Potere alle donne
di Marcello Veneziani - 23/06/2024
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Fonte: Marcello Veneziani
Le ultime elezioni europee hanno confermato una tendenza:
il passaggio del comando politico dagli uomini alle donne. Giorgia
Meloni ed Elly Schlein guidano i due maggiori partiti nostrani, su cui
si fonda il nostro bipolarismo imperfetto. E a livello europeo, Marine
Le Pen è la vera vincitrice di questa tornata elettorale. Ma non solo:
Ursula van Der Leyen e Roberta Metsola, presidenti della commissione e
del parlamento europeo, sono uscite bene dalle elezioni, nonostante la
sconfitta delle forze eurocratiche, la disfatta di Macron in Francia e
di Scholz in Germania. E altre donne guidano altri paesi, da est a
ovest.
Ma non è un fenomeno contingente; c’è qualcosa di più profondo
e strutturale: il potere sta passando alle donne. Non c’è bisogno di
essere femministe per plaudire a questa svolta ginecocratica.
Personalmente mi sono convinto che il futuro della politica sia femmina.
Non lo dico con rassegnazione o per compiacere le donne, è una pura
constatazione di fatto: si, la politica oggi si addice di più alle
donne. E non dirò nemmeno che è un segno di decadenza della politica. Le
donne oggi hanno più determinazione, carattere, tenacia, si applicano
di più, sono meno superficiali e multitasking, più adatte a governare e
guidare la politica. L’uomo molla, è molle, ha meno volontà. Non siamo
al regno della Amazzoni ma si deve prendere atto che la Donna,
contrazione del latino Domina, è colei che domina anche nella vita
pubblica. Le donne sono più portate alla concretezza, sono più
pragmatiche e sono meno inclini alla corruzione e alla disonestà
politica.
Un tempo le Golda Meir e le Indira Gandhi, ma anche le
regine del passato, facevano storia a sé. Poi venne il tempo della
Thatcher e poi della Merkel; oggi sta diventando la norma.
Le donne
hanno una vocazione naturale alla crematistica, che dai tempi di
Aristotele è l’arte di gestire l’economia, e riguarda non più solo le
spese di casa, ma quelle del condominio-Paese o del condominio Unione.
Una donna guida pure la Banca centrale europea, Christine Lagarde, la
Draghi in versione euro-femminile. Che non suscita, almeno in me,
simpatia e ammirazione, ma è una conferma ulteriore di questa svolta.
Non
è lo stato d’animo sconfortato e depresso di un uomo, di un maschio che
vede ormai il passaggio di consegne e si lascia prendere da una specie
di sindrome di Stoccolma. È un’abdicazione serena, che libera l’uomo
dall’ansia di prestazione politica e dal dovere di dimostrare la sua
maggiore capacità di visione e di gestione, l’attitudine al comando e
alla decisione. In fondo, ci sono già state epoche nell’antico
mediterraneo all’insegna del matriarcato. Che ancora si riflette in
alcune società del sud, dove l’uomo regna ma la donna governa. Anche
quando restavano in casa a esercitare il loro potere a latere, erano le
mandanti dei loro consorti, laddove gli uomini amavano figurare,
duellare, guerreggiare, ma poi delegavano alle loro mogli, sorelle e
madri, la gestione della casa, della famiglia e delle strategie di
prossimità. Quell’eredità ancestrale è venuta ora a maturazione e si è
fatta sistema; e la disfatta della politica, la maggioranza assoluta del
popolo sovrano che abdica alla sovranità e non va a votare, sono
ulteriori segnali che qualcosa è cambiato, dobbiamo prenderne atto e
trarre le dovute conseguenze. All’uomo resta, se sarà in grado di
mantenerlo, il regno degli scopi ultimi, il mondo dei significati,
l’arte, il gioco, il pensiero, la metafisica. Anche se veniamo da un
secolo, il novecento, in cui il pensiero forte è stato più rappresentato
dalle donne. Dopo millenni di dominio maschile, le pensatrici più
vigorose del Novecento sono loro: Simone Weil e Hannah Arendt, Maria
Zambrano e Rachel Bespaloff e altre pensatrici e scrittrici. Mentre gli
uomini in larga parte dichiaravano la morte della filosofia e la
sconfitta del pensiero, o fallivano nei loro sogni, figli del superuomo
nicciano, il pensiero delle donne, al di là delle rivendicazioni
femministe, assumeva vigore politico, filosofico e religioso. Peraltro
entri in libreria, vai a cinema o a teatro o a una conferenza e vedi più
donne che uomini. È un segnale.
Il repertorio classico delle
motivazioni aveva fino a ieri un senso, pur nel suo corredo di ovvietà:
quando l’uomo andava in guerra e a caccia, quando sfidava l’incognito,
il pericolo e le intemperie, si sporgeva fuori casa e portava da
mangiare alla famiglia, comunque si occupava lui delle fonti di
sostentamento, aveva una naturale propensione non solo a guidare la
società ma anche a interpretarla, a capirla, tramite la cultura, lo
spettacolo, la ricreazione. Oggi è tutto un sorpasso. In più prevale per
i maschi giovani lo stereotipo del bamboccione, motteggiato dalle donne
con la frase-password: “non ha le palle”. Anche da qui prende corpo
l’evirazione della politica.
Un tempo si diceva che gli uomini hanno
una visione generale delle cose, mentre le donne hanno una visione
particolare, ravvicinata. Oggi non è più così, l’individualismo
egocentrico, la vanità e il puerile narcisismo hanno reso gli uomini più
preoccupati della loro sfera personale, quanto se non più delle donne.
Anche in politica prevale il particulare, la carriera personale, i fatti
propri, se non gli interessi privati. Non so se chiamarla emancipazione
femminile o piuttosto decadenza maschile; non se se sia da ascrivere
più a un’accresciuta sensibilità e capacità delle donne o a un crescente
inebetimento e inettitudine dei maschi. Direi salomonicamente a
entrambi. Oggi quando si deve eleggere un presidente o un premier mi
trovo a dire: speriamo che sia femmina.
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