La Martinica non ne può più della Francia: Parigi impone il coprifuoco per fermare le proteste
Continua a crescere la tensione nei territori d’oltremare francesi, in particolare in Martinica, dopo che mesi fa violente proteste hanno scosso la Nuova Caledonia, nell’Oceano Pacifico. Negli ultimi giorni, l’isola caraibica appartenente alle Antille francesi è stata attraversata da una serie di animate proteste contro il carovita, tanto che le autorità locali hanno dovuto imporre il coprifuoco notturno in diverse zone della capitale Fort-de-France per reprimere i disordini. La misura, tuttavia, non è stata rispettata e si sono registrati almeno 14 feriti tra manifestanti e agenti di polizia: sono stati assaltati negozi e alcune auto sono state incendiate nelle strade della città. I manifestanti si oppongono alle politiche economiche di Parigi chiedendo che vengano considerati gli interessi della popolazione locale. Il costo della vita, infatti, è notevolmente più alto di quello della Francia continentale, specialmente per quanto riguarda il cibo, che è arrivato a costare tra il 30 e il 40% in più rispetto alla Madrepatria. Le aziende che controllano il mercato locale sono accusate di gonfiare i prezzi e nonostante il governo francese lo scorso anno avesse promesso di affrontare la questione, non si sono registrati progressi.
Il canale televisivo francese BFMTV ha fatto sapere che la prefettura della Martinica ieri ha prorogato il coprifuoco parziale fino a giovedì 26 settembre, estendendolo al quartiere popolare di Sainte-Thérèse, epicentro della violenza urbana nell’isola. Inoltre, lo scorso sabato è stata inviata sul posto l’ottava Compagnia di Sicurezza Repubblicana (CRS), un’unità d’élite specializzata nella lotta contro la violenza urbana creata nel 2021. Le «manifestazioni di protesta» non dichiarate erano state vietate durante il fine settimana in diversi comuni della Martinica, ma questa misura non è stata rinnovata. Il prefetto ha però adottato altri divieti, tra cui quello di vendere carburante ai privati e l’acquisto e la vendita di esplosivi.
L’eredità coloniale francese in questi territori continua a avere pesanti ripercussioni sulle popolazioni, mentre in alcune realtà – come quella della Nuova Caledonia – aumentano le spinte indipendentiste. La Martinica fa parte delle cinque regioni d’oltremare francesi, insieme a Guadalupa (altra isola dei Caraibi), a Mayotte e Réunion (a largo delle coste malgasce) e alla Guyana francese. Si tratta di territori che costituiscono le cosiddette «regioni ultraperiferiche» dell’Unione Europea, in cui è in uso l’euro come valuta e che partecipano alle elezioni del Parlamento Europeo. La denominazione denota l’eurocentrismo dell’Unione che relega in uno stato di marginalità regioni chiave da un punto di vista economico e geopolitico. La Martinica divenne dominio della corona francese nel 1674 e nonostante alcuni tentativi d’indipendenza durante il periodo della Rivoluzione francese rimase sempre sotto il controllo della Madrepatria, ad eccezione di alcuni anni durante le guerre napoleoniche in cui l’isola fu occupata dalle truppe inglesi. Nonostante l’abolizione della schiavitù, la struttura sociale di quella che di fatto è una colonia di Parigi è ancora un’eredità del periodo delle piantagioni: l’élite, infatti, è formata dai bianchi discendenti dei colonizzatori; gli immigrati francesi e i mulatti fanno parte della classe media, mentre la stragrande maggioranza della popolazione costituisce la classe più svantaggiata ed è formata da neri che solitamente lavorano nei campi.
Anche in Nuova Caledonia – nella zona sudoccidentale del Pacifico – lo scorso maggio si sono registrate violente proteste a causa della riforma costituzionale voluta dalla Francia che prevederebbe la riduzione degli anni di residenza nell’arcipelago per accedere al voto. Secondo i manifestanti, la riforma mira a modificare le regole elettorali, mettendo in minoranza la popolazione autoctona – costituita dalla comunità indigena Kanak che rappresenta il 40% della popolazione – e poter così sopprimere le spinte indipendentiste. Dopo 11 giorni di proteste, la gravità della situazione ha spinto il presidente francese Emmanuel Macron a recarsi sull’isola per cercare una soluzione a quello che ha definito un «movimento insurrezionale assolutamente inedito». La strategia del capo dell’Eliseo però non si è discostata da quella solitamente adottata in Francia: la repressione violenta delle proteste.
A causa della cattiva gestione economica e sociopolitica di quelle che di fatto si possono considerare colonie francesi, l’instabilità di questi territori è destinata ad aumentare. Anche il «francocentrismo» imposto su territori culturalmente e geograficamente lontanissimi dalla Francia e il passato coloniale fatto di violenze alimentano il malcontento delle amministrazioni e delle popolazioni indigene. Nonostante le proteste, tuttavia, Parigi non sembra essere disposta a trattare e a prendere in considerazione le istanze dei territori e delle collettività d’oltremare che considera ineluttabilmente di sua proprietà. L’insofferenza verso la sudditanza francese – che si estende in tutte le sue ex colonie, comprese quelle africane – rischia però di avere importanti ripercussioni, oltre che sull’ordine pubblico, anche sull’immagine e sulle strategia di politica estera dell’Eliseo.
[di Giorgia Audiello]
Nessun commento:
Posta un commento