Il complesso militare-industriale non è il risultato del capitalismo, ma dello statalismo
di OSCAR GRAU
L’imperialismo sionista-statunitense in Medio Oriente è ben lungi dall’essere giunto al termine. L’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele ha innescato una fase altamente omicida nel lungo conflitto israelo-palestinese. La successiva rappresaglia delle Forze di difesa israeliane (IDF) e la loro uccisione di decine di migliaia di innocenti, e le continue provocazioni, hanno aumentato la possibilità di una guerra imminente tra Israele e Iran, con l’ulteriore possibilità di coinvolgere gli Stati Uniti. A peggiorare le cose, il rapporto americano con Israele in questi decenni ha reso possibile una poco plausibile tolleranza del genocidio di Gaza per molti conservatori.
La capacità americana di produrre disastri umanitari, sia con la NATO che con l’IDF, è tutt’altro che una novità, dimostrando più e più volte che la libertà e i diritti umani non contano per il governo degli Stati Uniti, che ha sostenuto il massacro di innocenti in Medio Oriente o lo ha compiuto lui stesso. Inoltre, la creazione di molti altri milioni di rifugiati ha provocato disordini sociali in diversi paesi europei che soffrono di immigrazione sovvenzionata. Eppure, tutto questo è in realtà sostenuto dalla leadership politica di questi paesi europei. Nel frattempo, nella guerra tra Russia e Ucraina, ogni volta che il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati aiutano il presidente Volodymyr Zelensky con armi e denaro, contribuiscono alla morte di sempre più persone alimentando una guerra provocata dalla NATO.
La necessità dell’esistenza dello Stato è senza dubbio uno dei peggiori miti che ancora persistono nella mente pubblica. Chi esige la fabbricazione di armi capaci di uccidere simultaneamente migliaia di persone? Chi costringe o convince migliaia di persone a indossare l’uniforme e sparare ad altre? Chi costruisce basi militari in tutto il mondo? Queste situazioni sarebbero impossibili senza lo Stato. Mentre la tecnologia avanza sempre, inizia come uno strumento neutrale e diventa un fattore negativo solo quando gli scopi dello Stato sono armi di guerra di massa.
È a causa dell’ideologia che le guerre del secolo scorso sono state più devastanti e totali di quelle delle epoche precedenti. Queste idee distruttive includono il nazionalismo democratico, il sistema monetario fiat, l’abbandono dei vecchi modi di fare la guerra e l’individualismo metodologico sempre più trascurato, che è incarnato nel concetto di giustizia. In realtà, il nazionalismo democratico è diventato una delle cause più importanti della vera guerra hobbesiana del tutti contro tutti manifestatasi nella Seconda Guerra Mondiale, che ha distrutto la tranquillità, sottoposto l’economia nazionale di diversi paesi ai prerequisiti della guerra e annientato le vite di milioni di persone. Quindi non è certamente sufficiente che gli stati uccidano o opprimano le proprie popolazioni soggette; in effetti, quali crimini gli stati perseguono e puniscono più intensamente nei propri monopoli territoriali? L’economista Murray Rothbard risponde così:
- “I crimini più gravi per lo Stato non sono quasi sempre invasioni contro le persone e la proprietà, ma pericoli per la sua stessa soddisfazione: per esempio, tradimento, diserzione di un soldato al nemico, mancata registrazione per la leva, cospirazione per rovesciare il governo”.
Nel frattempo, una nuova corsa agli armamenti è iniziata dopo la guerra. Gli stati hanno gareggiato nello sviluppo, nell’innovazione e nella crescita dei loro eserciti e delle loro armi, qualitativamente e quantitativamente, rendendoli più potenti ed efficaci. La corsa si basa materialmente sulla capacità unica degli stati di esternalizzare i loro costi. Poiché l’inflazione, la tassazione e la manipolazione del denaro e del credito aiutano gli stati, più diventano ricchi, più è facile permettersi la corsa, che sostiene l’arricchimento del complesso militare-industriale e consolida la preparazione alla guerra. E sebbene non tutti gli stati siano coinvolti con la stessa foga, tutti sono coinvolti per estensione e definizione in questa corsa agli armamenti, equipaggiando le loro forze militari e acquistando sul mercato globale delle armi. Infatti, le industrie specializzate in tecnologia per la distruzione di massa prosperano perché gli stati sono i loro unici finanziatori, dirottando le risorse di mercato verso iniziative militaristiche e guerrafondaie. Il complesso militare-industriale come lo conosciamo non è il risultato del capitalismo del libero mercato, ma dello statalismo, del suo intervento, delle sue banche centrali e così via.
