Allarmi atomici russi , colpirli è follia
Il Washington Post pubblica un articolo critico sugli attacchi alle basi che ospitano i sistemi di allarmi atomici russi portati alcuni giorni fa dalle forze ucraine (il media Usa non può ovviamente che limitarsi alle responsabilità ucraine, anche se è ovvio che esse vadano ricercate altrove, ma quel che conta è che mette in guardia dal perseverare in tale follia).
Nella nota, infatti, le considerazioni di un funzionario americano: “La Russia [a seguito di tali attacchi] potrebbe pensare di avere una ridotta capacità nell’individuare tempestivamente un attacco nucleare e ciò potrebbe diventare un problema. Dovrebbe essere ovvio a tutti che non c’è alcuna intenzione [da parte degli Stati Uniti] di usare le armi nucleari contro la Russia. Ma, certamente, siamo preoccupati di come la Russia potrebbe percepire il fatto che le sue capacità deterrenti siano prese di mira e che i suoi sistemi di allarme rapido vengano attaccati”.
Al di là delle critiche del WP, tese a raffreddare le teste calde in giro per l’Occidente, l’articolo contiene un cenno importante e riguarda una delle basi colpite. Nel dare ragione delle operazioni, infatti, un funzionario ucraino interpellato dal media americano ha spiegato che le basi in questione erano state usate dai russi per monitorare le attività delle forze di Kiev.
Possibile per una delle due basi, più prossima al fronte (anche se i dubbi in proposito sono legittimi), più difficile per la seconda. Così, infatti, il WP: “Alcuni analisti sono rimasti perplessi riguardo gli obiettivi: mentre Krasnodar ((si veda la foto) è abbastanza vicina all’Ucraina tanto da poter tracciare missili e droni, la stazione radar vicino a Orsk è focalizzata sul Medio Oriente e sulla Cina”.
“Alla domanda sul perché abbiano preso di mira un sito così lontano, il funzionario ucraino ha affermato che la Russia ‘ha utilizzato tutte le sue capacità per la guerra contro l’Ucraina’”. Spiegazione più che improbabile.
Il sistema di allarme russo puntato sul Medio oriente
Così resta il mistero del perché tentare di accecare un sistema di rilevamento predisposto a lanciare l’allarme in caso di un attacco nucleare proveniente dalla Cina o dal Medio oriente. Di certo, la Russia non ha nulla da temere dal Dragone, così l’attenzione va a focalizzarsi sul Medio oriente. E l’unico Paese mediorientale dotato di atomica è Israele.
Va da sé che l’attacco era del tutto simbolico ed è arduo trovarne una qualche motivazione, perché apparentemente Israele non ha nulla a che vedere con la guerra ucraina.
Restando tale obiezione, ma anche la consapevolezza che, sottotraccia, nel conflitto ucraino si consumano conflittualità più segrete, altre da quelle che conflagrano pubblicamente, il cenno in questione conserva una qualche suggestione.
Nel leggerlo, la memoria è meccanicamente corsa a una recente rivelazione di Pepe Escobar (che non ha avuto pubblica conferma, né avrebbe potuto averla anche se vera) secondo il quale all’attacco dimostrativo iraniano contro Israele, Tel Aviv avrebbe deciso di rispondere con una bomba atomica, che avrebbe dovuto esplodere in altitudine provocando un devastante impulso Emp sull’Iran.
Una rivelazione alla quale Escobar diceva di aver avuto conferme successive di alto livello, sebbene anonime, e secondo la quale il velivolo israeliano scelto per la missione sarebbe stato abbattuto dai russi.
La suggestione di cui sopra potrebbe quindi portare a pensare che Tel Aviv, tramite il drone più o meno ucraino in oggetto (guidato da ben più esperte mani), abbia voluto in qualche modo inviare un messaggio a Mosca, ricordandogli che anch’essa è potenza nucleare.
Ma tant’è, le suggestioni valgono quel che valgono, cioè nulla. Resta, appunto, la preoccupazione Usa di cui si è fatto voce il WP, che appare sincera. Sebbene in Occidente dilaghi la follia, registriamo con favore questo accenno di ragionevolezza, seppur residuale.
Il dilemma dei missili Nato contro la Russia
A proposito di follia, nell’articolo del WP si segnala un altro cenno significativo, cioè che Tony Blinken, il peggior Segretario di Stato della storia degli Stati Uniti, starebbe cercando di convincere il titubante Biden a dare un nulla osta a Kiev per usare le armi americane contro il territorio russo.
Si tratta del tema più attuale e cruciale del conflitto ucraino e sul quale sono concentrati i leader della Nato. Ad oggi persistono le remore a dare tale luce verde a Kiev, avendo la Russia chiaramente avvertito sulle possibili reazioni a questa aperta dichiarazione di guerra (ché di questo si tratta).
Nonostante i rischi, però, alcuni Paesi hanno già dato il loro placet e sono Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia, Repubblica Ceca, Svezia, Estonia e Canada. Nello stilare tale elenco, Strana osserva che nessuno di questi Paesi possiede missili a lungo raggio, in grado cioè di colpire il territorio russo.
Il passo compiuto – evidentemente dovuto a indebite ingerenze esterne – secondo Strana si spiega come “un tentativo di indurre Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti a permettere gli attacchi contro la Federazione Russa secondo la logica ‘molti Paesi hanno già dato il loro consenso, i raid sono già in corso, quindi diamo il via libera” anche noi.
Osservazione convincente, ma che potrebbe avere una subordinata. Infatti, tali Paesi potrebbero ricevere, in via più o meno riservata, i missili a lungo raggio dalle nazioni che li possiedono, evitando a queste di essere coinvolte direttamente nello scontro. L’azzardo implicito è che la Russia per l’ennesima volta eviti di rispondere.
Il punto è che questo conflitto vive di tante, troppe, ambiguità, anche perché l’Occidente ha fatto sì che, da limitato, assumesse i connotati di una guerra mondiale, con l’esito che è diventato decisivo per le sorti del mondo prossimo venturo. Da cui la sua configurazione esistenziale, con tutti i rischi che riserva un conflitto esistenziale. Ci torneremo.
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