Quello che sta accadendo in Inghilterra
di Andrea Zhok - 06/08/2024
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Fonte: Andrea Zhok
Quello che sta accadendo in Inghilterra è l'ennesimo
campanello d'allarme - che, temo, rimarrà inascoltato - intorno al
carattere strutturalmente fallimentare del modello liberal-globalista,
dominante negli ultimi quattro decenni.
I fatti che si riescono con
qualche fatica a ricostruire sono i seguenti. Una settimana fa a
Southport, Merseyside, durante una festa rivolta ai bambini, Axel
Rudakubana, un ragazzo diciassettenne, nato a Cardiff da genitori
ruandesi, ha attaccato gli astanti a colpi di coltello, uccidendo tre
bambine (6, 7 e 9 anni). Altre 9 persone, tra cui due adulti, sono state
ferite; sei sono in gravi condizioni.
Le ragioni dell'attacco non
sono chiare, ma si sospetta la malattia mentale. Il soggetto aveva una
diagnosi di ASD (autism spectrum disorder), diagnosi che stante quel che
è successo non sembra molto calzante, ma che comunque richiama qualche
problema di carattere psichiatrico.
Sulla scorta della tragedia,
immediatamente, parti della popolazione locale sono insorte prendendo di
mira "gli immigrati", categoria abbastanza indeterminata da finire per
estendersi a tutti i soggetti in qualche modo identificabili come
"etnicamente eccentrici", inclusi anche gli islamici.
Questi ultimi
hanno messo a loro volta in moto pattuglie di difesa, che hanno iniziato
a prendere di mira negozi, pub e "inglesi bianchi".
In brevissimo
tempo gli scontri si sono propagati ad altre aree del paese: Manchester,
London, Sunderland, Hartlepool, Aldershot, Belfast, ecc.
Ciò che si
evince, con una certa angoscia, dai filmati, è che gli scontri hanno
preso una piega schiettamente etnico-razziale, in cui per essere
aggrediti da una di queste bande contrapposte basta essere "del colore
sbagliato".
La reazione del governo è stata caratteristica: si sono
accusati dei disordini i soliti "gruppi di estrema destra" e le "fake
news", come se questa - quand'anche vera - fosse una spiegazione.
Il
problema, ovviamente, è che, come sempre accade in queste situazioni,
l'evento scatenante è sempre solo un'occasione, una scintilla
occasionale, la cui eventuale irrazionalità non rappresenta un semplice
"errore".
Le autorità, ad esempio, hanno puntato il dito su alcune
fake news che dipingevano l'omicida come islamico, mentre la famiglia
non lo sarebbe. Ma è ovvio che l'eventuale notizia falsa ha potuto fare
da accelerante solo perché una fiamma covava da tempo. (Va da sé, che
anche se la famiglia fosse stata davvero di origine islamica, questo,
razionalmente parlando, non avrebbe significato nulla, ma chiaramente la
questione qui non ha più a che fare con imputazioni che potrebbero
reggere in un tribunale: qui il fenomeno è sociale e acefalo).
Sul
tema delle fake news va anche notato che una delle ragioni per cui esse
attecchiscono così facilmente è l'inaffidabilità sistematica delle news
ufficiali. Ad esempio, inizialmente non si riusciva in nessun modo a
sapere quali fossero le caratteristiche etniche dell'aggressore, che
veniva presentato come un "giovane gallese". Come accade oramai
sistematicamente, l'omissione era intenzionale, perché - questa è l'idea
- al lettore l'aspetto etnico non deve interessare, essendo
giuridicamente irrilevante e potenzialmente fuorviante. Ma nel momento
in cui il pubblico capisce che le informazioni ufficiali non sono più
notizie, ma lezioni paternalistiche, finisce per accettare più
volentieri informazioni "clandestine".
Stesso discorso si può fare
per le solite accuse a molla all'Estrema Destra, come se si trattasse di
un morbo, un virus, un fungo che accidentalmente cresce in certe aree e
che andrebbe solo debellato con l'adeguato fungicida. Ma anche laddove a
promuovere disordini così estesi ci siano gruppi politicamente
organizzati di estrema destra, la domanda reale è sempre: perché sono
nati, perché crescono, perché hanno seguito?
Ed è qui che l'inadeguatezza culturale delle odierne classi dirigenti, sostanzialmente ovunque in occidente, si rende visibile.
