“Qualsiasi società che abbia delle strutture politiche, economiche istituzionali e non, che non sappiano fornire un senso di sicurezza, non è una società che può ambire all’equilibrio sociale e politico. Perché in un clima di potere e dominio, non si bada alla sofferenza dei più deboli e sfortunati, e soprattutto non verrà mai a galla la verità dei fatti”. La definizione è di Franz Foti, giornalista e docente universitario. Ma se fosse la fotografia proprio della società in cui viviamo?
Nessun monitoraggio sulle forze dell’ordine
In un clima di sempre più crescente di sfiducia, tensione e paura, le recenti vicende di abusi di potere da parte delle forze di polizia a Pisa durante una manifestazione giovanile e a Milano all’interno della mura del carcere “Beccaria” (Istituto Penale per minorenni) hanno fatto emergere questioni decisamente urgenti e necessarie per garantire una tutela ad ampio spettro, altresì reciproca: sia della libertà e incolumità del cittadino quanto delle forze dell’ordine intente a svolgere il loro incarico. Basti pensare che l’Italia è uno degli 8 paesi su 27 dell’UE a non aver adottato misure di monitoraggio sull’operato delle proprie forze di polizia, assieme ad Austria, Olanda, Lussemburgo e Cipro.
La questione dei codici identificativi e delle body cam ha una storia lunga e travagliata nel nostro Paese. A partire dalle violenze avvenute al G8 di Genova nel 2001, furono portate avanti negli anni da più partiti e dal Consiglio dell’Unione Europea numerose proposte di legge in merito, nessuna delle quali ebbe seguito: nessuna calendarizzazione o linee guida, soltanto raccomandazioni che non furono seguite.
Tuttavia nel gennaio del 2022 si comincia a vedere una luce in fondo al tunnel: quando il Ministero dell’Interno approva l’inserimento di 949 bodycam tra carabinieri e forze di polizia eppure – ad oggi – non vi sono evoluzioni in merito.
Body Cam: perché sì
Si parte dal presupposto che adottare tali misure possa garantire una maggiore trasparenza nell’operato dell’agente e, nel caso venga commesso un illecito, questo possa essere imputabile individualmente in maniera molto più rapida di quanto non avvenga ora.
I filmati delle body cam avrebbero un fine probatorio, ma attenzione, a doppio senso: non solo allo scopo di incriminare ma anche per chiarire i fatti di una vicenda e, in caso, a dimostrare l’innocenza dell’operatore.
Tiziana Sicilano, PM aggiunta della procura di Milano, ha gestito numerosi casi di sospetti abusi da parte delle forze di polizia e arriva a constatare che “… coordinando il secondo dipartimento, tutti i reati denunciati come commessi da agenti in servizio passano dal mio dipartimento […] effettivamente ogni tanto c’è un problema di tipo probatorio: ad esempio molto spesso la prima notizia su un determinato episodio proviene dalla relazione di servizio degli agenti che magari, come dire, c’è la possibilità che rappresentino una realtà distorta o alleggerita dei fatti […] trovando soltanto in ritardo nella dichiarazione della parte lesa una versione completamente diversa.”
E ancora: “A questo punto, nel momento in cui c’è acquisizione di video, questi rientrerebbero sotto il codice di procedura penale, ovviamente per accedervi si deve presupporre un illecito e che tali immagini siano prova documentale del reato e dunque si interviene con sequestro a fine probatorio.”
Una svolta per i processi
Risulta dunque lampante l’alleggerimento del carico dei processi, permettendo un’analisi chiara e dettagliata della vicenda da parte del giudice in modo da poter emettere una sentenza quanto più rapida, corretta ed equa, garantendo a sua volta una forma di tutela reciproca nei confronti delle forze di polizia che operano sul campo e del del cittadino interessato, auspicando una maggiore trasparenza e sicurezza.
Ad oggi l’agente è sì obbligato a portare con sé un tesserino di riconoscimento ma non è altrettanto obbligato ad esibirlo, se non in circostanze di servizio in borghese. Il tutto a norma di una legge che sta per compiere ben 40 anni. (“Decreto del presidente della Repubblica n. 782 del 1985). Sarebbe dunque il caso di ammodernare il sistema legislativo inerente alla questione in modo da permettere un’evoluzione in merito alle nuove, concrete esigenze.
Gli ostacoli da superare
La PM Tiziana Siciliano ci dice la sua in merito alla questione: “Il limite che vedo è proprio di tipo sindacale, ciò viene visto come una sorta di sorveglianza continuativa su un dipendente, il che potrebbe essere visto come un comportamento anti statale, ricordiamoci che c’è una precisa norma dello statuto dei lavoratori che impedisce di filmare i dipendenti nel corso della loro attività lavorativa”.
Eppure ci sono dipendenti e dipendenti. Com’è possibile che un dipendente garante dell’ordine pubblico sia equiparato, ad esempio, ad un qualsiasi altro tipo di impiegato statale, senza riconoscergli delle responsabilità che richiedono particolari forme di applicazione e tutela? Calcolando anche i fattori di rischio ai quali gli agenti sono sottoposti quotidianamente.
Come sottolineato prima dalla PM Siciliano, l’introduzione di queste misure di riconoscimento sembra dunque ostacolata dalla legge “300, art.4”, del 1970 sulla privacy, la quale stabilisce che: “È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori […] possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna”.
Altra resistenza riscontrata in materia pare provenire per l’appunto dalla realtà sindacale che più volte si è opposta all’inserimento dei codici identificativi, restando invece più favorevole sulla questione bodycam. Perchè? ve lo spieghiamo subito: La Federazione Sindacale di Polizia e il Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia (SIULP) si sono mostrati più volte contrari all’introduzione dei codici identificativi in quanto ritengono possa essere un sistema ingiusto e che metterebbe in pericolo l’anonimato e l’incolumità degli agenti col rischio di essere riconoscibili ai criminali.
Ciò, tuttavia, non dovrebbe essere permesso, in quanto l’accesso ai codici identificativi sarebbe accessibile unicamente al magistrato o al capo del comando.
Quello che risulta evidente è che vi sono sistemi ancora troppo macchinosi e burocrazie stringenti che limitano le introduzioni di nuove norme a tutela dell’operato degli agenti.
Ciò nonostante qualche piccola conquista pare esser stata raggiunta, nel 2022, per l’appunto, 949 bodycam sono state affidate ad un nucleo ristretto di polizia e carabinieri, un piccolo passo che però necessita di un evoluzione e di un continuo miglioramento, prima che ciò cada nell’oblio.
La strada verso una maggiore trasparenza e sicurezza è lunga e complessa, ma non priva di speranza. Mentre continuiamo a monitorare gli sviluppi e le reazioni delle diverse parti coinvolte, resta fondamentale comprendere come queste misure possano essere integrate efficacemente nel nostro sistema.
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