Le origini ebraiche dell’attentatore di Trump, BlackRock e il precedente con Kennedy
16/07/2024
di Cesare Sacchetti
Il fumo degli spari si sta dissipando, e si inizia ad intravedere sempre meglio la matrice che ha concepito l’attentato a Donald Trump.
L’uomo che ha sparato dal tetto distante circa 118 metri dal palco dal quale ha parlato Trump è un giovane americano di origini ebraiche, tale Thomas Crooks.
Era già comparso lo scorso anno in uno spot del fondo di investimenti BlackRock, il famigerato fondo che possiede al suo interno larga parte delle più note corporation e multinazionali del pianeta.
Crooks però aveva, a quanto pare, anche uno stretto legame con la sinagoga del posto a Butler, laddove c’è la comunità ebraica di B’nai Abraham.
Thomas Crooks alle riunioni della sua sinagoga locale
L’aspirante assassino di Trump compare in una delle riunioni della sinagoga dove lo si vede con il copricapo ebraico in testa, la kippah, e quindi si può dedurre da questo fatto che Crooks non fosse soltanto un ebreo secolare, ma un praticante della fede talmudica.
I media non hanno dato molta rilevanza a questi fatti poiché alcune evidenze è bene che restino nascoste al pubblico che altrimenti potrebbe porsi troppe domande.
Appare evidente che ad architettare questo attentato sia stato un mondo che ha dichiarato guerra si dal principio a Donald Trump, da quando nel 2016 decise di iniziare la sua carriera politica e di sfidare quel falso duopolio che vedeva contrapporsi periodicamente i repubblicani e i democratici in una apparente alternanza che mai però cambiava il corso politico degli Stati Uniti.
Non aveva importanza chi entrasse alla Casa Bianca, a decretare il risultato erano sempre loro.
Erano i noti e famigerati circoli del Council on Foreign Relations, del Bilderberg, del Bohemian Grove ma soprattutto dell’AIPAC, la potentissima lobby sionista, e di Chabad Lubavitch.
Trump e i due lati dell’ebraismo
Ora Trump ha giocato una partita molto astuta soprattutto con la parte più nazionalista dell’ebraismo, quella legata allo stato ebraico e al “sogno” di costruire una Grande Israele.
Questa parte appartiene a pieno titolo a quella corrente del giudaismo definibile come sionismo messianico che attende la venuta di un messia ebraico, il cosiddetto moschiach, che un giorno nell’ottica di tale visione sarà il leader di Israele e del mondo intero.
A parlarci meglio di questa figura è la citata setta sionista Chabad che esercita un potentissimo ascendente politico su tutte le democrazie liberali Occidentali, e ciò spiega perché vediamo spesso i rabbini di questa setta assieme ai vari politici e primi ministri europei e presidenti americani, poiché questo gruppo sembra avere in mano le chiavi della politica in molte parti del mondo.
Chabad poi è tornata recentemente agli “onori” delle cronache quando sono stati scoperti dei tunnel segreti nella sua sinagoga di New York, nei quali sono stati trovati dei materassi sporchi e persino un seggiolone da bambino, e ciò ha evocato immagini e pensieri orribili su quanto sia stata fatto davvero in quei luoghi nascosti.
David Saltzman, un rabbino e portavoce di Chabad, ha ammesso che i materassi servivano per deporre dei cadaveri, sebbene non è stato detto da dove sono stati presi i corpi, per praticare quella che è nota sin dall’antichità come una pratica demoniaca, ovvero la negromanzia, l”arte” di evocare gli spiriti attraverso i morti.
Apparentemente ci sono taluni che si affrettano a liquidare Trump come un “sionista” soltanto per il fatto che il presidente americano ha espresso più volte la sua stima per lo stato ebraico, senza però guardare minimamente al fatto che in nessun modo la politica estera di Trump poteva e può soddisfare quella dello stato ebraico.
Israele insegue un sogno di supremazia, nel quale essa aspira a diventare la padrona del Medio Oriente e del mondo intero attraverso la ricostruzione dell’Israele biblica, i cui confini vanno ben oltre gli odierni possedimenti dello stato ebraico.
