La strana morte del generale Graziano, il caso dell’Italiagate e quell’ondata di “suicidi” che non si arresta
di Cesare Sacchetti
La notizia è giunta più o meno nella metà della mattinata di ieri. Il generale Claudio Graziano, presidente di Fincantieri, è stato trovato morto in uno degli appartamenti che utilizzava a Roma.
Le circostanze della morte sono tutt’altro che chiare, ma, a quanto pare, laddove le acque sono torbide i media riescono perfettamente, prima degli altri, a vedere in profondità.
E’ il caso, ad esempio, della ineffabile redazione del Foglio che appena uscita la notizia della morte scriveva già che il generale si sarebbe sparato un colpo alla nuca e avrebbe persino lasciato un biglietto sopra il quale pare ci fosse scritto che l’uomo non si sentiva più di andare avanti dopo la perdita della moglie.
L’indagine non è nemmeno iniziata, ammesso che mai realmente inizierà, ma qualcuno sembra aver già chiuso il caso.
Non sono stati nemmeno condotti gli esami di rito sul palmo della mano con la quale Graziano si sarebbe sparato per capire se effettivamente ci sono tracce di polvere da sparo su quel palmo oppure se qualcuno ha messo l’arma in mano al generale dopo che questo era già morto.
Non erano note apparentemente nemmeno condizioni depressive particolari del militare, salvo quelle non confermate e riportate dai media sulla morte della moglie, ma ovviamente anche su questo aspetto di voglia di capire cosa è realmente accaduto se ne vede ben poca.
Qualche politico però, in questo caso Lucio Malan, già ex forzista e ora nel partito di Giorgia Meloni, ha sollevato qualche dubbio sulle presunte condizioni “depressive” del generale, mettendo in rilievo che Graziano non sembrava affatto depresso e che il presunto suicidio giunge del tutto inaspettato.
Non possono non venire alla mente in questo caso gli echi del caso di Raul Gardini dove un’altra procura, quella di Milano – nella quale erano attivi gli “eroi” del pool di Mani Pulite intenti a falciare la classe dirigente della Prima Repubblica premurandosi però di risparmiare il PDS – liquidava la morte del noto capitano d’industria come un “suicidio” nonostante l’arma fosse a diversi metri di distanza dal suo letto, e nonostante sulle sue mani non c’era quella polvere di sparo che avrebbe dovuto esserci in caso di una morte per suicidio.
Nessuno sulla stampa dell’epoca pose particolari questioni sulla condotta dei magistrati milanesi che archiviarono clamorosamente un caso che appariva chiaramente come un omicidio simulato malamente da suicidio.
Non sappiamo se anche in questo caso siamo di fronte ad una triste pratica consolidata nella magistratura italiana così vicina e attenta ai desideri delle logge massoniche che ora sono invischiate in una furiosa guerra tra bande sulla quale si tornerà in seguito.
Claudio Graziano: l’uomo dello stato profondo militare
Adesso occorre seguire le tracce della morte di Graziano e chi era davvero quest’uomo.
Il generale era un uomo ai massimi livelli dell’establishment militare.
Le porte della carriera militare in Italia, e nei Paesi delle democrazie liberali, si dischiudono ai livelli più alti solamente se coloro che la intraprendono appartengono a determinati giri di potere che sono i veri padroni delle istituzioni liberali.
La storia della loggia P2 è lì a ricordare a tutti noi che le possibilità di divenire generale in Italia e in Europa sono ridotte al lumicino se non si appartiene a delle potenti logge massoniche che sono in grado di far scalare rapidamente i gradini della piramide militare.
Non ci sono notizie certe di una eventuale appartenenza alla massoneria di Graziano, ma non c’è dubbio alcuno che la sua scalata ai vertici dell’esercito sia stata fatta all’ombra dello stato profondo italiano che gli aveva consentito di diventare uno degli ufficiali più influenti delle forze armate italiane.
Dopo aver completato l’accademia militare a Modena nel 1974, il 21enne ufficiale viene destinato al vice comando della compagnia controcarri della Brigata Taurinense.
E’ negli anni’80 però che Graziano inizia a salire decisamente di grado quando diviene a soli 37 anni, nel 1990, tenente colonnello e inizia ad avvicinarsi sempre di più ai giri che contano dell’establishment.
Nel 2002, viene destinato a Washington dove diviene addetto militare dell’ambasciata italiana, un periodo nel quale il già colonnello Graziano si appunta sul petto il massimo grado dell’esercito, ovvero quello di generale.
