Prof. Jeffrey Sachs a l'AntiDiplomatico: "Il cambiamento non avverrà dagli Stati Uniti. Deve avvenire in Europa"
di Alessandro Bianchi
E’
con profonda emozione, non lo nascondiamo, che abbiamo avuto l’onore di
incontrare nella sua presenza romana di questi giorni per una serie di
conferenze, il direttore del Centro per lo sviluppo sostenibile della
Columbia University e presidente del Sustainable Development Solutions
Network delle Nazioni Unite, il Professore Jeffrey Sachs.
Su
l’AntiDiplomatico traduciamo in modo compulsivo i suoi scritti e le sue
dichiarazioni, perché consideriamo con fermezza il Professor Sachs la
bussola più importante da seguire nelle acque tempestose in cui
navighiamo in questo periodo. Come si è arrivati all’abisso della
potenziale conflagrazione totale? E’ la prima di una serie di domande
che fluiscono come un fiume in piena nella nostra intervista per "Egemonia”. "Abbiamo
avuto cinque presidenti di fila (Clinton, Bush, Obama, Trump, Biden)
che ci hanno portato ciascuno più vicino alla guerra nucleare". Le origini del male sono da individuare nella scellerata politica neoconn
che dagli anni ’90 è divenuta legge negli Stati Uniti e, attraverso la
Nato, in Europa. Nessuno più del Professor Sachs riesce a spiegarlo nel
dettaglio. "L'Europa ha rinunciato alla propria sicurezza, alla
propria autonomia e al proprio benessere economico assecondando gli
Stati Uniti", sostiene il Professore. Il conflitto in
Ucraina dopo il golpe di Maidan è servito a rendere i paesi del
continente europeo protettorati a tutti gli effetti di Washington,
staccando ogni legame economico e commerciale con Mosca, la fonte più
importante di possibile indipendenza e autodeterminazione. Gli atti
terroristici ai gasdotti Nord Stream, il più grande attacco contro le
infrastrutture logistiche dell’Europa dalla fine della seconda guerra
mondiale, hanno determinato un punto di non ritorno.
Ma la sete
dei neoconn, non è sazia e per mantenere in piedi il potere unilaterale
dinanzi ad un mondo che per entropia diventerà multipolare sta portando
all’escalation finale, come stiamo assistendo non solo in Ucraina, ma in
Medio Oriente e nel nuovo attacco alla sovranità del Venezuela. "Il cambiamento non avverrà dagli Stati Uniti. Il cambiamento deve avvenire dall'Europa", ci
ripete spesso Sachs nelle sue risposte a cui ci affidiamo, anzi ci
aggrappiamo letteralmente, nell'urgenza del momento e nella convinzione
che ad ognuno di noi è richiesto uno sforzo in più per impedire che le
barbarie neoconn abbiano completo e definitivo compimento.
L’INTERVISTA
Professore, non si può non partire dalla crisi in
Medio Oriente. In meno di 24 ore, oltre al solito barbaro sterminio a
Gaza e nei Territori occupati, Israele ha colpito Beirut, uccidendo il
comandante degli Hezbollah, Fouad Shukr, e poi Teheran, dove ha
assassinato Ismail Haniyeh, il leader politico di Hamas, presente nella
capitale iraniana per presenziare l’inaugurazione del nuovo presidente.
Che ruolo ha avuto secondo lei Washington nelle operazioni? E siamo ad un passo dalla temuta escalation?
Anche
se non conosciamo i dettagli interni, ci sono pochi dubbi sul fatto che
la CIA e il Mossad siano in costante contatto e in stretto
coordinamento. Subito dopo l'assassinio di Haniyeh da parte di Israele,
il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ha dichiarato che
gli Stati Uniti "aiuteranno a difendere Israele". Questo lascia
intendere un coordinamento stretto. Netanyahu vuole una guerra più ampia
e gli Stati Uniti sembrano incapaci di fermarla. Biden è
fondamentalmente fuori dal campo visivo e forse non pienamente
operativo; la Lobby di Israele nel paese predomina; e ci sono pochi, se
non proprio nessuno, freni possibili al comportamento estremista di
Israele o al sostegno americano all'estremismo di Israele. Naturalmente,
una guerra più ampia è uno scenario che potrebbe rivelarsi
assolutamente devastante per Israele, se non per il mondo intero. Ma una
escalation è del tutto possibile. Sono momenti molto pericolosi.
