A morire al fronte per i valori dell’Eurovision ci potete mandare Klaus Schwab
di Andrea Zhok - 15/05/2024
Fonte: Andrea Zhok
Qualche giorno fa Matteo Salvini ha proposto un ritorno al
servizio di leva obbligatoria. L’uscita del leader leghista sembra più
un ballon d’essai che una proposta realistica ed è stato immediatamente
contrastato dal ministro della Difesa Crosetto. E tuttavia è importante
vedere come il lancio di queste proposte per testare le reazioni della
popolazione faccia parte di una tendenza più generale in Europa, dove,
alla luce degli eventi in Ucraina, si riaffaccia l’idea della necessità
di un esercito di leva. In Germania, ad esempio, sono in fase di
elaborazione una serie di proposte per l’ampliamento dell’esercito, tra
cui compare anche l’idea della reintroduzione di una leva obbligatoria.
Ora,
il caso dell’esercito di leva è un caso importante per esercitare le
proprie capacità di discernere questioni di principio e questioni di
contesto.
Il servizio militare, se organizzato in modo funzionale, è
un modo per mettere in contatto persone di diversa estrazione sociale in
un compito comune e di sottoporle ad una comune disciplina. D’altro
canto, un apprendimento diffuso all’uso delle armi e alle basi
dell’autodifesa organizzata rende la popolazione nel suo complesso
potenzialmente più reattiva e meno succube. Un servizio militare fatto
bene può essere un fattore di consolidamento del senso di appartenenza,
di stimolo alla partecipazione della dimensione pubblica e di
relativizzazione della propria presunta irriducibilità individuale.
Dunque di per sé il servizio militare di leva è non solo compatibile
con, ma è un potenziale facilitatore nel consolidarsi della sovranità
popolare.
Non è infatti un caso che negli anni del trionfo
neoliberale tutti i paesi occidentali abbiano cominciato a disfarsi del
servizio di leva, sostituendolo con milizie di professionisti. L’idea
che anche la difesa del proprio paese sia una professione come un’altra,
con un mercato del lavoro proprio, si attagliava alla nuova forma di
umanità che aveva preso piede. (Gli ultimi anni della leva in Italia
furono peraltro particolarmente deprimenti, con un servizio già
percepito come in fase di dismissione, che rappresentava non
l’apprendimento di qualcosa di nuovo, ma la messa sotto naftalina per un
anno di risorse umane nel pieno delle loro forze.)
Ora siamo nella
fase in cui l’edificio culturale e operativo del neoliberalismo inizia
manifestamente a scricchiolare. Come ampiamente previsto dai suoi
critici, la società neoliberale è pervasa strutturalmente da pulsioni
autodistruttive e centrifughe, non è in grado di autoriprodursi
culturalmente (né in effetti biologicamente), manca di qualunque tessuto
connettivo, genera nichilismo e depressione.
Ed in questa fase gli
stessi attori che hanno promosso e alimentato il degrado neoliberale
scoprono che tale degrado non si limita a renderli più ricchi, ma toglie
anche ogni capacità reattiva alla società nel suo complesso, rendendola
inerme. La guerra russo-ucraina e il profilarsi di
un’autoorganizzazione del mondo extraoccidentale (BRICS) mettono di
fronte l’Occidente neoliberale alla propria intrinseca fragilità.
La
società neoliberale si era immaginata come somma di individui
autointeressati, privi di appartenenze, legati da scambi profittevoli
che producevano elevate capitalizzazioni, che a loro volta consentivano
di sconfiggere ogni potenziale avversario grazie alla propria ricchezza,
capace di produrre armi e acquisire miliziani professionisti. Questa
visione si sta dimostrando un calcolo grossolanamente sbagliato. Il
mondo occidentale di matrice neoliberale appare oggi come un mondo in
rapida contrazione demografica e privo di qualunque identità collettiva
per cui valga la pena battersi. La leva monetaria si dimostra quello che
è sempre stata: un’illusione capace di funzionare soltanto quando tutti
vi danno credito. Nel momento in cui una nazione, un’identità
collettiva estranea, decide di sottrarsi a questa leva è sempre in grado
di farlo.
In questo nuovo contesto si stanno affacciando, e si può
star certi che si affacceranno in modo crescente, spinte a inventarsi
dal nulla valori belligeranti e patriottardi, con la sola funzione di
approntare un po’ di carne giovane a difesa delle cariatidi del World
Economic Forum.
Dopo aver tempestato le coscienze per decenni con
l’inesistenza dei confini e delle patrie - che finché la globalizzazione
a guida americana funzionava erano verità apodittiche – ora, per
correre ai ripari, verranno recuperati dalla “pattumiera della storia”
cui li avevano destinati un po’ di valori patriottici prêt-à-porter.
Il
tentativo sarà fatto, sarà insistente, e sarà penosissimo per chi
avrebbe voluto poter utilizzare in modo sincero e consapevole idee come
l’idea di interesse comune, di difesa dell’interesse nazionale in quanto
interesse popolare, anche di “amor di patria” per quanto desueto possa
suonare. Ma dopo aver distrutto pezzo a pezzo ogni dimensione comune,
ogni sovranità popolare, ogni appartenenza comunitaria e territoriale,
questo tentativo – e questa è l’unica buona notizia – andrà a vuoto.
A morire al fronte per i valori dell’Eurovision ci potete mandare Klaus Schwab.
Nessun commento:
Posta un commento