Washington sembra segnare una tappa importante nella carriera del generale che inizierà a guadagnarsi incarichi di prestigio internazionale quali quello che lo vedono nominato nel 2007 dall’allora segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, come capo della missione militare delle Nazioni Unite in Libano.
Graziano è chiaramente gradito a certi ambienti atlantisti e mondialisti, e negli anni successivi riceve un altro prestigioso incarico per ciò che riguarda l’assetto euro-atlantista quando nel 2018 diventa presidente del comitato militare dell’Unione europea, un organismo militare che è stato istituito per provare a concepire una bozza del fantomatico esercito europeo del quale si parla molto a Bruxelles da anni, anche se poi i vari tentativi fatti dall’UE si sono tutti infranti sulla manifesta inadeguatezza delle forze armate dei Paesi europei, incapaci di sopravvivere senza l’ombrello degli Stati Uniti.
Il generale è ricordato, tra l’altro, anche per il suo servile inchino nei confronti dell’ex presidente della Commissione europea, Juncker, e questo non fa altro che mettere in evidenza che i vertici delle forze armate sono tutti fedeli a questa visione della governance mondiale che si propone di annientare le sovranità dei singoli Stati.
Perché Trump è una grave “minaccia” per l’establishment italiano
Il nome di Graziano però è più recentemente ricordato per una vicenda che è stata affrontata da questo blog in esclusiva già quando emerse a suo tempo, ovvero lo scandalo dell’Italiagate che non è altro che un’elaborata ed estesa cospirazione perpetrata ai danni di Donald Trump nel 2020.
Trump è un presidente molto diverso dai suoi predecessori.
Trump è stato appunto l’uomo che ha interrotto la continuità presidenziale dopo la morte di Kennedy, e per continuità presidenziale si intende quel falso duopolio composto da repubblicani e democratici dove alla fine a decidere il comandante in capo degli Stati Uniti sono i circoli del Bohemian Grove e del Council on Foreign Relations.
JFK è stato l’ultimo uomo alla Casa Bianca che aveva dimostrato di non essere pronto a sacrificare la sovranità degli Stati Uniti a tali poteri di natura sovranazionale, e aveva anche manifestato una certa ostilità nei riguardi di Israele e del movimento sionista che non tollerava che il presidente degli Stati Uniti volesse separare il suo destino da quello dello stato ebraico.
I contrasti, per così dire, tra Kennedy e Ben Gurion non sono mai ricordati dalla storiografia ufficiale, in quanto questo appare più impegnata a raccontare la storia che lo sparatore solitario, Lee Harvey Oswald, avrebbe da solo con un fucile mal funzionante sparato al presidente Kennedy da una posizione impossibile andando contro ogni evidenza balistica che smentiva, tra l’altro, l’assurda teoria della “pallottola magica” che avrebbe magicamente, da sola, colpito due degli occupanti della limousine di Kennedy e dopo varie incredibili rotazioni sarebbe uscita intatta dal corpo del governatore del Texas. Connally, che sedeva di fronte al presidente Kennedy.
Trump riprende il filo che si era spezzato a Dallas nel 1963. Trump vuole portare fuori gli Stati Uniti da questa fitta rete di potentati che vogliono servirsi della superpotenza americana per giungere al tanto agognato governo mondiale.
L’avvento al potere del presidente americano costituisce certamente un problema per la politica italiana, poiché questa dall’armistizio di Cassibile del 1943, e soprattutto dal golpe giudiziario di Mani Pulite nel 1992, si ritrova ad essere un mero strumento dello stato profondo americano.
Questo aiuta a comprendere perché già nel 2016 il governo di Matteo Renzi è stato accusato di aver aiutato Barack Obama nello spionaggio illegale perpetrato ai danni di Donald Trump.
Così come questo spiega come il partito democratico italiano, fatto senza precedenti, si sia apertamente schierato durante la campagna elettorale a favore di Hillary Clinton, venendo meno alla neutralità che invece l’esecutivo italiano avrebbe dovuto osservare per le presidenziali americane.
La politica italiana di fatto non è altro che un cortile dell’anglosfera, e se l’influenza di questa ultima viene meno, non ci sono possibilità per la prima di sopravvivere.
Lo stato profondo italiano si è quindi adoperato con ogni mezzo per aiutare Washington a fermare la corsa di Trump.
L’Italiagate: la massiccia frode per rovesciare Trump
Il golpe del 2016, com’è noto, non è riuscito, e nel 2020 ne viene concepito un altro ancora più esteso e ancora, se possibile, più eversivo del primo.
