Con 401 voti su 720 la Commissione Europea ha dato mandato a Ursula von der Leyen per lavorare al secondo tempo della sua guida della Commissione Europea. La presidente ha ricevuto formalmente l’incarico per un altro mandato sostenuta da Partito Popolare Europeo, Partito Socialista Europeo, Renew Europe (liberali) e Verdi, con l’opposizione di partiti conservatori come Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e della sinistra e della destra radicale. Difficile dire che questo esito possa essere una vera vittoria per qualcuno in Europa. Per un’ampia serie di motivi.
Partiamo da un dato: l’Europa appare consolidata nella tendenza a sclerotizzare le rendite di posizione di singole figure. Confermare due delle tre cariche apicali dell’Europa rieleggendo Roberta Metsola al Parlamento Europeo e la von der Leyen alla Commissione dà l’idea dell’assenza di rinnovamento nella classe dirigente che si è trovata in questi anni a Bruxelles a gestire grandi sfide, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, non dando prova (eufemismo) di una visione strategica e di sistema tale da consentirle di presentarsi come una leadership incontrastata per l’Europa.
Non si capisce, pertanto, perché Ppe e Pse, confermati dalle Europee come formazioni guida dell’Europa, abbiano deciso che la Spitzenkandidat e presidente uscente dovesse essere automaticamente eletta senza aprire alla possibilità di un rinnovo paragonabile, ad esempio, a quello che ha portato alla presidenza del Consiglio Europeo la novità di questa tornata, il portoghese Antonio Costa.
Il Ppe e il Pse vivranno problemi simmetrici. I cristiano-democratici e i membri del centro destra liberale e moderato europeo dovranno giustificare la presenza di politiche progressiste nell’agenda della donna che, fuori dalla Germania, a destra è stata associata all’abbraccio tra destra e mondo radicale in campo ambientalista. Invece, i socialisti saranno chiamati a votare per una tedesca che si è dimostrata fautrice del ritorno al rigore contabile e della linea dura sull’immigrazione, con la volontà di rafforzare la “fortezza Europa” triplicando i fondi per Frontex. Stesso problema riguarda i Verdi Europei, che si sono uniti alla maggioranza a poche ore di distanza dalla decisione del Tribunale dell’Unione Europea che censurava la scelta di von der Leyen di secretare i contratti per gli acquisti di vaccini durante il Covid-19, promossa proprio su iniziativa dei deputati ecologisti.
Tutti, poi, hanno creduto a ciò che loro più faceva comodo nel discorso di Von der Leyen, abile a promettere tutto senza sapere come intenderà mantenere. L’Europa del discorso di presentazione dell’Ursula-bis dovrà al tempo stesso investire in sicurezza dei confini, Difesa comune, digitale, energia pulita, industria della transizione green, agricoltura sostenibile, sovranità tecnologica, filiere alimentari, cooperazione allo sviluppo, edilizia e programmi sociali senza fare debito comune dopo Next Generation Eu e senza mettere in discussione i trattati e il Patto di Stabilità.
Certo, tra gli sconfitti si possono annoverare anche i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) di Giorgia Meloni che si sono trovati, principalmente Fdi, schiacciati tra l’incudine e il martello. L’incudine dell’attrazione delle forze tradizionali e il martello dei barricaderi di destra si sono saldati: Ecr e Fdi ininfluenti, impossibilitati a decidere dell’elezione di Von der Leyen o della sua bocciatura, temi criticati come il Green Deal confermati in agenda e limbo politico rafforzato. Con Meloni resta ai margini l’Italia, ed è la riscossa di Olaf Scholz e Emmanuel Macron, grandi perdenti delle Europee. I quali però non hanno molto da festeggiare.
Scholz e la Germania hanno dovuto concedere alla Francia macroniana la fine della visione di concorrenza propria dell’agenda tedesca e nordica, favorendo la visione propria di Thierry Breton, commissario uscente all’Industria, per aggregazioni industriali europee e crescita dimensionale dei settori strategici. La Francia, che si trova sotto minaccia di procedura d’infrazione, ha visto invece negato ogni ritorno del debito comune.
Vincono davvero in pochi. Tra i partiti Renew Europe resta nella stanza dei bottoni dopo un voto che ha visto i liberali scendere da 102 a 77 seggi e dalla dimensione di terzo a quella di quinto gruppo di Strasburgo. Rimanere a galla è importante, ma a che prezzo? A quello di rafforzare il processo di disaffezione tra l’Europa e la massa degli elettori che l’attuale presidente sembra incorporare. Tra gli Stati sono pochi quelli che hanno consolidato la loro agenda in Europa. Tra questi, probabilmente, la Spagna di Pedro Sanchez che ottiene mantenimento del Green Deal, programmi edilizi e sociali, commissario per il Mediterraneo. E, va detto, anche l’Ungheria di Viktor Orban. Citato come spauracchio da Von der Leyen nel discorso per la presunta vicinanza a Vladimir Putin, Orban sarà ancora un elemento da prendere in considerazione per ogni trattativa politica. E questo è un risultato, in un’Europa dove per incidere servirà superare una giunga di veti incrociati nei mesi a venire.
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