Si può persino vedere sulle divise dell’esercito israeliano o sulle monete del Paese la mappa della Grande Israele che il partito del Likud di Netanyahu vorrebbe far tramutare in realtà per compiere il disegno dei padri dell’ebraismo moderno che aspirano alla ricostruzione del Terzo Tempio nella città di Gerusalemme.
Trump sin dal primo istante sapeva che doveva confrontarsi con questi potentissimi ambienti e ha giocato d’astuzia come ci accingiamo a spiegare.
Il presidente non ha mai dichiarato una ostilità aperta nei riguardi dello stato ebraico perché sapeva che aveva tutto il mondo dei media angloamericani che protegge Israele contro di lui, ed era necessario giocare una partita più astuta e più raffinata.
Non andava attaccata frontalmente Israele ma occorreva mostrare una presunta amicizia nei suoi confronti attraverso la quale poi criticare l’altro lato dell’ebraismo, quello più progressista e sorosiano che non è ostile ad Israele, ma assegna un ruolo prioritario e di dominio non tanto allo stato ebraico quanto ai “grandi” centri del potere internazionale quali l’alta finanza, l’ONU, e tutta quella rete che costituisce la spina dorsale del globalismo.
Così mentre Trump affermava che gli ebrei progressisti vicini a Soros sono antisemiti perché critici di Israele, al tempo stesso portava avanti la sua politica di separazione della politica estera americana da quella israeliana.
E’ sotto la sua amministrazione che è iniziato il ritiro delle truppe dalla Siria e dall’Afghanistan, una circostanza che ha fatto innervosire non poco Tel Aviv che sapeva perfettamente che il presidente attraverso questa sua decisione non faceva altro che dire addio a Israele.
Israele difatti è stata integrata per quasi tutta la sua esistenza nella politica estera degli Stati Uniti.
John Fitzgerald Kennedy e la lobby israeliana
Nessuno dopo la fine della seconda guerra mondiale ha provato a separare Washington da Tel Aviv, salvo il presidente John Fitzgerald Kennedy.
La storia del presidente democratico a nostro parere è semplicemente fondamentale per comprendere quanto sta accadendo oggi a Donald Trump.
John Fitzgerald Kennedy veniva da una famiglia di immigrati cattolici irlandesi che ha fatto la sua fortuna grazie alla spregiudicatezza del padre Joseph.
Joseph Kennedy iniziò negli anni’20, durante l’era del proibizionismo, a trafficare liquori dal Canada tramite l’appoggio di gangster ebraici quali Meyer Lansky e altri personaggi della malavita italoamericana quali Joseph Bonanno e Frank Costello.
I rapporti però tra gli ebrei e Joseph si faranno sempre più aspri nel corso degli anni fino a quando il padre di JFK divenne uno strenuo oppositore dell’ebraismo che a sua volta aveva nei suoi riguardi un odio profondo.
Il patriarca della famiglia dopo i suoi anni nel sottobosco criminale emerge come figura politica e diplomatica tanto da riuscire a diventare ambasciatore americano presso il Regno Unito, laddove grazie ad un accordo con Winston Churchill, massone di alto grado e primo ministro britannico, riuscì ad importare il whiskey scozzese negli Stati Uniti anche dopo la fine dell’era proibizionista nella seconda metà degli anni’30.
Kennedy però inizia a schierarsi contro i piani di ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale e comprende che se l’America fosse entrata in un altro conflitto gli esiti per il Paese sarebbero stati disastrosi.
C’erano però altre forze che volevano il conflitto che furono denunciate dal celebre aviatore Charles Lindbergh che chiamò in causa la lobby ebraica che voleva trascinare l’America in guerra per poi giungere ad altri obiettivi, quali la nascita dello stato di Israele e la successiva ascesa dell’impero americano che dominerà l’anglosfera per tutta la seconda metà del’900 e per i primi decenni del secolo attuale.
Il figlio di Kennedy, John Fitzgerald, inizia a comprendere a sua volta tramite i consigli paterni e l’aiuto di un ebreo sionista pentito convertitosi al cattolicesimo, Benjamin Freedman, che gli Stati Uniti non potranno essere mai liberi se prima non si libereranno della influenza di Israele e del potente mondo sionista.