L'attitudine ad esaminare i fatti sociali in termini di dinamiche strutturali e culturali di lungo periodo è pressoché assente.
Si
ragiona in termini legalistici, come se la società fosse un tribunale
in cui si va a valutare solo la responsabilità personale per violazioni
di legge dimostrabili. Ma ovviamente il livello a cui nascono le
tensioni e gli scontri è sempre solo in minima parte alla luce del sole,
e solo un'esigua minoranza dei conflitti riescono ad essere
identificati e condotti davanti ad una giuria.
Di fatto, quanto
maggiore è la conflittualità sociale, tanto più grande sarà la
percentuale di conflitti che non risulta ufficialmente visibile.
Capisco
che il primo ministro Starmer, o chiunque altro fosse stato al posto
suo, non possa in questo momento far altro che appellarsi all'ordine
pubblico, agli arresti, ai processi, alle cariche della polizia, ma è un
errore drammatico pensare che sia a questo livello che tali problemi
possono trovare una soluzione. Si tratti di problemi che montano nei
decenni e ci mettono un minuto a prendere fuoco, magari per un
fraintendimento.
Sul piano strutturale il problema è abbastanza
semplice da descrivere: ampi movimenti migratori di persone su brevi
periodi di tempo creano sempre tensioni, perché producono incertezza,
insicurezza e competizione sul mercato del lavoro.
Se poi queste
persone presentano anche costumi o una cultura rilevantemente
divergenti, le tensioni ne risultano ancora più esacerbate.
Si
tratta comunque di processi di carattere prevalentemente quantitativo.
Le variabili decisive sono la quantità di persone per unità di tempo.
Come diceva Polanyi, nei fenomeni sociali la variabile più importante è
la loro velocità. Il medesimo mutamento se avviene in dieci o in
cinquanta anni, semplicemente non è il medesimo fenomeno e non ha le
medesime conseguenze. Non si tratta di predicare società ermeticamente
chiuse, che non sono mai esistite, ma di comprendere che l'alternativa
non può mai essere il "liberi tutti".
Qui alla rigidità ideologica
conservatrice (che fu, e che ancora talvolta fa capolino) di una società
etnicamente e culturalmente "incontaminata" ha fatto da contraltare
negli anni una rigidità ideologica opposta e simmetrica, in cui la
"contaminazione", il "multiculturalismo", il "melting pot" sono
diventati altrettanti slogan pubblicitari, vaghi, retorici e soprattutto
ipocriti.
Le argomentazioni del globalismo liberale hanno sempre
mescolato disinvoltamente argomenti pseudo-utilitaristi (ci serve
manodopera, chi ci pagherà le pensioni, ecc.) con argomenti
pseudo-umanitari (iil dovere dell'accoglienza, l'amore per il diverso,
il diritto d'asilo, ecc.).
L'importante è sempre stato poter utilizzare una batteria argomentativa quando l'altra appariva momentaneamente implausibile.
Ma
di fatto i meccanismi profondi che hanno alimentato la retorica del
"melting pot" qui sono di due soli tipi, un meccanismo crudamente
economico e un meccanismo ideologico.
Sul piano economico, la libertà
di movimento della forza lavoro consente al capitale di ottenere mano
d'opera a buon prezzo senza dover pagare per la crescita e l'educazione
di quelle braccia, che arrivano pronte dall'estero. Questo processo
abbatte il potere contrattuale del lavoro meno qualificato, tenendo
bassi i salari.
Sul piano ideologico, la visione liberale ha proposto
un modello di universalismo astratto in cui le componenti culturali,
linguistiche, religiose, e di costume sono considerate fattori marginali
e contingenti, che era non solo possibile, ma doveroso mettere da
parte.
La combinazione di queste pressioni nel lungo periodo hanno
creato ferite sociali profonde, squilibri, tensioni, tipicamente più
percepite nelle fasce della popolazione meno abbiente. Spero di
sbagliarmi, ma per alcuni paesi come Francia e Regno Unito non so se se
ne potrà uscire con qualcosa di meno che una sorta di guerra civile. Non
ci resta che sperare che in altri paesi ci siano ancora in margini per
un allentamento dei processi degenerativi.
Una cosa, comunque, è
sicura. La retorica di chi dice che, siccome migrazioni ci sono sempre
state, bisogna semplicemente "accogliere il cambiamento", è complicità
nel degrado.
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