A Gaza muoiono tutti, anche i giornalisti. Già, perché quel martoriato lembo di terra che è la Striscia oggi è il posto più pericoloso al mondo anche per chi è lì per informare, documentare e riprendere gli orrori di una guerra feroce. I numeri possono disumanizzare – si tratta di persone con volti, nomi e destini – ma rendono concreta l’idea di quel che sta accadendo: ogni due giorni a Gaza muore un giornalista. Contro ogni legge morale e in barba al diritto umanitario internazionale che vorrebbe garantita la protezione dei civili, compresi i giornalisti.
I giornalisti di Al Jazeera
Gli ultimi barbaramente uccisi sono Ismail Al-Ghoul e Rami Al-Reefi. Erano rispettivamente un reporter e un cameraman al lavoro per Al Jazeera e si trovavano a bordo della loro auto, parcheggiata al di fuori del campo profughi di Al-Shati. Non sono mai più usciti vivi da quella macchina. Nei video che hanno fatto il giro del web si vedono chiaramente i corpi mozzati dei giornalisti. C’è sangue ovunque, ma la scritta “press” si legge ancora.
La dinamica del crimine è, se possibile, ancor più agghiacciante. I reporter erano ad Al-Shati per un collegamento in diretta con l’emittente araba, davanti alla casa di Ismail Haniyeh, il leader di Hamas ucciso a Teheran dagli israeliani. Nel video registrato si notano dei droni dell’IDF in esplorazione, mentre sorvolano tutta la zona del campo profughi. Altri giornalisti e testimoni hanno dichiarato che un drone ha lanciato un razzo vicino alla posizione dei reporter di Al Jazeera, spingendoli così ad abbandonare la diretta, nel tentativo di cercare riparo in qualche edificio circostante. Poco dopo i due si sono rifugiati nella loro auto, che portava la scritta “TV” sul tetto. Ma questo non è bastato a salvargli la vita. Da un drone israeliano è partito un missile guidato che ha colpito il veicolo, uccidendo sia Ismail Al-Ghoul che il suo cameraman Rami Al-Reefi. C’è stata poi un’altra vittima, un bambino che si trovava sempre nelle vicinanze di via Ayadia, a ovest di Gaza City.
Dopo quanto accaduto, i coraggiosi colleghi degli inviati di Al Jazeera hanno protestato contro questo crimine di guerra. E hanno giurato, con ai piedi i corpi senza vita dei giornalisti uccisi avvolti nei loro sudari, che “la copertura mediatica continuerà”. Nonostante i pericoli, “nonostante Israele voglia zittirci”. “Continueremo a raccontare quello che avviene a Gaza”, ha dichiarato il reporter Wadie Al Saud, “fino a quando l’ultimo giornalista qui avrà fiato per respirare”.
I giornalisti morti in un anno a Gaza
Il CPJ, il Comitato per la protezione dei giornalisti, ha divulgato i dati relativi alle morti dei reporter. Il quadro delineato è agghiacciante: negli ultimi dieci mesi sono stati uccisi 165 giornalisti a Gaza. Per avere una visione più completa, sempre nel rapporto si legge come “più dei tre quarti dei giornalisti uccisi nel 2023 sono morti nella Striscia”. Si tratta di giornalisti per lo più palestinesi, perché, si legge su ActionAid, “ai media stranieri è quasi del tutto impedito di entrare a Gaza, se non come inviati delle forze israeliane”. Sempre sul sito dell’organizzazione non governativa internazionale, si legge chiaramente che i cronisti, “oltre a subire il pericolo quotidiano degli attacchi aerei, vengono deliberatamente presi di mira, in quello che sembra essere un tentativo di metterli a tacere”.
Ogni volta che un reporter viene ucciso, un riflettore puntato sulla guerra si spegne. E dove non ci sono occhi e telecamere, i crimini di guerra possono continuare a consumarsi indisturbati.
Nessun commento:
Posta un commento