JFK così ebbe scontri durissimi con lo stato ebraico che a stento vengono narrati dalla storiografia ufficiale nonostante ci sia una estesa bibliografia al riguardo che suggeriamo di consultare nel libro di Michael Collins Piper , “Il link mancante”.
L’esito però di questo braccio di ferro è noto. Kennedy viene giustiziato a Dallas il 23 novembre del 1963, non certo da Lee Harvey Oswald, che nemmeno era nel famoso deposito dei libri ma fuori dall’edificio, ma dal suo autista, William Greer, come si può vedere in questo filmato.
Oswald non era altro che un capro espiatorio e come tutti i capri espiatori andava eliminato.
A pensare a tale incombenza fu Jack Ruby, vero nome Jacob Rubenstein, un mafioso di origini ebraiche che, parole sue, uccise Oswald per impedire che si scatenasse un pogrom contro gli ebrei per la morte del presidente Kennedy.
Questa è la storia che non viene raccontata sulla morte del primo presidente cattolico alla Casa Bianca, e a parer nostro Trump ne ha fatto certamente tesoro.
Trump sapeva che per scontrarsi contro forze simili occorreva una strategia meno frontale, ma più sottile che gli consentisse comunque di arrivare al suo obiettivo finale, ovvero quello di far sì che l’America ritornasse ad essere finalmente un Paese libero e sovrano, non nelle mani di potentati globalisti e sionisti.
Questo spiega la sua tattica, dove ci sono dichiarazioni di amicizia verso lo stato ebraico, non seguite però da una geopolitica ben voluta da Tel Aviv, ma anzi completamente incompatibile con quanto desiderato dal Likud di Netanyahu.
Questo presidente si è ritrovato nelle condizioni di avere contro sia la parte sorosiana progressista del mondo ebraico sia quella sionista messianica che vorrebbe scatenare una guerra contro l’Iran, quando oggi invece si ritrova ad aver sofferto l’umiliazione di aver subito un attacco da parte di Teheran senza poter far nulla per rispondere.
La politica estera di Trump è qualcosa che non può coesistere né con il sionismo né con il Nuovo Ordine Mondiale, in quanto entrambi questi poteri senza il controllo degli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità di veder realizzati i loro piani.
Questo ci porta direttamente a quanto accaduto a Butler, dove ancora una volta coloro che cospirarono contro Kennedy 61 anni prima si sono di nuovo attivati per rimuovere dalla Casa Bianca quella che ai loro occhi è una minaccia intollerabile, ovvero un presidente che non è ai loro ordini e che vuole davvero liberare il suo Paese dalle spire di questi poteri che lo soffocano da troppo tempo.
A noi pare di cogliere una differenza fondamentale nel percorso tra i due uomini. Se il primo non aveva purtroppo abbastanza protezione dentro gli ambienti militari, il secondo certamente ha l’appoggio delle forze armate senza le quali difficilmente avrebbe potuto restare ben 8 anni sulla scena politica e sopravvivere ad altri precedenti attentati.
Soprattutto però ci pare di cogliere questa volta come la mano della Divina Provvidenza nei suoi imperscrutabili disegni sia intervenuta per salvare la vita di Trump in una data che è molto significativa per la storia del cristianesimo e del cattolicesimo, quale il 13 luglio, giorno dell’anniversario della terza apparizione della Madonna di Fatima ai tre pastorelli.
In quell’occasione, la Vergine rivelò ai tre bambini il futuro di apostasia che attendeva la Chiesa Cattolica, rivelazione nascosta dalla falsa chiesa del Vaticano II.
A noi pare di cogliere i segni dell’intervento divino. A noi pare di vedere chiaramente come questa battaglia contro il Nuovo Ordine Mondiale e coloro che speravano di ridurre in schiavitù l’umanità attraverso la farsa pandemica sia accompagnata dalla mano di Dio, senza la quale nulla è possibile.
Chi ancora non ha compreso questa fondamentale verità, potrà fare ben poco contro questi poteri ed è destinato a brancolare nel buio gnosticista del “ci salviamo da soli”.
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