Le implicazioni genocidiarie del colonialismo d'insediamento sionista
di Enrico Tomaselli - 02/06/2024
Fonte: Giubbe rosse
L'aspetto religioso, nella questione della formazione ed
esistenza dello stato di Israele, è sempre stata molto in rilievo - sia
in senso positivo che in senso negativo. Ciò ovviamente è in parte vero,
ed in parte no. Lo è quantomeno nel senso che il sionismo - ovvero
l'ideologia nazionalista su cui si è fondata Israele - nasce da un humus
culturale di tipo religioso. Il fatto che, alle origini della religione
ebraica, questa presupponesse che i suoi seguaci fossero gli 'eletti da
dio', è il fondamento su cui si basa l'eccezionalismo ebraico-sionista,
e la pretesa di uno stato tutto per sé. Ovviamente, questo presupposto è
quanto di più banale, nel senso che migliaia di anni fa ogni
popolazione (anche di etnie diverse) aveva i suoi dei, e dava per
scontato che questa relazione fosse 'speciale'. Del resto, non si è
forse gridato "Dio è con noi!" sino in tempi assai più recenti? In ogni
caso, il sionismo ha fatto di questa presunta eccezionalità il
fondamento di una ideologia che - esattamente come la religione nel cui
ambito nasce - è esclusiva ed escludente.
Ma, se pure il sionismo ha
questa connotazione religiosa, esso è prima di tutto una ideologia
nazionalista. E secondariamente, non esistendo precedentemente una
nazione esclusivamente ebraica, questa ideologia ha dovuto crearsi una
narrazione confacente, ovvero identificare un luogo ove insediare questa
nazione e questo stato. E, peraltro, la Palestina inizialmente non era
l'unica ipotesi presa in considerazione...
Una volta che il progetto
sionista si è fermato su questa ipotesi (ben prima dell'olocausto), si
inventò il famoso slogan "una terra senza popolo per un popolo senza
terra". Che è però, appunto, una doppia mistificazione: perché in quella
terra un popolo c'era eccome, e perché gli ebrei non sono un 'popolo'.
Fondamentalmente,
quindi, il sionismo - nel momento in cui è passato dall'essere una
ideologia politica riferita ai fedeli di una determinata religione,
all'essere un progetto politico concreto - si è manifestato come la
tarda espressione di un fenomeno tipicamente europeo, il colonialismo.
In
virtù della sua natura, il colonialismo sionista è stato ed è una
particolare fattispecie di tale fenomeno, il cosiddetto colonialismo
d'insediamento.
Il colonialismo classico europeo, infatti, si è
concretizzato nella occupazione militare di un territorio (generalmente
collocato in un altro continente), nel trasferimento in loco di una
quota di coloni, e nello sfruttamento intensivo delle risorse della
colonia stessa - laddove tali risorse comprendevano la popolazione
autoctona, utilizzata come forza lavoro in condizioni di servilismo, se
non di schiavitù. Nella storia europea esistono sostanzialmente solo due
casi di colonialismo d'insediamento, nel quale appunto i coloni non
intendono semplicemente sfruttare la colonia, ma farne il proprio
territorio: l'America del nord, e l'Australia. In entrambe i casi, le
popolazioni indigene sconoscevano totalmente l'idea europea di stato e
di nazione, ed erano tecnologicamente (e quindi militarmente) molto più
deboli degli europei. In entrambe i casi, nonostante l'estrema vastità
dei territori, i coloni europei perseguirono sostanzialmente lo
sterminio delle popolazioni indigene, in quanto il loro insediamento
presupponeva necessariamente l'eliminazione di coloro che abitavano
precedentemente quelle terre.
Il colonialismo d'insediamento
sionista, invece, si è trovato di fronte una popolazione con una storia
ed una identità nazionale e statuale (dai califfati arabi all'impero
ottomano), pienamente moderna sotto il profilo tecnologico, e - cosa
ancor più rilevante - massicciamente presente in un territorio assai
ristretto.
La natura esclusiva del sionismo, che limita agli ebrei la
possibilità di colonizzare la terra di Israele, non ha fatto che
accentuare quest'ultimo problema, poiché il capitale umano a cui
attingere per la colonizzazione è limitato, mentre quello autoctono non
lo è.
Ci sono quindi tre fondamentali ragioni per cui lo stato di Israele deve essere genocida.
La
prima, è che il colonialismo d'insediamento lo è per sua natura. La
seconda è che gli ebrei sono una piccolissima minoranza, e non tutti
sono disposti a fare i coloni in Terra Santa. La terza è che
l'insediamento avviene su uno spazio limitato, dove la spinta
demografica degli indigeni è inarrestabilmente più forte di quella dei
coloni.
Ma, sempre per le ragioni summenzionate, il colonialismo
sionista (che è una forma del colonialismo europeo: tutti i leader
israeliani sono sempre stati askhenaziti, cioè ebrei di origine europea,
e mai sefarditi, cioè di origine mediorientale o nordafricana) si trova
di fronte ad una contraddizione insanabile, ovvero che le condizioni
storiche e geopolitiche in cui si è manifestato sono a tal punto
diverse, da quelle della colonizzazione del continente americano e
australiano, da rendere impraticabile la replica di quel modus operandi.
Israele non può che essere genocida, nei confronti dei palestinesi, ma
al tempo stesso ciò è semplicemente impossibile da realizzare,
quantomeno nella misura 'necessaria'. E se Israele non può essere
genocida, semplicemente non può essere, tour court.
È questa,
l'insanabile contraddizione in cui permane lo stato ebraico, che rende
ancor più evidente la sua natura artefatta, che necessita di continui
riferimenti biblici per la semplice ragione che non ha né una storia né
una cultura comune, e che trova - appunto nell'odio razziale verso una
popolazione indigena che ostinatamente rifiuta di scomparire - l'unico
vero collante identitario.
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