In Kosovo proseguono le provocazioni di Stato contro la minoranza serba
Dopo un periodo di apparente tranquillità e nel silenzio della maggior parte dei media europei, nel mese di agosto sono riesplose le tensioni nel nord del Kosovo tra la popolazione di etnia serba, che costituisce la maggioranza nella cittadina settentrionale di Mitrovica e che non riconosce l’indipendenza di Pristina dichiarata nel 2008, e il governo kosovaro guidato da Albin Kurti, che prosegue le provocazioni contro la minoranza etnica del Paese. Nonostante, infatti, un accordo mediato nel 2013 dall’Unione Europea tra Serbia e Kosovo preveda il riconoscimento dell’autonomia su tutta una serie di questioni amministrative alla popolazione serba, il governo di Pristina continua a violare il rispetto dell’accordo per l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, previsto da Bruxelles. A tal proposito, le tensioni sono riemerse quando Kurti ha deciso unilateralmente lo scorso 5 agosto di chiudere nove filiali delle Poste di Serbia in Kosovo: tre a Mitrovica, una a Zubin Potok, due a Zvečan e tre a Leposavić. Il fatto non ha suscitato solo la reazione contrariata dei serbi Kosovari e del governo di Belgrado, ma della stessa Unione europea: «Si tratta di un passo unilaterale e non coordinato, che viola gli accordi raggiunti nell’ambito del dialogo facilitato dall’Ue», si legge nella dichiarazione rilasciata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Ad alimentare gli sconti si aggiunge poi la questione della riapertura del ponte sul fiume Ibar che taglia in due la città di Mitrovica separando la minoranza serbo-ortodossa dalla maggioranza albanese-musulmana. In entrambi i casi – la chiusura degli uffici postali serbi e la riapertura del ponte – secondo diversi esponenti delle istituzioni serbe, si tratta di un modo per procedere alla pulizia etnica dei serbi del Kosovo.
Il governo di Pristina ha giustificato la chiusura delle filiali dicendo che operavano senza licenza e senza la registrazione presso le agenzie kosovare competenti. Tuttavia, in merito non era stato raggiunto alcun accordo tra Pristina e Belgrado, come sottolineato dall’Ue: «Nell’ambito degli accordi sulle telecomunicazioni raggiunti nel 2013 e del piano d’azione concordato nel 2015, entrambe le parti hanno deciso di discutere i servizi postali in una fase successiva». Per questo, i negoziatori Ue hanno intenzione di «inserire la questione nell’agenda della prossima riunione del dialogo», chiedendo allo stesso tempo al governo kosovaro di «riconsiderare la sua decisione e di trovare una soluzione negoziata». Le filiali delle Poste di Serbia hanno una rilevanza fondamentale perché i cittadini kosovari serbi ricevono ancora stipendi, pensioni e assegni per le famiglie in dinari dal governo di Belgrado che non riconosce lo Stato del Kosovo. La situazione si è complicata dopo che, dallo scorso primo febbraio, il governo di Pristina ha vietato di effettuare pagamenti in dinari su tutto il territorio nazionale, imponendo quindi anche ai serbi di utilizzare l’euro. Secondo il primo ministro serbo Milos Vucevic, le azioni unilaterali di Pristina, la completa illegalità e il terrore nella provincia del Kosovo-Metohija (nome con cui i serbi continuano a chiamare l’ex provincia del Kosovo, indipendente dal 2008) mirano «ad una totale pulizia etnica dei serbi».
Secondo i rappresentanti serbi, la stessa finalità starebbe dietro alla volontà di riaprire il ponte che divide le due comunità – serba e albanese – nella città di Mitrovica. Il ponte è chiuso ai veicoli dal 2011, quando la popolazione di etnia serba ha iniziato a erigere barricate per impedire l’attraversamento da parte della popolazione albanese. Ora centinaia di serbi sono tornati a protestare contro l’apertura del ponte, temendo che ciò possa alimentare nuovi scontri violenti tra le due etnie, conducendo alla pulizia etnica dei serbi. «La chiusura di questo ponte ha salvato la coesistenza in Kosovo e il concetto politico (di convivenza tra serbi e albanesi) per il quale la Serbia è stata bombardata per 78 giorni. Questo ponte sul fiume Ibar ha fermato la pulizia etnica del 1999 e del 2000», ha detto Nikola Kabasic, ex giudice dimessosi nel novembre 2022 insieme ad altri funzionari serbi. La decisione di Pristina ha suscitato nuove polemiche tra il Kosovo e i suoi alleati occidentali: questi ultimi, infatti, vorrebbero che la questione fosse risolta nell’ambito del dialogo Belgrado-Pristina mediato dall’Ue, evitando azioni unilaterali da parte del Kosovo, sostenuto proprio da USA, Ue e NATO. Nel frattempo, la missione NATO nello Stato autoproclamatosi indipendente, la Kosovo Force (KFOR), ha dichiarato che manterrà una presenza fissa sul ponte e «continuerà a condurre pattugliamenti regolari nelle aree circostanti per garantire stabilità e sicurezza, a beneficio di tutte le comunità locali», sottolineando l’urgenza di tornare al dialogo mediato dall’Ue.
Quella in corso è solo l’ultima di una serie di questioni che ha contribuito a rinfocolare lo scontro tra serbi e albanesi kosovari e tra Belgrado e Pristina, il cui perno ruota attorno al mancato riconoscimento dell’autonomia amministrativa dei serbi, da un lato, e alla controversa indipendenza unilaterale del Kosovo, sostenuto dall’Occidente, dall’altra. Già a partire dal 2022, erano esplose le tensioni a causa del divieto imposto da Pristina di entrare nel Paese utilizzando i documenti di Belgrado e dell’obbligo di reimmatricolare le auto con targa serba. Da allora erano seguite violente proteste e dimissioni di massa da parte di deputati, giudici e poliziotti serbi. Gli ultimi scontri si erano verificati nel 2023, in seguito alle elezioni di aprile, quando erano stati eletti sindaci di etnia albanese. Le elezioni non erano state partecipate né riconosciute dalla comunità serba. Le recenti provocazioni del governo di Pristina, dunque, non fanno altro che acuire i contrasti destabilizzando l’area dei Balcani, mentre l’Ue si è dimostrata incapace finora di prendere provvedimenti determinanti per attenuare le tensioni a lungo termine.
[di Giorgia Audiello]
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