Con un voto del Parlamento Israele ha finalmente ammesso la sua natura coloniale
«La Knesset si oppone fermamente alla creazione di uno Stato palestinese», perché «rappresenterebbe un pericolo esistenziale per lo Stato di Israele e i suoi cittadini, perpetuerebbe il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerebbe la regione». Questo il testo di una risoluzione approvata ieri dal parlamento israeliano. Una decisione che ha trovato pochissimo spazio sui media, ma che dimostra una volta per tutte due cose che sono chiare da tempo a chiunque voglia vederle. La prima è che Israele non ha alcuna intenzione di rispettare il diritto internazionale, che sancisce il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato, a meno che questo non gli venga imposto. La seconda è che la politica israeliana è assolutamente concorde: l’idea che esista in Israele una forte opposizione politica a questo disegno è una palla fomentata dai media occidentali per stemperare le critiche contro lo Stato ebraico. La risoluzione ha infatti ricevuto 68 voti favorevoli e solo 9 contrari (tutti di deputati arabi). In favore della prosecuzione illimitata del progetto coloniale ha votato anche quella che in occidente viene pompata come “l’opposizione democratica” guidata dal Partito di Unità Nazionale di Benny Gantz, che di fatto si distingue dal progetto genocida di Netanyahu solo per la richiesta di fermare i bombardamenti su Gaza per il tempo necessario a liberare gli ostaggi, per poi riprenderli successivamente.
Ma questa votazione dimostra anche altro. Mentre sui media liberali i pochi spunti critici si concentrano sulla figura del premier Benjamin Netanyahu e sulla “deriva estremista” del suo governo, è interessante notare come la risoluzione della Knesset non fa altro che mettere nero su bianco il progetto storico del sionismo. L’idea che le élite israeliane desiderino abitare in pace al fianco dei palestinesi è un falso storico totale. Per comprenderlo basta riportare alla luce alcune dichiarazioni dei leader storici israeliani.
Nel 1937 David Ben Gurion, primo premier israeliano e considerato dagli israeliani il padre della patria, affermava: «Noi dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto». «Non esiste una cosa come il popolo palestinese. Non è che noi siamo venuti e li abbiamo cacciati e preso il loro Paese. Essi non esistono», diceva invece nel 1969 Golda Meir, primo capo del governo donna di Israele e iscritta al Partito Laburista (storicamente considerato il volto moderato di Israele). «I palestinesi sono bestie che camminano su due gambe», disse invece nel 1982 il suo successore, Menachem Begin. Una non esaustiva rassegna di brutalità, disegni coloniali e propositi genocidi che coinvolge praticamente tutti i leader israeliani succedutisi dal 1948 a oggi e che può concludersi con le parole di Yitzhak Shamir, primo ministro israeliano a più riprese tra il 1983 e il 1992: «I palestinesi saranno schiacciati come cavallette, con le teste sfracellate contro i massi e le mura».
Questa è, attraverso le dichiarazioni dei propri leader, l’essenza del progetto sionista. Rileggendola, è chiaro come la decisione del parlamento israeliano non sia altro che la ratifica in legge di una convinzione suprematista che guida da sempre l’élite israeliana. Un proposito formalmente approvato ora come sfida alle istituzioni internazionali, come l’ONU e la Corte Penale Internazionale che a breve potrebbe emettere un mandato di arresto per crimini di guerra contro Netanyahu.
C’è quindi un’ultima conseguenza, che chiama in causa quei governi, come quello italiano, che, seguendo la posizione degli USA, si oppongono ad ogni iniziativa risoluta per forzare la nascita dello Stato Palestinese, opponendosi in sede ONU alla proclamazione della sua nascita, ad ogni sanzione contro Israele nonché evitando di approvare il riconoscimento dello Stato di Palestina in sede nazionale. La posizione americana (e del governo Meloni) è che la soluzione “a due Stati” deve essere stabilita in trattati di pace tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese, senza nessuna forzatura. Una posizione che, data la realtà del contesto, si traduce nell’appoggio indiretto a qualsiasi azione israeliana. Come su L’Indipendente avevamo spiegato già all’indomani degli attacchi del 7 ottobre.
In questo senso la risoluzione israeliana ha anche una conseguenza positiva: finalmente getta la maschera sulla menzogna ancora diffusa dai governi occidentali e dai media dominanti sul fatto che i politici israeliani vorrebbero una trattativa di pace, ma questa è resa impossibile dai “terroristi” di Hamas. E ci mette di fronte a quella che è l’unica possibilità da parte dell’autoproclamata “comunità internazionale” per mettere fine al massacro e promuovere la pace e il rispetto del diritto internazionale. Se si vuole la pace e la giustizia l’unica possibilità è imporre a Israele la fine dell’occupazione: il suo ritiro all’interno dei territori che gli sono legalmente assegnati e il riconoscimento immediato dell’esistenza di uno Stato di Palestina libero e indipendente nei confini sanciti dall’ONU nel lontano 1948. Ogni iniziativa che non va in questo senso, come il rifiuto del governo italiano di riconoscere lo Stato di Palestina, è complicità con l’occupazione israeliana e con il genocidio del popolo palestinese.
[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]
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