Stavolta non si decide di percorrere la strada della montatura politica per fermare Trump.
Stavolta si decide di percorrere quella di una vasta e massiccia frode elettorale che vede coinvolti diversi Paesi, con l’Italia nel ruolo, suo malgrado, di protagonista assoluta.
La notte del 3 novembre, Trump aveva stracciato Joe Biden, il debole candidato dei democratici, come ogni seria analisi del voto aveva previsto.
A urne chiuse, si mette in moto la macchina del broglio. Giungono improvvisamente centinaia di migliaia di voti postali che vengono assegnati tutti, stranamente, a Joe Biden.
Non è però abbastanza. Trump sta vincendo la partita poiché il suo consenso è talmente vasto e radicato che il suo elettorato negli anni ha raggiunto milioni di persone in più.
Ad entrare in gioco in questa delicata fase della storia americana e mondiale, è il governo italiano.
A dicembre del 2020, il primo a rivelare che il governo italiano, all’epoca presieduto da Conte, avrebbe attraverso la sua società partecipata, Leonardo, partecipato alla frode elettorale contro Trump, è stato Bradley Johnson, ex agente della CIA.
La notte del 3 novembre del 2020, Leonardo avrebbe messo a disposizione un suo satellite militare, attraverso il quale milioni di voti sarebbero stati spostati da Trump a Biden.
Secondo quanto riferito da Johnson, la base operativa dell’operazione sarebbe stata via Veneto, sede dell’ambasciata americana, all’epoca rappresentata da Lewis Eisenberg, americano di origini ebraiche e molto vicino alla lobby sionista che nonostante i vari depistaggi della falsa controinformazione, nutre una profonda avversità nei confronti di Trump, in quanto è stato il primo presidente dal’63 a dire di no alla serie di interminabili guerre mediorientali scatenate in nome e per conto dello stato ebraico.
Noi conducemmo delle verifiche attraverso altre nostre fonti che ci confermarono che effettivamente quanto rivelato da Johnson corrispondeva al vero, e ad essere chiamato in causa fu anche proprio lui, il generale Graziano.
Graziano quella notte sarebbe stato presente a via Veneto per coordinare le operazioni nella veste di rappresentante non solo delle istituzioni italiane, ma di quelle dell’UE, poiché, si ricordi, che all’epoca il generale era ancora presidente del comitato militare dell’Unione e questo vorrebbe dire che non solo il governo italiano avrebbe lanciato un attacco senza precedenti alla sovranità americana, ma anche de facto la stessa UE che voleva a tutti i costi liberarsi di quel presidente che stava ponendo fine a quasi 80 anni di atlantismo e di dominio dell’impero americano.
Graziano, non appena si diffonde la notizia, smentisce il suo coinvolgimento mentre Leonardo stranamente sceglie la via del silenzio, circostanza alquanto anomala per una società così importante.
Gli altri dettagli della storia sono noti a chi già segue questo blog. Altre fonti hanno accusato direttamente l’hacker Arturo D’Elia di aver partecipato materialmente alla frode, e questi viene arrestato a solo un mese di distanza dalla notte elettorale americana su ordine della procura di Napoli per altri reati commessi proprio, guarda caso, ai danni di Leonardo 5 anni prima, nel 2015.
La “fretta” della procura napoletana di mettere dietro le sbarre D’Elia fa certamente riflettere, e il fresco della galera sembra indurre a miti consigli l’hacker campano che preferisce chiudere la bocca e smentire, soltanto un anno dopo dalla frode del 3 novembre, il suo presunto coinvolgimento nell’attacco cibernetico eseguito ai danni di Trump.
A gennaio del 2021, “casualmente” dopo che noi avevamo scritto il primo articolo sulla vicenda, inizia poi la fiera dei depistaggi. Giungono sulla scena dell’Italiagate personaggi quali l’attivista americana Maria Zack e Alfio D’Urso, un avvocato catanese il quale addirittura millanta di essere il legale di D’Elia e che produce una falsa dichiarazione giurata.
D’Urso poi è un personaggio alquanto particolare per la sua vicinanza alla Link Campus, l’ateneo del citato Joseph Mifsud, coinvolto nello Spygate, e questa circostanza dovrebbe indurre più di qualche riflessione sugli ambienti dai quali proviene il giurista siciliano.
Maria Zack invece arriva a dichiarare che Mario Draghi, uno dei tecnocrati più famigerati dell’UE e uomo di primo piano dell’establishment italiano, era addirittura impegnato nel fornire assistenza a Trump per far luce sugli autori dell’Italiagate.
