Centomila israeliani hanno protestato sotto casa di Netanyahu contro il governo
Centomila persone si sono radunate sotto la casa del presidente israeliano Benjamin Netanyahu, a Gerusalemme, per protestare contro le politiche del governo. I manifestanti chiedono nuove elezioni, un cessate il fuoco e un accordo per il rilascio degli ostaggi. Dopo le dimissioni del generale Benny Gantz dal gabinetto di guerra e in seguito ad altri malumori che hanno contrapposto l’esercito al governo, diversi gruppi di protesta antigovernativi hanno annunciato l’intenzione di indire «una settimana di resistenza» con manifestazioni in tutto il Paese nei prossimi giorni. Lunedì sera, una folla di decine di migliaia di persone si è radunata davanti alla Knesset, il Parlamento dello Stato ebraico, programmando di marciare verso la casa del primo ministro israeliano, e si sono verificati scontri con la polizia, che è stata subito mobilitata in gran numero per disperdere le manifestazioni e impedire ai manifestanti di bloccare le strade principali. Tre persone sono state ferite e almeno otto sono state arrestate durante i disordini. A fronte di ciò, va tuttavia sottolineato come risulti del tutto assente dalle rivendicazioni una critica del massacro contro i civili a Gaza, che ad oggi ha causato oltre 37 mila morti.
La protesta costituisce solamente l’ultimo tassello di una lunga serie di iniziative contro il governo, che proseguono da prima dell’aggressione israeliana a Gaza di ottobre. Cresce, dunque, l’ostilità verso l’amministrazione ultraortodossa e nazionalista di Netanyahu, che, oltre a dover affrontare le critiche della popolazione civile, è attraversato anche da divisioni interne e da divergenze con l’apparato militare. Proprio per questo, Netanyahu si è trovato costretto a sciogliere il gabinetto di guerra, istituito a ottobre per coordinare la campagna militare nella Striscia, dopo che la scorsa settimana due dei principali membri, Gadi Eisenkot e Benny Gantz, appartenenti al partito di opposizione Unità Nazionale, hanno dato le dimissioni. I due erano, infatti, in disaccordo con la gestione della guerra e chiedevano al primo ministro un piano preciso per il dopoguerra. Ciò ha reso Netanyahu più dipendente dai suoi alleati ultranazionalisti, che si oppongono al cessate il fuoco, allontanando così ulteriormente lo spazio per un accordo con Hamas. Sulla scia di queste divisioni interne si collocano anche le proteste della popolazione, che da mesi sta protestando per il rilascio degli ostaggi, nella convinzione che il governo non stia facendo abbastanza per liberarli e per giungere ad un accordo per il cessate il fuoco, segno che molti israeliani non condividono la scelta di proseguire la guerra a oltranza.
Altre divisioni importanti riguardano la questione dell’arruolamento degli ultraortodossi, anch’essa oggetto di contestazione da parte della popolazione. È in corso di approvazione, infatti, un disegno di legge che permetterebbe di arruolare anche gli studenti religiosi e su cui il governo si è diviso: Gantz si è opposto alla misura che, secondo lui, è insufficiente per le esigenze dell’esercito, e insieme a lui ha espresso la sua contrarietà anche il ministro della Difesa Yoav Gallant, rompendo così l’unità del governo. Il tema ha scatenato la rabbia della popolazione, che si è dimostrata divisa sul tema. Alcuni attivisti, inoltre, hanno manifestato contro il disegno di legge presentato dall’Unione Nazionale degli Studenti Israeliani, che stabilisce che le istituzioni accademiche siano tenute a licenziare immediatamente e senza compenso i docenti che incitano contro Israele, sostengono il terrorismo o «parlano apertamente in modi percepiti come neganti l’esistenza di Israele come Stato ebraico e democratico».
Le proteste sono state subito cavalcate dall’opposizione: il presidente del partito laburista Yair Golan è intervenuto incoraggiando i manifestanti a non disperare per il fatto che l’attuale governo è ancora al potere. «Chi sono questi che stanno cercando di seminare disperazione e che è impossibile rovesciare? Ci riusciremo e non importa come rovesceremo questo governo, non dispereremo nemmeno per un momento, non ci arrenderemo mai», ha affermato. Un manifestante, invece, ha detto che «Il processo di guarigione per il paese di Israele inizia qui. Dopo la settimana scorsa, quando Benny Gantz ed Eisenkot hanno lasciato la coalizione, stiamo continuando questo processo e speriamo che questo governo si dimetta presto», ha detto riassumendo gli obiettivi della protesta.
Alla luce dell’ultima di una lunga serie di rimostranze che si susseguono ormai da mesi, il governo dello Stato ebraico sembrerebbe sempre più delegittimato e debole. Non sembra però – almeno per ora – voler andare incontro alle richieste dei cittadini per quanto riguarda un accordo sul cessate il fuoco, che permetterebbe con ogni probabilità anche la liberazione degli ostaggi. Elemento centrale che ha scatenato il malcontento nella popolazione israeliana – che tuttavia nulla ha avuto da dire contro lo sterminio di civili nella Striscia di Gaza.
[di Giorgia Audiello]
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