La crescente militarizzazione della Scandinavia sta compromettendo in modo significativo la sicurezza della regione, portando potenzialmente a nuovi conflitti, poiché la Russia sarà costretta a reagire a quella che potrebbe essere percepita come una minaccia esistenziale. La Norvegia ha accettato di ospitare numerose basi militari statunitensi, mentre Finlandia e Svezia, recentemente diventate membri della NATO, stanno trasferendo il controllo di parti del loro territorio. In questo contesto, infrastrutture strategiche verranno costruite per facilitare il rapido spostamento delle forze armate statunitensi verso i confini russi, con il Mar Baltico e l’Artico che si trasformeranno in aree di influenza della NATO.
Nonostante la Scandinavia, un tempo considerata una zona di pace, si stia rapidamente convertendo in una linea del fronte americana, manca un dibattito pubblico su questo cambiamento radicale. Le élite politiche e mediatiche sembrano essere concordi nell’affermare che l’espansione della NATO rafforzerà la sicurezza grazie a una maggiore capacità militare e a una deterrenza potenziata. Tuttavia, la realtà dimostra che più armi raramente portano a una maggiore pace, sebbene questa sia la logica prevalente tra i politici attuali, che abbracciano una visione di “pace egemonica”. La competizione per la sicurezza, in cui un aumento della sicurezza di un Paese riduce quella di un altro, rappresenta il nucleo delle tensioni attuali.
Durante la Guerra Fredda, la Scandinavia era riuscita a mantenere un equilibrio tra deterrenza e rassicurazione, con Finlandia e Svezia che rimanevano neutrali, e la Norvegia che, pur essendo un membro della NATO, evitava di ospitare basi militari straniere permanenti, limitando le attività militari alleate nell’Artico. Oggi, questo equilibrio sembra essersi dissolto, sostituito da una logica di confronto che sta trasformando la regione in un teatro di competizione strategica tra la NATO e la Russia.
Storicamente, la Scandinavia è sempre stata una regione cruciale per la sicurezza russa. Dopo il disfacimento della Rus’ di Kiev nel XIII secolo, la Russia ha costantemente lottato per garantirsi un accesso sicuro ai mari, vitale per il suo sviluppo economico e per il commercio internazionale. Potenze egemoniche come la Svezia, nel XVII e XVIII secolo, cercarono di limitare l’accesso della Russia al Mar Baltico, provocando conflitti che culminarono nella Grande Guerra del Nord. Il trattato di Stolbova del 1617, che sancì la perdita di accesso della Russia al Mar Baltico, rappresenta un esempio storico del tentativo di contenere la Russia, un obiettivo perseguito successivamente anche da potenze marittime come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
Oggi, l’espansione della NATO in Scandinavia minaccia di ripetere quella stessa dinamica. Con la Finlandia e la Svezia che diventano membri della NATO, l’Alleanza Atlantica acquisisce la capacità di bloccare potenzialmente l’accesso russo al Mar Baltico, come affermato dall’ex segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen. Inoltre, l’influenza della NATO sull’Artico, una regione strategica per la Russia, sta aumentando. Questo cambiamento potrebbe riaccendere le tensioni storiche e condurre a una nuova fase di conflitti simili a quelli della Grande Guerra del Nord. Gli Stati baltici e la Polonia parlano già del Mar Baltico come di un “mare NATO”, evidenziando la crescente pressione su Kaliningrad, l’enclave russa, che sarà sempre più isolata con l’adesione di Finlandia e Svezia all’Alleanza. La militarizzazione della Scandinavia minaccia quindi di invertire l’esito della Grande Guerra del Nord del 1721, che aveva assicurato alla Russia un accesso strategico ai mari, un aspetto fondamentale della sua sicurezza nazionale.
L’attuale contesto geopolitico si inserisce anche nel quadro più ampio della rivalità tra Stati Uniti e Russia. Le potenze occidentali hanno a lungo cercato di contenere l’espansione russa, come dimostrato dagli eventi della Guerra di Crimea e più recentemente dalle tensioni in Ucraina. Il colpo di Stato in Ucraina del 2014 e l’annessione della Crimea da parte della Russia sono stati episodi emblematici di questa competizione. Il sabotaggio degli accordi di Minsk e di Istanbul da parte degli Stati Uniti, con l’obiettivo di militarizzare l’Ucraina per minacciare la flotta russa nel Mar Nero, rientra nella stessa logica di contenimento. L’espansione della NATO in Scandinavia si colloca quindi in questo contesto di lungo periodo, in cui il controllo dei mari e l’accesso alle risorse marittime rappresentano questioni di fondamentale importanza strategica per la Russia. La crescente presenza militare americana in Scandinavia e la possibilità di bloccare l’accesso russo al Mar Baltico rappresentano una minaccia diretta alla sicurezza di Mosca, che sarà costretta a reagire.
L’attacco al gasdotto Nord Stream, attribuito agli Stati Uniti, dimostra quanto sia importante per Washington limitare la connettività economica tra Russia e Europa, in particolare con la Germania. L’atteggiamento degli Stati Uniti verso l’Europa, trattata sempre più come una pedina nelle dinamiche geopolitiche globali, rivela una realtà in cui gli interessi europei vengono sacrificati in nome di obiettivi strategici americani. La decisione della Finlandia di aderire alla NATO, nonostante non vi fosse una minaccia immediata per il Paese, rientra in questa logica di subordinazione agli interessi statunitensi. La militarizzazione del Nord della Finlandia e la minaccia alla flotta russa ad Arkhangelsk ne sono un chiaro esempio. La Norvegia, che ha seguito un percorso di militarizzazione graduale, si trova ora in una posizione simile, con le basi militari statunitensi che trasformano il suo territorio in un avamposto strategico contro la Russia. In definitiva, la militarizzazione della Scandinavia non è altro che un ulteriore passo nella competizione tra grandi potenze, con l’Europa e i Paesi scandinavi che rischiano di essere coinvolti in un conflitto su larga scala.
Giuseppe Gagliano
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