di quanto avevamo immaginato al suo appalesarsi.
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