La pace non sembra un’opzione per il Messico. A distanza di solo qualche settimana dall’arresto dei boss Ismael “El Mayo” Zambada Garcia e Joaquin “El Güero” Guzmán Lopez, figlio del boss El Chapo, lo Stato di Sinaloa e più in generale il Nord del Messico sembrano essere ripiombati nell’ennesima guerra tra narcos per il controllo del territorio. Le dinamiche dell’arresto dei due boss sono ancora tutt’altro che chiare, tuttavia il vuoto di potere che ne è scaturito ha portato quasi immediatamente a un sanguinoso conflitto all’interno del cartello. Da un lato vi sarebbero infatti i fedelissimi di El Mayo, cofondatore del cartello di Sinaloa, mentre dall’altro vi sarebbero due dei Chapitos, ovvero i figli di El Chapo.
Dallo scorso 9 settembre decine di persone sarebbero state uccise nello stato di Sinaloa, principalmente nella capitale Culiacan. Le cifre ufficiali parlerebbero di 53 morti e di 51 persone scomparse. Tuttavia si può bene intuire come in un contesto così violento come quello messicano bisogna tenere conto delle persone che non state segnalate ancora essere scomparse così come quelle che non si troveranno mai. Oltre ai conflitti a fuoco tra fazioni opposte o contro le forze dell’ordine, i narcotrafficanti di Culiacan stanno portando nuovamente agli occhi del Messico l’efferatezza della guerra per la droga: svariati cadaveri sono stati lasciati in mezzo alla strada, seminudi con solo i cappelli addosso, come monito per gli avversari.
Per quanto le violenze oggi siano limitate principalmente allo stato di Sinaloa, le autorità ritengono che un ampliamento della guerra agli stati di Sonora, Durango, Baja California e Chihuahua sia imminenti. Al netto di ciò, il Messico ha raggiunto nuovamente la triste soglia di 100 morti al giorno, numeri che sembravano relegati al passato e che invece dimostrano quanto il Paese aderisca alla nomea di “narcostato” che gli viene affibbiata sempre più spesso negli ultimi anni.
A causa degli scontri, le strade di Sinaloa ricordano molto le città di tutto il globo durante la pandemia. Dalle 19 in poi è in atto un coprifuoco de facto autoimposto, avendo la popolazione troppa paura ad uscire nelle ore serali e trovarsi nel mezzo di uno scontro a fuoco. Il governatore Rubén Rocha Moya ha iniziato addirittura a distribuire casa per casa pacchi alimentari, visto che la maggior parte delle persone non esce di casa neanche per la spesa. In molte città del Sinaloa le feste locali sono state rimandate per evitare che i narcotrafficanti usino quest’occasione per l’ennesima sparatoria. A conti fatti l’intera popolazione è in ostaggio dei cartelli, senza alcuna soluzione di continuità.
In risposta a tutto ciò, il governo centrale ha inviato 600 soldati per rafforzare la sicurezza dello Stato. Nonostante l’atto simbolico, ciò sicuramente non porterà tranquillità alla popolazione locale. È infatti frequente che scontri a fuoco nascano proprio da narcotrafficanti che indossano divise trafugate dell’esercito per girare liberamente in città. La questione è quindi se effettivamente le forze di sicurezza porteranno a Sinaloa quella deterrenza necessaria quanto meno per ridurre l’intensità del conflitto in corso.
In questo senso vi è un aspro dibattito in corso in Messico sulla politica securitaria dell’uscente presidente Obrador, con la riforma della Guardia Nazionale che passerebbe alle dirette dipendenze del Segretariato della Difesa Nazionale. Ciò porterebbe, secondo alcuni, ad un vero processo di militarizzazione del Paese, processo supportato peraltro anche dalla presidente eletta Claudia Sheinbaum. Le forze di opposizione stanno cercando di dialogare con il nuovo Governo sulla riforma, specie sulla modifica dell’articolo 129 della Costituzione, il quale limita le funzioni militari in tempo di pace. Articolo mai cambiato sin dalla sua istituzione nel 1857. Sino ad oggi.
Nonostante le promesse del governo sull’integrità dei 130.000 membri della Guardia Nazionale, la storia del Messico ha già visto in passato simili corpi governativi collusi apertamente con i cartelli. Esempio fra tutti è la Polizia Federale (Policía Federal), i cui vertici corrotti in più di un’occasione favorirono le azioni del cartello di Guadalajara, comandato nei suoi anni d’oro da El Padrino, Miguel Ángel Félix Gallardo.
Il presidente uscente Obrador ha imputato parte delle responsabilità delle violenze agli Stati Uniti, i quali hanno arrestato El Mayo e El Güero senza avvisare le autorità di Citta del Messico, accuse che ovviamente l’ambasciatore statunitense Ken Salazar ha respinto al mittente. Nel frattempo, mentre Città del Messico cerca un futile capro espiatorio senza mai agire concretamente per sradicare il narcotraffico dal proprio territorio, voci di corridoio affermano che Mayito Flaco, il figlio di El Mayo, abbia creato una nuova alleanza con José Gil Caro Quintero, nipote di Rafael Caro Quintero ossia uno dei capi del defunto cartello di Guadalajara, e Isidro Meza Flores conto i figli di El Chapo. Che sia vero o meno, la guerra per Sinaloa è appena iniziata, così come anche (purtroppo) la lista dei morti che la accompegnaranno nei prossimi mesi.
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