La settimana scorsa Pechino aveva riunito le fazioni
palestinesi che avevano firmato un memorandum di intesa politica. Questi
due attacchi sono una sfida anche al ruolo diplomatico della Cina nella
vicenda?
La Cina sta riuscendo a giocare una
partita lunga, basata sulla costruzione di profondi legami diplomatici
nel mondo, piuttosto che sull'impegno diretto nei conflitti militari. La
diplomazia cinese è impressionante da osservare e può dare un
importante contributo alla pace e al multilateralismo nei prossimi
anni.
Professore, nei suoi articoli recenti
ci ricorda spesso come non siamo mai stati così vicini alla mezzanotte
secondo il Doomsday Clock del Bulletin of Atomic Scientists. Quanto si
sente preoccupato e cosa potrà cambiare da questo punto di vista con le
prossime elezioni negli Stati Uniti ?
Abbiamo avuto
cinque presidenti di fila (Clinton, Bush, Obama, Trump, Biden) che ci
hanno portato ciascuno più vicino alla guerra nucleare. Gli Stati Uniti
hanno minato profondamente l'architettura del controllo degli armamenti
nucleari in molti modi: abbandonando il Trattato ABM; posizionando i
sistemi missilistici Aegis in Polonia e Romania; espandendo la NATO
inesorabilmente verso est, con mire verso l'Ucraina e la Georgia;
abbandonando il Trattato INF; abbandonando il JCPOA; impegnandosi a
costruire nuovi missili a raggio intermedio in Germania, alcuni dei
quali con un carico utile almeno potenziale di tipo nucleare; armando
Taiwan nonostante le obiezioni della Cina; e molte guerre per procura e
operazioni di cambio di regime statunitensi. Tutto questo ci ha portato
a "90 secondi alla mezzanotte". Le elezioni di novembre non
cambieranno la situazione. Ciò che è necessario è una revisione più
radicale della visione del mondo degli Stati Uniti, da una visione
basata sull'illusoria ricerca dell'egemonia americana (unipolarismo) a
una basata sulla coesistenza pacifica tra le principali potenze.
Nei
suoi scritti recenti Professore lei evidenzia bene come la politica
estera degli Stati Uniti sia ostaggio delle mire bellicose dei neoconn
che hanno preso in mano, attraverso la Nato, anche l’Europa. Il colpo di
stato in Ucraina e l’attacco contro la Russia è servito a legare in
forma di protettorati i paesi europei agli Stati Uniti rompendo ogni
legame con Mosca. Quali sono le prossime mosse che hanno in mente?
L'Europa
ha rinunciato alla propria sicurezza, alla propria autonomia e al
proprio benessere economico assecondando gli Stati Uniti
nell'allargamento della NATO all'Ucraina e alla Georgia (nonostante le
forti riserve dei leader europei al vertice NATO di Bucarest del 2008);
abbandonando gli accordi Minsk II nonostante il cosiddetto Processo di
Normandia (in base al quale Francia e Germania avrebbero dovuto essere i
garanti proprio del Minsk II); assecondando il rovesciamento del
Presidente ucraino Viktor Yanukovych, sostenuto dagli Stati Uniti, nel
febbraio 2014 (nonostante avesse raggiunto un accordo con lui per indire
elezioni anticipate in Ucraina nel 2014); e non sostenendo una fine
negoziata del conflitto ucraino nell'aprile 2022, quando era in
discussione una bozza di accordo tra Russia e Ucraina (osteggiata da
Stati Uniti e Regno Unito). In breve, l'Europa ha rinunciato alla
propria politica estera, consentendo persino la distruzione del Nord
Stream 2 voluta dagli Stati Uniti senza proferire parola. Tutto questo
ha lasciato l'Europa indebolita, vulnerabile e paralizzata, con
Bruxelles e le principali capitali europee che hanno semplicemente
eseguito gli ordini di Washington. Il cambiamento non avverrà dagli
Stati Uniti. Il cambiamento deve avvenire dall'Europa. L'interesse del
continente europeo risiede nella fine negoziata della guerra in Ucraina,
nel ripristino dei legami economici con la Russia, nella fine della
paura estremista e della russofobia e in una relazione indipendente e
sana con la Cina. Tutto questo è possibile, ma ripeto non avverrà dagli
Stati Uniti. Deve partire dalla stessa Europa.
