In tutto il mondo le banche centrali puntano sull’oro abbandonando dollari e yuan
In un contesto di crescenti tensioni geopolitiche e di incertezze economiche globali, le banche centrali stanno cercando di diversificare le proprie riserve valutarie diminuendo la disponibilità di dollari americani e yuan cinesi in favore dell’oro, considerato un asset più sicuro, in quanto non legato ad alcun Paese specifico. Secondo un rapporto del World Gold Council, infatti, gli acquisti di oro da parte delle banche centrali sono stati pari a circa 1.030 tonnellate nel 2023, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. Allo stesso tempo, si assiste a una riduzione delle riserve valutarie in dollari e yuan che, secondo il quotidiano economico asiatico Nikkei Asia, «riflette la frammentazione globale». In base ai dati citati dal medesimo quotidiano, la quota del dollaro nelle riserve mondiali registrata a marzo 2024 è pari al 58,9%, mentre nei primi anni 2000 era pari al 70%. Allo stesso modo, anche lo yuan è in calo dal 2022 nonostante si sia deprezzato di circa il 3% rispetto al dollaro: la sua quota nelle riserve valutarie globali nel marzo 2024 era pari al 2,2%, lo 0,7% in meno rispetto al massimo registrato nel marzo 2022. Le sanzioni imposte alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, la sua esclusione dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT e il congelamento delle riserve estere della banca centrale russa hanno spinto gli istituti di credito centrali internazionali a diversificare i loro asset. Allo stesso tempo, il sostegno cinese alla Russia potrebbe aver pesato sulla decisione dei Paesi occidentali di ridurre la loro esposizione in yuan.
A infliggere un duro colpo alla quota globale in dollari delle riserve valutarie è stata proprio la Cina che, insieme al Giappone, è il maggiore detentore estero del debito statunitense: quest’ultimo ha raggiunto livelli record, superando per la prima volta i 34 mila miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2024, Pechino ha venduto una quantità record di Titoli del Tesoro americani e obbligazioni di agenzie statunitensi, per un totale pari a circa 53,3 miliardi di dollari, aumentando allo stesso tempo gli acquisti di oro. La necessità di diversificare gli asset abbandonando i dollari americani è determinata dalla guerra commerciale con gli USA, ma anche dalla volontà di indebolire l’apparato militare americano e rafforzare il proprio. Questa propensione potrebbe aumentare qualora si intensificasse la tensione commerciale con Washington, soprattutto in caso di rielezione di Donald Trump. Parallelamente all’abbandono di asset statunitensi, la Cina ha aumentato le sue riserve auree, che ad aprile sono cresciute per il diciottesimo mese consecutivo del 16,3% con un nuovo stock di 60.000 once troy, a quota 72,8 milioni, per un valore attestatosi a 167,96 miliardi di dollari dai 161,07 miliardi di fine marzo. Similmente, molti Paesi soprattutto occidentali hanno a loro volta ridotto le loro riserve in yuan a partire dal primo trimestre del 2022, secondo un rapporto di Goldman Sachs: tra questi compaiono Ucraina, Norvegia, Brasile, Svizzera e Israele.
Il rapporto del World Gold Council attesta come il 2023 sia stato il secondo anno di fila in cui gli acquisti netti del metallo giallo da parte delle banche centrali hanno superato le 1.000 tonnellate: nel 2023, infatti, gli acquisti di oro sono stati pari a circa 1.030 tonnellate, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. Nel secondo trimestre del 2024, invece, gli acquisti netti sono stati pari a circa 183 tonnellate, con un aumento del 6% su base annua. Inoltre, secondo un sondaggio della Central Bank Gold Reserves (CBGR), condotto tra il 19 febbraio e il 30 aprile 2024 con un totale di 70 risposte, il 29% delle banche centrali intervistate intende aumentare le proprie riserve auree nei prossimi dodici mesi. Questa propensione è motivata non solo da ragioni geopolitiche, ma anche da preoccupazioni finanziarie legate a potenziali scenari di crisi e all’aumento dell’inflazione. Tra le banche centrali che hanno aumentato la quantità di riserve auree, oltre alla Cina, compaiono quella brasiliana e indiana. Il Brasile ha fatto sapere che il suo coefficiente di riserva aurea si attestava al 2,6% alla fine del 2023, in aumento di 0,08 punti percentuali rispetto all’anno precedente, mentre la quota dello yuan è scesa di 0,57 punti percentuali al 4,8%. Le riserve auree dell’India, invece, sono aumentate del 30% rispetto al 2023, attestandosi a 57,6 miliardi di dollari a fine luglio. Tra le altre nazioni, anche Singapore e le Filippine avrebbero aumentato le loro riserve in oro.
La tendenza ad accumulare il metallo giallo diminuendo al contempo le valute straniere riflette il rapido mutamento degli equilibri geopolitici e finanziari globali, ma anche un aumento di sfiducia nel sistema finanziario occidentale fondato sul dollaro, specie nel momento in cui la valuta statunitense viene usata come arma di ricatto geopolitico e il debito pubblico americano ha raggiunto cifre record, intimorendo gli investitori. Inoltre, per i Paesi del cosiddetto “Sud globale” ciò significa anche ridurre il potere del dollaro ridimensionando l’egemonia statunitense. Una strategia combinata con la progressiva sostituzione del biglietto verde negli scambi bilaterali, il controllo delle materie prime del Sud e il rafforzamento di blocchi alternativi al G7, come quello dei BRICS. In definitiva, l’obiettivo sembra essere quello di ridurre la dipendenza dal dollaro, ma anche da altre valute come lo yuan, raggiungendo una stabilità finanziaria non legata a valute e al potere di Paesi stranieri.
[di Giorgia Audiello]
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