La storia del nucleare italiano è la storia di un’eccellenza tecnologico-industriale che è andata incontro a un tramonto precoce dopo esser stata costellata da problemi e insidie interne. Una storia che a fronte di poco più di un quarto di secolo di presenza italiana nel novero delle nazioni generatrici di energia elettronucleare, parla anche di quasi un secolo di applicazioni scientifiche e industriali che, tuttora, rendono importante Roma nel settore a livello internazionale.
Per la precisione, l’Italia ha avuto possibilità di generare energia grazie al nucleare dal 1964 al 1990. In quei ventisei anni, in Italia erano attive le centrali oggi destinate a veder completato il processo di smantellamento (decommissioning) avviato a valle del referendum anti-nucleare del 1987. Gli impianti si trovavano divisi equamente tra Nord e Centro-Sud, per la precisione a Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta).
L’Italia si trovava nella prospettiva di mettere a frutto una competenza tecnologica che da un lato si manifestava con la presenza di eccellenze industriali come l’Ansaldo Nucleare e il Nuovo Pignone del gruppo Eni, e dall’altro vedeva una grande attenzione delle major pubbliche dell’energia a puntare sulla generazione per emancipare l’Italia dalla cronica dipendenza dalle fonti fossili estere. Inoltre, pesava la capacità italiana di ricerca nella fisica nucleare e nell’ottimizzazione delle scarse risorse, rispetto ai giganti del pianeta, nel progresso scientifico. Un’eredità che richiamava l’epoca pionieristica dei ragazzi di Via Panisperna, il gruppo di scienziati composto da menti come Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana, Emilio Segrè e Bruno Pontecorvo, che nella Roma degli Anni Trenta si posizionava all’avanguardia globale negli studi sulla fisica dell’atomo.
La partecipazione di Fermi al Progetto Manhattan americano per la bomba atomica è nota. Ma altrettanto interessante è la figura di Amaldi, che dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale contribuì, da grande studioso dei moderni acceleratori di particelle, alla nascita dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e, a livello europeo, del Conseil européen pour la recherche nucléaire (Cern) di Ginevra.
Al contempo, ha scritto Marco Valle su queste colonne, “nel quadro di Euratom, la comunità europea dell’energia atomica, i tre ministri della Difesa, il nostro Taviani, il tedesco Strauss e il francese Chaban-Delmas decisero, con poco entusiasmo di Washington, per una collaborazione nel settore militare, con l’obiettivo di sviluppare le componenti di un deterrente europeo”. Ambigue furono, all’ombra di questo processo, le inchieste giudiziarie che si abbatterono su Felice Ippolito, gestore e deus ex machina del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, nato per promuovere il settore in Italia. Inchieste che, come fa notare Valle nel suo articolo, andavano di pari passo con la crescita delle critiche da oltre Atlantico per le ambizioni nucleari italiane.
La ricerca plasmata dalle aziende, dai fondi pubblici di enti come Infn e Cnen, dall’Eni e, dopo la nascita del 1962, dall’Enel e l’interesse degli apparati di sicurezza fece si che la tecnologia nucleare italiana potesse arrivare a costruire una filiera completa nella produzione di centrali nucleari e, a un certo punto, a pensare l’impensabile: accarezzare l’ipotesi di un deterrente atomico autonomo.
Teoricamente, a metà Anni Settanta, in presenza di un progetto politico volto a portare avanti tali ambizioni, Roma si sarebbe trovata nella posizione teorica in cui oggigiorno sono Giappone e Germania: quella di un Paese con a disposizione tutti gli strumenti per diventare, con una riconversione attiva dell’apparato nucleare, una potenza capace di dotarsi autonomamente di un deterrente atomico. Le ambizioni ruotavano attorno alle ricerche compiute nel reattore nucleare RTS-1 di ricerca “Galileo Galilei” del CAMEN (Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare) con base a Pisa presso il Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (Cisam) gestito dalla Marina Militare, la cui storia fu in tempo reale svelata dalla rivista di inchiesta Maquis tra il 1974 e il 1976.
La geopolitica dell’epoca decise diversamente: sarebbe stato un messaggio troppo forte, in tempi di distensione, dotare un Paese sconfitto nella guerra dell’atomica. Per di più se si trattava di uno Stato di frontiera tra i blocchi come l’Italia. La quale accarezzò a lungo il suo sogno atomico militare rifiutandosi di ratificare fino alla metà degli Anni Settanta il Trattato di Non Proliferazione sulla diffusione delle testate nucleari a stati che non li possiedono. Storie che sembrano provenire da un’altra epoca e invece ci richiamano al nostro recente passato ci raccontano di un’eccellenza a cui il referendum del 1987 diede, improvvisamente, uno stop sull’onda emotiva di Chernobyl. Ricostruire quanto andato perduto è pressoché impossibile. Prendere esempio dal passato per coltivare l’eccellenza italiana nel settore in termini industriali e scientifici è un obiettivo più realistico: non serve inventarsi nulla, basta ricordare cosa l’Italia ha sempre saputo fare.
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