Era apparso evidente sin da subito che qualcuno dall’Italia stava dettando un copione alla “buona” Maria, e questo qualcuno aveva tutto l’interesse a veicolare il depistaggio di Draghi “sovranista” molto in voga all’epoca nei giri della Lega e di alcuni famigerati canali della falsa controinformazione.
Le intenzioni erano chiare allora come oggi. Questi personaggi erano e sono mossi con ogni probabilità da servizi di intelligence che li stanno usando per screditare la storia dell’Italiagate e il processo farsa a Roma contro di loro serve appunto a minare l’intera credibilità dello scandalo.
Sono infatti loro a seminare dei documenti palesemente falsi che hanno come scopo quello di intorbidire le acque e far passare questo enorme scandalo come una grossolana montatura.
Quella falsa documentazione è stata messa di proposito da questi personaggi per dare all’establishment italiano la possibilità di autoassolversi dalla vicenda e vendere all’opinione la storia, falsa, che l’Italiagate sia soltanto una bugia.
Il fatto però che sia stata messa in circolo una falsa dichiarazione giurata da D’Urso e altri non vuol dire che Donald Trump non sia stato vittima di una frode da parte del governo italiano.
Il depistaggio confezionato da questi ambienti non uccide lo scandalo, come forse qualche barba finta si illude.
La morte di Graziano e quella scia di “suicidi” che non si ferma
Adesso però la morte di Claudio Graziano in circostanze ancora tutte da chiarire sembra aprire degli armadi dove ci sono degli scheletri che qualcuno non voleva certo che venissero fuori.
Sono settimane che assistiamo a degli “strani” suicidi.
Recentemente, c’è stato quello del rettore della Cattolica, Franco Anelli, il cui nome compare sul Grande Oriente d’Italia, travolto in queste settimane da una furiosa guerra intestina che sta portando la loggia persino a rifiutare il rito scozzese al quale era fedele da tantissimi anni.
Può certamente trattarsi di un caso di omonimia per ciò che riguarda Anelli, ma ad oggi non abbiamo ancora ricevuto nessuna smentita al riguardo.
A seguire c’è stata la morte del marito della ex eurodeputata Francesca Donato, Angelo Onorato, trovato morto nella sua auto con una fascetta al collo con la quale è stato strangolato.
Gli elementi che indicano un omicidio appaiono evidenti ma la procura di Palermo sembra volersi tenere lontana da quella pista e avrebbe già virato su quella del suicidio, e qui poi i formidabili magistrati palermitani dovranno spiegare come fa un uomo a strangolarsi da solo, anche se siamo ancora in attesa di capire come ha fatto Raul Gardini a spararsi, e poi da morto, ad alzarsi e a posare la pistola sulla sua scrivania.
Non è stata spiegata nemmeno la morte di Bruno Astorre, senatore del PD, che si sarebbe tolto la vita gettandosi da un palazzo a pochi passi dal Pantheon, una zona che è notoriamente video sorvegliata, ma le telecamere, in questi casi, si sa, sono sempre affette da misteriosi “malfunzionamenti”.
Non è certo che la morte di Graziano abbia una qualche relazione con le altre, ma non è da escludersi l’ipotesi che qualcuno ai piani alti dello stato profondo in Italia, stia cercando di cancellare le tracce di grossi scandali e far sparire personaggi che ora sono diventati ingombranti per il bagaglio di segreti che si portano dietro.
L’Italiagate sembra certamente avere tutte le caratteristiche di una faccenda che coinvolge i livelli più alti della politica italiana in quanto soltanto con una partecipazione collettiva delle istituzioni politiche, militari e dell’intelligence, Leonardo avrebbe potuto fare quello di cui è stata accusata.
Questa fase è quella, come detto in passato, della dismissione del sistema politico italiano che adesso dopo le europee si vede persino privo del consenso della maggioranza assoluta degli italiani.
A Washington si è aperto un vuoto di potere che è stato sostituito da una classe politica non più fedele all’atlantismo e alla visione della governance mondiale.
La repubblica dell’anglosfera si ritrova dunque in una sorta di crepuscolo che precede la sua definitiva dipartita.
Siamo al redde rationem. Siamo alle bande orfane delle protezioni di un tempo che si assalgono furiosamente nel tentativo di sopravvivere a questa fase storica inedita.
La storia di questa repubblica si sta chiudendo com’era iniziata. Nel sangue.
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