Negli ultimi 10 anni sono state pubblicate tantissime notizie di giovanissimi palestinesi arrestati, torturati e portati in prigione in West-Bank. L’ultimo episodio vicino Ramallah solo 2 giorni fa con protagonista un ragazzino di 7 anni, come riporta Al-Jazeera.
C’è una parte di guerra più silenziosa, lontana dai riflettori puntati su Gaza. Eppure, la situazione per i palestinesi della West Bank è quasi altrettanto soffocante. Dal 7 ottobre, non passa giorno in cui non si registrino numerosi arresti, più o meno arbitrari.
In questo lembo di terra, che coincide con la riva occidentale del fiume Giordano, risiedono circa tre milioni di palestinesi. Ed è sempre qui che i coloni israeliani, fomentati dal ministro della Sicurezza Ben-Gvir, stanno andando all’arrembaggio di terreni per nuovi, e illegali, insediamenti. La propaganda d’odio del suprematista ebraico si è fatta ancor più feroce con il cosiddetto “ordine di emergenza” attivato dal ministro per facilitare il rilascio delle licenze per il porto d’armi.
E mentre i coloni imbracciano i fucili – che possono comprare a seguito di un “colloquio telefonico” – l’esercito israeliano, vent’anni dopo la Seconda intifada, in questi mesi ha ripreso a bombardare anche la Cisgiordania. Un articolo del The Intercept racconta di almeno “37 raid aerei dell’IDF, con droni ed elicotteri da combattimento”. Gli attacchi – i primi risalgono a giugno 2023 – hanno colpito aree urbane densamente popolate e campi profughi a Jenin, Tulkarem e Nablus, uccidendo almeno 55 palestinesi, secondo le Nazioni Unite.
Tutto questo non ha fatto altro che soffiare sul fuoco delle tensioni tra ebrei e palestinesi, rendendo a questi ultimi la vita impossibile.
Ogni giorno – riporta Haaretz – “i coloni israeliani vandalizzano le proprietà palestinesi” portando a rappresaglie e “scontri senza fine tra i due popoli”. Il tutto, avviene nella completa impunità, considerando il fatto che “l’esercito israeliano in molti casi ha appoggiato le cause dei coloni, agendo in modo aggressivo e con una forza eccessiva e letale contro i palestinesi”.
Oltre 7mila palestinesi arrestati in Cisgiordania
Dall’inizio della guerra ad oggi, sono oltre 7mila i palestinesi arrestati nella West Bank, di cui 457 bambini. Un numero enorme, che si somma a quello delle persone uccise nei vari scontri. Negli ultimi dodici mesi, come testimonia un recente dossier dell’UNWRA, “si sono raggiunti livelli di violenza mai visti prima. Il 2023 è stato l’anno in cui si sono contati più morti in Cisgiordania, da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare i dati”. Ebbene, sono 521 le vittime palestinesi, di cui 283 rifugiati – 62 dei quali erano bambini.
I rastrellamenti, che si verificano in tutta la zona, si concentrano più specificatamente nelle città di Hebron, Nablus, Tulkarem e Qalqilya, ovvero laddove i cittadini palestinesi sono più numerosi e cercano di resistere maggiormente. Queste retate, spesso arbitrarie, sono state oggetto di inchiesta da parte dell’HRC [Human Rights Council]. “La commissione – si legge sul report – ritiene che i soldati israeliani, talvolta insieme a civili, abbiano commesso violazioni dei diritti umani simili a quelle perpetrate nella Striscia di Gaza”. E ancora “sono state messe in atto pratiche persecutorie, volte ad intimidire i cittadini palestinesi”. Ci sono stati casi in cui “le vittime sono state spogliate forzatamente in pubblico e sono state sottoposte ad abusi sessuali, fisici e mentali”.
Qui, i soldati “premono il grilletto con una facilità inaccettabile, perché sanno che, tra la guerra di Gaza e il governo di estrema destra al potere, non dovranno affrontare alcuna conseguenza”.
Insomma, seppur meno noto, attualmente anche nella West Bank i diritti umani, più che inalienabili, stanno diventando invisibili.
Al-Moscobiyeh: la macelleria nel cuore di Gerusalemme
Nel luglio del 2021, come riporta Anadolu Agency, Abdu al-Khatib un palestinese di 43 anni perde la vita in una sala interrogatori in Al-Moscobiyeh, un centro interrogatori israeliano vicino Gerusalemme soprannominato “il macello” per gli orribili interrogatori condotti dali militari israeliani che troppo spesso portano alla morte degli interrogati.
Dopo la morte di Abdu, una portavoce dell’ONG che si occupa di proteggere i diritti dei prigionieri palestinesi ha raccontato che la famiglia di Abdu ha evidenziato segni di elettrificazione e violenza sul corpo di Abdu. Il motivo del suo arresto, riportato anche dal Times of Israel, è un generale “violazione del traffico”.
Al-Moscobiyeh era inizialmente un complesso costruito nella metà del 1800 dalla società palestinese per i russi che si recavano in Terra Santa in pellegrinaggio. Da qui il nome russo. Successivamente con l’occupazione inglese il complesso venne trasformato in un quatrier generale di polizia e centro interrogatori.
A settembre del 2018 è stato pubblicato un rapporto dal titolo: “Ci sono stato: uno studio sulla tortura e il trattamento disumano nel centro di interrogatorio di Al-Moscobiyeh”. A pubblicarlo è stato Addameer, ONG palestinese che avevamo già incontrato nel precedente articolo di questo dossier. Nella ricerca sono state inserite 138 testimonianze di individui detenuti nel centro di interrogatori tra il 2015 e il 2017.
Nel rapporto di Addameer si legge: “Durante i trasporti dei prigionieri verso Al-Moscobiyeh, gli individui sono bendati (66,3% dei casi) e ammanettati con fascette di plastica (75% dei casi). Sono spesso picchiati (42,5% dei casi), e colpiti con le armi dei soldati (28,8% dei casi)”. Il report, basandosi sulle interviste dei prigionieri, ha identificato anche i tipi più comuni di tortura praticata dai militari israeliani all’interno di Al-Moscobiyeh: torsioni del corpo a scopo di tortura, percosse, isolamento per giorni senza cibo e acqua, privazione del sonno, minacce a famigliari dell’interrogato, tortura mentale con suoni forti, totale assenza di cure mediche post-tortura. “Il prigioniero M.B. di anni 18 anni durante il suo interrogatorio a Al Moscabiyeh è stato trattenuto per 8 ore al giorno in una posizione di stress e l’interrogatorio è durato per 18 giorni”.
Le testimonianze sono da brividi. Si legge ancora “ T.D è stato interrogato per 7 giorni, durante questo tempo aveva mani e piedi legati. Per 7 giorni non gli è stato permesso di andare in bagno”. Non sono stati risparmiati nemmeno i bambini. Il 45 % dei bambini che hanno preso parte all’intervista di Al-Moscobiyeh ha riferito di essere stati picchiati e di aver ricevuto minacce verso membri della propria famiglia.
Oggi
nei territori occupati della palestina, di centri come Al-Moscabiyeh ce
ne sono altri 4. Alcuni servono da base per gli interrogatori e le
torture, altri per la detenzione.
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