Collegata alla comprensione della giustizia come questione individuale, la difesa privata elimina la necessità o diminuisce gli incentivi per armi di dimensioni militari mirate a distruzioni di massa piuttosto che all’uso individuale. Nel mondo privato, dove non abbiamo ancora dimenticato come vivere in pace, praticamente nessuna persona o società di sicurezza prenderebbe mai in considerazione la fabbricazione e l’uso di armi altamente distruttive. La necessità di evitare danni collaterali, la preoccupazione per la giustizia e la difesa personali, la ricerca della redditività e il finanziamento privato e volontario dei clienti che desiderano vivere in pace, sono il fine ultimo naturale. In effetti, la tendenza umana alla cooperazione è così ovvia che è sufficiente rendersi conto che il conflitto interpersonale è in realtà raro e non una caratteristica predominante della vita sociale.
È vero che ci sarà sempre un mercato globale delle armi, poiché la difesa e la giustizia non sono esigenze nate gli stati, ma esistono indipendentemente. Ma, in realtà, nessuna delle due richiede l’esistenza degli stati. Ma a differenza degli stati, che non competono o non si preoccupano della perdita di clienti volontari, i servizi di sicurezza e giustizia privati hanno incentivi per essere gestiti in un modo che non sia solo economicamente redditizio, ma anche pacifico. Non possono esternalizzare il costo della loro aggressione o negligenza come fanno gli stati, né hanno i mezzi legali per commettere sistematicamente crimini e sfuggire indenni alle conseguenze o ai rischi comuni tra i privati. Pertanto, i servizi di sicurezza e giustizia privati portano le persone a preoccuparsi di più della pace e dei diritti degli altri di quanto sia possibile in termini statalisti.
L’approccio alla giustizia e alla difesa come questione esclusivamente individuale e privata è esattamente qualcosa che lo statalismo non ha modo di emulare. E dato che la normale coesistenza umana non è casuale, la fabbricazione di armi di distruzione di massa deve essere considerata un’impresa illegittima anche per la difesa, perché l’uso di tali armi comporta l’inevitabilità di danneggiare o uccidere innocenti, il che rende la loro esistenza intrinsecamente malvagia e illegittima nell’interesse della giustizia.
Le guerre sono iniziate da piccoli gruppi di uomini vestiti con abiti costosi, avidi di potere e di ricchezze illecite, che spesso non si preoccupano dei loro connazionali. Pertanto, chiunque sia interessato alla causa della pace nel mondo dovrebbe essere consapevole della capacità unica e perniciosa degli stati di esternalizzare i propri costi per pensare a modi per contrastarla. Quindi, per servire la causa, è necessario diminuire incessantemente il potere e la ricchezza degli stati di armarsi e dichiarare guerra. La storia illustra ciò che la teoria spiega, e il costo in vite e risorse mostratoci dallo statalismo per promuovere la pace è decisamente sbagliato.
Inoltre, è essenziale riconoscere la natura malvagia del potere, sostenere lo smantellamento di tutti gli stati e non farsi ingannare dall’ideologia collettivista della difesa nazionale. Si dovrebbe respingere l’argomento della deterrenza, che è una scusa statalista per la controproducente corsa agli armamenti, la perversione delle armi di distruzione di massa e la crescita immorale del complesso militare-industriale.
Per un futuro più pacifico, si dovrebbe sperare che tutti i paesi, in particolare quelli più grandi, più ricchi e più militaristi, si dividano in unità il più piccole possibile, territorialmente e demograficamente, rendendo la quantità di fondi necessari per la guerra sempre più inaccessibile e messa in discussione dalle popolazioni sempre più vicine a casa. In breve, si dovrebbe sostenere la secessione e la radicale decentralizzazione politica. E in effetti, cosa avrebbero fatto Adolf Hitler o Joseph Stalin con una piccola economia, e una piccola, popolazione a loro disposizione? Di certo nulla in confronto agli eventi della Seconda Guerra Mondiale.
E per quanto riguarda l’inizio di questo secolo, la denuncia dell’imperialismo sionista statunitense, della NATO e del sionismo stesso è di fondamentale importanza in questa grande causa per la pace.
Pertanto, una persona dovrebbe denunciare i suoi governanti nazionali quando mostrano obbedienza e partigianeria a uno qualsiasi dei tre. Dopodiché, oltre a diffondere le giuste idee di libertà e giustizia, è anche fondamentale applicarle correttamente alle questioni più significative del presente e del passato. Per essere pertinenti, ci si dovrebbe schierare, o almeno provare a farlo, anche solo in termini di opinione, riconoscendo la legittimità di vari popoli a resistere ai loro conquistatori o identificando il grado di colpa per la morte e la distruzione causate nelle guerre da ogni stato e dai singoli individui coinvolti. Su questa base, il revisionismo storico è fondamentale per sfidare la narrazione dello status quo statalista. La teoria e la storia ci consentono già, senza dubbio, di sapere chi sono oggi di gran lunga i più grandi nemici della pace mondiale.
Se si crede nel dovere di opporsi al male dello statalismo, che distrugge la vita di milioni di persone, allora, sulla scena internazionale, si dovrebbero dare priorità agli sforzi per contrastare i più grandi nemici della pace.
QUI L’ARTICOLO ORIGINALE – TRADUZIONE DI ARTURO DOILO
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