Esiste,
secondo lei, un evento o una circostanza che potrebbe convincere gli
Stati Uniti a rinunciare alle mire imperialistiche unilaterali e
accettare di partecipare alle nuove condizioni multipolari che si stanno
irreversibilmente formando?
La realtà dei fatti. I
30 anni di ricerca dell'unipolarismo da parte dei neocon sono stati un
disastro per gli Stati Uniti dal punto di vista militare, diplomatico,
economico, finanziario, sociale e della sicurezza nazionale. Più che di
un singolo evento politico, gli Stati Uniti hanno bisogno di un
ripensamento basato sulle lezioni degli ultimi 30 anni e sulle realtà
odierne all'interno degli Stati Uniti e a livello globale.
Professore
ultimamente ha visitato molto la Cina, conosce bene le dinamiche del
paese ed è consulente per il grande progetto della Nuova via della Seta.
L’Italia era stato l’unico paese del G7 ad aderirne, ma su ordine di
Washington l’attuale governo non ha rinnovato il memorandum. Il premier
Meloni con una visita di 4 giorni appena conclusasi ha cercato di
ricucire e rilanciare le relazioni. Che cosa significherebbe in termini
economici per l’Italia (in generale per l’Europa) incrinare le relazioni
economiche con Pechino come auspicherebbero gli Stati Uniti?
L'Europa
e la Cina sono partner economici naturali, nel commercio, nella
tecnologia e nella costruzione delle infrastrutture dell'Eurasia. La Via
della Seta, dopo tutto, è una invenzione romano-cinese di 2.000 anni,
come è stato ripetutamente sottolineato nella recente visita del premier
Meloni. Questi 2.000 anni di storia non sono solo retorica e nostalgia
di Marco Polo, ma una realtà di vita comune di due grandi civiltà sulla
più grande terraferma contigua del mondo.
Professore, da anni si parla della imminente fine del dollaro
come unica moneta dominante nella finanza internazionale. Nel Vertice
di Kazan del prossimo ottobre, i 10 paesi Brics potrebbero gettare una
road map operativa per bypassare la moneta statunitense negli scambi
bilaterali, mentre la Cina sta intensificando gli esperimenti intorno
allo yuan digitali. Quali sono le sue previsioni sulla cosiddetta
de-dollarizzazione?
A mio avviso, una
de-dollarizzazione sostanziale avverrà rapidamente, cioè nei prossimi 10
anni. E questo per tre motivi. In primo luogo, i cambiamenti
tecnologici porteranno a nuovi sistemi di pagamento (ad esempio, le
valute digitali delle banche centrali) che ridurranno il ruolo delle
banche basate sul dollaro (incentrate sui sistemi di pagamento SWIFT).
In secondo luogo, la quota degli Stati Uniti nell'economia mondiale
continuerà a diminuire. In terzo luogo, l'incessante abuso delle
sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti (e dell'Europa) spingerà i
BRICS e altri Paesi al di fuori dell'alleanza statunitense a utilizzare
meccanismi di pagamento non basati sul dollaro. La confisca da parte
degli Stati Uniti e dell'Unione Europea dei beni della Russia (e le
analoghe confische da parte degli Stati Uniti dei beni del Venezuela,
dell'Afghanistan, dell'Iraq, dell'Iran, della Libia e della Corea del
Nord) accelererà drasticamente e comprensibilmente lo sviluppo di
meccanismi di pagamento non in dollari. L'Europa è profondamente
sciocca a partecipare alla confisca dei beni della Russia, un'azione che
è palesemente contraria al diritto internazionale e al funzionamento
dei sistemi monetari e finanziari mondiali.
Professore, un’ultimissima domanda, se fosse in questo
momento consulente del governo italiano, quale sarebbe il primo
consiglio che gli darebbe?
Lavorate per la pace, per il commercio, siate all'altezza della
tradizione e della reputazione di una delle più grandi culture e di uno
dei luoghi più belli e creativi del mondo. Tutte le strade portano a
Roma, tranne che in guerra. L'Italia è un luogo da assaporare in pace.
Nessun commento:
Posta un commento