Il progressismo, retroguardia armata del neoliberismo
di Andrea Zhok - 26/07/2024
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-progressismo-retroguardia-armata-del-neoliberismo
Fonte: Andrea Zhok
Stamane ricevo una comunicazione pubblicitaria, della
rivista Micromega, rivista progressista per antonomasia, cui ho anche
dato in passato un contributo. Nella comunicazione si annunciava
l’uscita, in libreria e online, del nuovo volume dal titolo "Contro la
famiglia. Critica di un'istituzione (anti)sociale". Riporto qui sotto il
commento introduttivo.
“La famiglia come istituzione sociale è, non
da oggi, oggetto di analisi e critica. Nel corso della storia il suo
superamento è stato obiettivo sia di progetti di emancipazione basati su
un’idea di condivisione della proprietà e del lavoro, sia di progetti
politici totalitari, che in essa e nelle appartenenze e lealtà di cui è
costituita scorgevano un ostacolo al rapporto tra i cittadini e lo
Stato.
Non c’è dubbio che oggi ci troviamo di fronte a un prepotente
ritorno della retorica dei legami familiari e di sangue. E allora cosa
significa, oggi, proclamarsi “contro la famiglia”, come MicroMega ha
scelto di intitolare il quarto volume di questo 2024 in libreria dal 25
luglio? Non certo mettere in discussione i legami affettivi e di
reciproca cura che all’interno della famiglia si creano, ma mettere a
fuoco e fare oggetto di analisi critica tutti i suoi aspetti
antipolitici e antisociali: il FAMILISMO AMORALE; la TENDENZA A MINARE
AUTOREVOLEZZA E CREDIBILITÀ DELLA SCUOLA, nel desiderio di ergersi a
unica agenzia educativa dei figli; il ruolo svolto nella TRASMISSIONE DI
RIGIDI RUOLI DI GENERE; la CONCENTRAZIONE DI GRANDI CAPITALI TRASMESSI
PER VIA EREDITARIA con conseguente immobilità sociale... D’altro canto
molto spesso sono le carenze dello Stato a indurre gli individui a un
RIPIEGAMENTO NELL’AMBITO DELLE COMUNITÀ PIÙ PROSSIME, PRIMA FRA TUTTE
PROPRIO LA FAMIGLIA, IN UN CIRCOLO VIZIOSO CHE È NECESSARIO SPEZZARE PER
GARANTIRE A CIASCUNO IL PIENO DIRITTO AL DISPIEGAMENTO DELLA PROPRIA
PERSONALITÀ.” [sottolineature mie]
Alcune considerazioni a commento
sono d’uopo, esaminando partitamente le accuse qui sopra addotte a
carico dell’ordinamento famigliare. Credo che ciò sia utile per mostrare
come questa posizione esposta da Micromega rappresenti in forma
emblematica alcune ragioni di fondo per cui il progressismo culturale
sia divenuto, nel contesto contemporaneo, un’entità socialmente
distruttiva, politicamente dissolutiva ed eticamente catastrofica.
L’attacco
all’istituzione famigliare in ambito progressista o “di sinistra” non è
naturalmente una novità, ma come sempre negli sviluppi culturali il
contesto in cui una tesi viene proposta e sviluppata è non meno
importante delle tesi stesse.
Nell’ambito ottocentesco in cui
dapprima si sviluppa la critica all’istituzione famigliare, alcune delle
tesi qui richiamate, come il riferimento al familismo amorale, potevano
avere un relativo fondamento.
Ricordiamo che il concetto di
“familismo amorale” venne introdotto dal politologo americano Edward C.
Banfield nel suo libro The Moral Basis of a Backward Society (1958),
frutto di una permanenza di 9 mesi nel paesino di Chiaromonte
(Basilicata). Quest’esperienza permise apparentemente a Banfield di
trarre conclusioni di valore generale sul ruolo negativo della famiglia
nucleare come latrice di arretramento socioeconomico, a causa del
proprio connaturato egoismo. A settant’anni di distanza la sciatteria
dell’analisi di Banfield, 188 pagine prive di un apparato di analisi
storica o comparativa degna di nota, appare palese. Ma ciò non toglie
che il concetto di familismo amorale sia riuscito a diffondersi come uno
dei molti piedi di porco utilizzati per scardinare ogni legittimazione
dell’ordinamento famigliare. Che la famiglia nucleare, in condizioni
storiche specifiche, possa assumere un ruolo eminentemente difensivo ed
autoreferenziale è certo, ma che ciò sia una caratteristica in qualche
modo qualificante della famiglia nucleare e delle sue lealtà interne,
questa è una sciocchezza insostenibile. Sia come sia, in una fase
espansiva della società moderna, in cui, almeno di principio,
istituzioni statali strutturate iniziavano a farsi spazio, poteva essere
plausibile vedere in alcune resistenze e diffidenze delle strutture
famigliari tradizionali un fattore frenante, “regressivo”. Il prototipo
di questa funzione regressiva poteva essere un modello di familismo
visibile in alcune forme di criminalità organizzata (il familismo tipo
“Padrino”). Ma la vera questione qui è capire in che misura nell’Europa
del XXI secolo la “famigghia” di Vito Corleone rappresenti un fattore
reale di destabilizzazione antisociale. L’impressione è che certa
intellighentsia tragga le proprie fonti sulla realtà sociale più da
Netflix che da uno sguardo alla realtà circostante.
