“Dopo aver attentamente considerato e soppesato la testimonianza e le prove del testimone, la Corte giunge alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio”. A stabilirlo è la sentenza della corte americana presieduta dal giudice Metha. Secondo questa sentenza Google avrebbe violato la sezione 2 dello Sherman Act.
Cosa dice la sezione 2 dello Sherman Act?
La Sezione 2 dello Sherman Act è una delle principali disposizioni della legislazione antitrust statunitense. Promulgato nel 1890, lo Sherman Act è stato progettato per prevenire e sanzionare comportamenti monopolistici e anti-concorrenziali. La Sezione 2 afferma:”Ogni persona che monopolizza, o tenta di monopolizzare, o combina o cospira con altre persone per monopolizzare qualsiasi parte del commercio o commercio tra i vari Stati, o con nazioni straniere, sarà considerata colpevole di un reato.” Questa disposizione mira a impedire che un’impresa o un individuo ottenga o mantenga il controllo esclusivo di un mercato attraverso mezzi impropri o anti-concorrenziali. Le attività proibite includono il monopolizzare (mantenere il potere di mercato attraverso mezzi sleali), il tentare di monopolizzare (adottare azioni che dimostrano l’intenzione di ottenere il monopolio) e il cospirare per monopolizzare (collaborare con altri per ottenere il controllo di mercato).
Sentenza storica
Il 5 agosto 2024, un tribunale distrettuale degli Stati Uniti ha condannato Google per aver monopolizzato illegalmente i mercati della ricerca online e della pubblicità. La causa, avviata dal Dipartimento di Giustizia (DOJ) e da vari procuratori generali statali ha rivelato che Google ha mantenuto la sua posizione dominante attraverso accordi esclusivi con aziende come Apple e Samsung.
Il giudice Amit Mehta, che si è occupato del caso, ha stabilito che gli accordi di Google, che la rendono il motore di ricerca predefinito su browser e dispositivi mobili, hanno contribuito al suo controllo di circa il 90% del mercato della ricerca su Internet. Numero che è incrementato rispetto all’80% del 2009. Questi accordi hanno soffocato la concorrenza. Tuttavia, il tribunale non ha accolto tutte le accuse contro Google, come quelle relative al controllo di tutta la pubblicità di ricerca o alla ritenzione di tecnologie pubblicitarie da concorrenti come Microsoft.
Questa causa, iniziata nell’ottobre 2020, rappresenta l’azione antitrust più significativa contro un gigante tecnologico dai tempi del processo a Microsoft negli anni Novanta. La sentenza, al netto dei futuri risvolti, è vista come una vittoria per le autorità antitrust che da decenni cercano di limitare il potere delle grandi aziende tecnologiche.
Come da copione, Google ha subito annunciato l’intenzione di appellarsi alla decisione. Kent Walker, presidente degli Affari Globali di Google, ha dichiarato che questa sentenza riconoscerebbe la superiorità tecnologica del motore di ricerca di Google ma, di contro, ne vorrebbe limitare la disponibilità al pubblico. La sentenza ora apre la strada a una seconda fase, focalizzata sulla determinazione dei rimedi appropriati. Google, per via della sua mastodontica operatività online, non è nuova a vicende legali e processi cruciali per il tentativo di regolamentare il potere delle Big-Tech di prima fascia.
Il passato di Google
- Unione Europea (2017): Google è stata multata per 2,42 miliardi di euro per aver favorito il proprio servizio di shopping comparativo a scapito dei concorrenti. Questa condanna è stata una delle più pesanti mai inflitte dalla Commissione Europea e ha segnato un punto di svolta nelle regolamentazioni antitrust europee.
- Unione Europea (2018): Google ha ricevuto una multa record di 4,34 miliardi di euro per pratiche anticoncorrenziali relative al sistema operativo Android. L’accusa principale era che Google avesse imposto restrizioni ai produttori di dispositivi Android per preinstallare le sue app e servizi, bloccando così i rivali.
- Unione Europea (2019): Una nuova multa di 1,49 miliardi di euro è stata inflitta a Google per abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità online attraverso la sua piattaforma AdSense. Google è stata accusata di aver imposto clausole restrittive nei contratti con siti web di terzi, impedendo loro di mostrare pubblicità dei concorrenti.
Il problema?
Il giudice Mehta ha scritto che “il monopolio di Google nella ricerca generale” è “sorprendentemente durevole”, infatti è aumentato dall’80% del 2009 al 90 % dopo il 2020, percentuale di utenti che utilizzano la piattaforma di ricerca rispetto ad altre piattaforme. Se proviamo a fare un confronto con Bing, un altro motore di ricerca abbastanza popolare, questo ha una quota di mercato inferiore al 6%.
Un altro passo cruciale nella sentenza è rappresentato dai rapporti commerciali tra Google e le tecniche per rimanere l’unico player in gioco: “Più e più volte, i partner di Google hanno concluso che è finanziariamente impossibile cambiare i GSE predefiniti o cercare una maggiore flessibilità nelle offerte di ricerca perché significherebbe sacrificare le centinaia di milioni, se non miliardi, di dollari che Google paga come quota di entrate”, ha scritto. “Queste sono aziende Fortune 500 e non hanno altro posto dove rivolgersi oltre a Google”.
Il precedente: il Governo Usa contro Microsoft
Negli anni Novanta, il Governo degli Stati Uniti, attraverso il Dipartimento di Giustizia (DOJ) e 20 Stati, accusò Microsoft di pratiche commerciali anti-concorrenziali, in violazione dello Sherman Act, stessa pratica che oggi viene rimproverata a Google.
Le accuse principali verso Microsoft furono:
- Monopolizzazione: Microsoft fu accusata di aver mantenuto illegalmente un monopolio nel mercato dei sistemi operativi per PC.
- Tentativo di Monopolizzazione: Si sostenne che Microsoft avesse cercato di monopolizzare il mercato dei browser web integrando Internet Explorer in Windows.
- Pratiche anti-concorrenziali: Microsoft avrebbe imposto restrizioni contrattuali ai produttori di PC per impedire la rimozione di Internet Explorer e l’installazione di browser concorrenti come Netscape Navigator.
Nel 2001, alla fine delle sentenze di appello, Microsoft raggiunse un accordo con il DOJ e gli Stati. L’accordo prevedeva che Microsoft dovesse condividere le sue API con terzi e designare un comitato di sorveglianza per garantire il rispetto delle misure antitrust.
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