Intelligenza Artigianale
di Andrea Zhok - 21/06/2024
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Fonte: Andrea Zhok
Il tema dell’Intelligenza Artificiale e delle sue insidie è da qualche tempo di moda.
Tra
le “insidie” più sentite (e più risentite) c’è l’idea che
l’Intelligenza Artificiale possa sostituire professioni qualificate,
intellettuali.
Ora, in questo timore e in questa attenzione c’è un
fraintendimento di fondo. Si immagina che la minaccia provenga dall’IA,
mentre essa proviene da scelte organizzative della produzione e del
lavoro, scelte che precedono di almeno due secoli ogni discussione
sull’IA.
La ragione per cui è oggi realistico che un medico, un
avvocato o un professore possano essere presto o tardi sostituiti da
un’istanza meccanica non-umana è che da quasi tre secoli la forma presa
dalla produzione economica mira sistematicamente ad assimilare il lavoro
umano (ogni tipo di lavoro umano) ad istanze meccaniche non-umane.
Ci
si sveglia oggi perché ad essere minacciati appaiono tradizionali
mestieri d’élite, ma questa è semplicemente l’ultima propaggine del
medesimo processo che ha sostituito la produzione artigianale con la
produzione seriale, meccanizzata. La produzione artigianale era
notoriamente diseguale e quantitativamente più ristretta della
produzione seriale, che si parli di pelletteria, falegnameria,
lavorazione del ferro, costruzione di strumenti musicali, ecc. Questa
disuniformità della produzione artigianale consentiva vertici di
eccellenza oggi irraggiungibili (si pensi alla tradizione dei maestri
liutai come Stradivari o Guarneri del Gesù), ma naturalmente non
garantiva uno standard, e dunque per distinguere un lavoro ben fatto da
un prodotto mediocre richiedeva la maturazione di una capacità di
giudizio nel fruitore.
La produzione meccanizzata produce dunque tre
effetti: tende a perdere sistematicamente sul piano dell’innovazione
sperimentale, tende a perdere le punte di eccellenza, e tende a
degradare il gusto medio dei fruitori, cui viene offerto un prodotto
standardizzato, di cui non bisogna riconoscere le peculiarità. Al tempo
stesso, naturalmente, la produzione seriale consente di portare alla
luce quantità di prodotto enormemente superiori a quelle disponibili in
passato, abbattendone i prezzi e dunque incrementandone l’accessibilità.
Per
poter ottenere questo risultato fu necessario utilizzare l’esperienza
pregressa dei maestri artigiani. Tale apporto consentì di costruire
apparati produttivi seriali cui potevano dare un contributo produttivo
anche lavoranti che mai avrebbero passato la soglia di una bottega
artigiana. Le competenze più alte e specifiche tendono così dapprima a
restringersi, nei numeri dei soggetti coinvolti, per poi ridursi anche
quanto all’altezza e specificità stessa di quelle competenze, che sempre
meno persone sono in grado di valutare.
Nel passaggio dall’uomo
artigiano all’operaio alla catena di montaggio, l’uomo viene sempre più
assimilato alla macchina e questo permette ai processi di natura
meccanica, con il loro carattere anonimo e infinitamente iterabile, di
diffondersi. La meccanizzazione del processo produttivo conferisce una
potenza inedita alla produzione, al prezzo di smarrirne gli aspetti
qualitativamente irriducibili.
Oggi, quando ad un medico si richiede
di affidarsi ai “protocolli”, conferendogli garanzie legali e di
deresponsabilizzazione se i “protocolli” sono seguiti pedissequamente,
si sta procedendo alla meccanizzazione progressiva dell’arte medica, che
appunto scompare come arte, scompare come fattore che sollecita lo
sviluppo di facoltà diagnostiche e osservative speciali. Ciò avviene nel
nome di una “standardizzazione” che risulterà necessariamente ottusa
nella valutazione dei casi “eccentrici”, ai margini della distribuzione
normale della gaussiana, ma che garantirà risposte rapide, economiche e
di massa nella maggioranza dei casi ordinari. Quanto più questo processo
avanza, tanto più ciò che i medici in carne ed ossa fanno è “riducibile
a meccanismo”. Più standardizzato il servizio, tanto più rapidamente ed
efficacemente esso potrà venire sostituito da procedimenti di
Intelligenza Artificiale, che mediamente produrranno diagnosi e ricette
rapide, massive, economiche e anche efficaci, per i casi vicini alla
distribuzione media. Naturalmente il prezzo da pagare per questo
beneficio è la sempre maggiore irriconoscibilità di tutto ciò che
presenta aspetti eccentrici, la sempre maggiore ottusità nei confronti
delle specificità individuali.
Lo stesso processo bussa alle porte
quando nell’insegnamento, scolastico e a maggior ragione universitario,
si promuove l’esigenza dell’uniformazione dei programmi e delle
metodologie di insegnamento. Quando inizia a diventare senso comune che
se si studia “letteratura latina” o “epistemologia” ciò deve garantire
che si studi LA STESSA COSA – perché il nome è lo stesso – si prende la
strada per cui potremo fare un solo corso standard filmato,
riproducendolo infinitamente ad un numero indefinitamente ampio di
studenti. E gli aggiustamenti o aggiornamenti potranno essere consegnati
all’IA, che si affiderà alle forme pregresse ricombinate. Anche questo
processo avrà il grande vantaggio di abbattere drasticamente costi e
tempi di produzione del prodotto “lezione”, con il marginale problema di
distruggere in forma ultimativa buona parte di ciò che un tempo
rappresentava "cultura umana". Che lo si sappia oppure no, quanto più ci
si adegua agli standard richiesti dall’esterno, dai “ministeri”, dalle
“autorità internazionali”, ecc. tanto più si lavora per l’uniformazione e
infine la meccanizzazione della produzione culturale, ad ogni livello.
In
generale, quanto più questo processo va avanti, tanto più "perdibili"
(o senz'altro scadenti) appaiono i contributi umani e tanto più sensata
appare perciò la loro sostituzione con uno standard meccanico.
Ma
forse è bene così – chi sono io per contestare il progresso - basta che
non vi siano infingimenti e che si tratti di una scelta consapevole,
senza che venga camuffata da “attenzione alla qualità”.
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