La seconda
imputazione grave che Micromega ritiene di dover ascrivere alla famiglia
è di “minare l’autorevolezza e credibilità della scuola”. (Ok, non
ridete). Qui, di nuovo, ci troviamo in un contesto analitico che sembra
nascere nella società degli anni ’60. Sembra che abbiamo attorno
famiglie solidissime e impermeabili, ma con alti tassi di analfabetismo,
che fanno da barriera ai lumi della ragione portati dalla nuova
scolarizzazione. Solo che mentre sessant’anni fa una funzione
sprovincializzante e formativa della scuola pubblica poteva essere
sostenuta, oggi la scuola è assediata da programmi eterodiretti,
americanizzati, ad altissimo tasso ideologico, con una simultanea
riduzione delle conoscenze a favore delle “competenze” (l’esteriorità di
atteggiamenti e comportamenti). Al contempo le famiglie sono sempre più
impotenti e slambricciate, assediate a loro volta dagli onnipresenti
“schermi” che “educano” h24 i propri figli ai valori di TikTok e
Walmart. Gli intellettuali di Micromega sembrano appena sbrinati, dopo
essere entrati in un congelatore quando in televisione c’era il “maestro
Manzi”.
La terza imputazione è complementare alla seconda: la
famiglia avrebbe un ruolo regressivo perché sarebbe complice della
“trasmissione di rigidi ruoli di genere”. Ora, al di là del fatto che è
assai dubbio che ciò corrisponda oggi in qualche misura al vero, la vera
questione è: esattamente a chi spetterebbe di educare i figli in
questioni come l’affettività o l’orizzonte di aspettative circa sesso e
genere? A Micromega? A Fedez? Al MinCulPop? Ai Kibbutz? Ai Soviet?
All’Agenda 2030? Sono sfiorati dal dubbio che l’idea di possedere una
superiore saggezza su temi come l’affettività primaria sia
sfacciatamente autoritaria?
La quarta imputazione è forse la più
comica: la famiglia favorirebbe l’immobilità sociale in quanto
favorirebbe la concentrazione dei capitali per via ereditaria. Usciti
dal loro congelatore ottocentesco gli intellettuali di Micromega hanno
davanti agli occhi senz’altro i Buddenbrook. Si immaginano famiglie di
capitalisti col cappello a cilindro e l’etica protestante del lavoro che
passano attività di famiglia e capitali ai propri discendenti di
sangue. Il carattere anonimo delle odierne multinazionali e dei fondi di
investimento sembra essergli sfuggito. Di più, il modello famigliare
che alimentava la concentrazione dei capitali non è neanche il
capitalismo ottocentesco. Bisogna risalire al maggiorascato – abolito
col Codice Napoleonico - dove solo il primogenito ereditava (per evitare
il frazionamento del capitale). Ecco, immaginare che oggi la tendenza
dei capitali alla concentrazione in regime capitalista sia dovuto
all’ereditarietà famigliare è un indice strepitoso di come la sinistra
non maneggi più neppure quegli elementi di economia di cui un tempo si
faceva vanto.
E peraltro, laddove questa tendenza esistesse, laddove
fossimo ancora in pieno maggiorascato, ovviamente il problema sarebbe
rappresentato da ciò che la legislazione consente di fare, non certo
dall’esistenza di un ordinamento famigliare.
In sintesi, lo stantio
attacco alla famiglia che Micromega ritiene di dover muovere è motivato
da una collezione di pretesti insostenibili. Ma la vera, profonda,
motivazione è quella che fa capolino nelle considerazioni finali di cui
sopra, ed è una motivazione schiettamente IDEOLOGICA: la famiglia,
rientra nel novero delle “comunità più prossime”, che lo
pseudoilluminismo progressista (in realtà neoliberismo inconsapevole)
chiede di spezzare per “garantire a ciascuno il dispiegamento della
propria personalità”.
Al netto della fuffa sul carattere “antisociale
e antipolitico” della famiglia, l’ordinamento famigliare, e gli
ordinamenti comunitari in genere, rappresentano uno scandalo per
l’odierna sinistra neoliberale perché non si adattano alle esigenze
dell’individualismo mercatista – unica dimensione di libertà che sono
ancora capaci di immaginare.
Il modello di libertà che propongono è
il sogno bagnato di quel grande capitale che fingono di osteggiare.
Sognano individui sradicati, isolati, che cercano consolazione
passeggiando in quel grande supermercato che è diventato il mondo
occidentale. Sognano individui fragili, fluidi e perciò disponibili ad
essere collocati senza resistenza in ogni anfratto e posizione del
macchinario globale. Collaborano fattivamente alla dissoluzione di ogni
identità stabile, collettiva quanto personale, che potrebbe fungere da
baluardo alla liquefazione dei rapporti di mercato.
Non so se questa
operazione sia frutto di schietta complicità con il paradigma
neoliberale, o se sia solo segno di una drammatica inconsapevolezza
culturale, ma alla fine questo interessa il giusto: le intenzioni
contano fino ad un certo punto e ciò che resta a futura memoria è solo
un ennesimo contributo al degrado corrente.
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