Le fabbriche e le miniere avevano chiuso negli anni Novanta. Produrre sali potassici non conveniva più per via della concorrenza russa e canadese. Nel Novecento però la provincia di Caltanissetta recitava una parte da protagonista nell’economia di tutto il mondo grazie alla fabbricazione della quasi totalità di zolfo e di kainite, sali potassici appunto. Poi uno stop lungo più di quarant’anni, fino ai giorni nostri: la guerra russo-ucraina ha portato oggi nuova linfa e la provincia dove manca il lavoro e che è ai primi posti per emigrazione all’estero oggi potrebbe avere un nuovo corso.
La società che ha messo gli occhi sulle miniere nissene è la Gmri Srl, nata dalla speranza di alcuni soci di poter approfittare dell’improvviso vuoto di mercato. Le fabbriche che verranno riattivate sono tre, una a Milena, una nel territorio di Mussomeli e una a Serradifalco-San Cataldo. Ed è proprio quest’ultima che ha la storia più importante e rappresenta l’impresa più ardua. Prima di ricominciare con l’estrazione, infatti, l’azienda deve fare i conti con un grande “mostro” fatto di residui della precedente lavorazione dei sali potassici: l’azienda che prima ha lavorato in quella miniera, che dava lavoro a centinaia di persone, dopo la chiusura degli anni Ottanta non ha mai bonificato la zona, lasciando in eredità un ammasso di 3 milioni di metri cubi di residui di sali potassici che impatta in maniera pesante su quello che prima era un bosco, un’area piena di verde.
La ripresa dell’attività coinciderà con la bonifica del posto: l’azienda ha fatto carotaggi e analisi che hanno dato un valore economico a quell’ammasso prima visto solo come un rifiuto. Questi residui verranno infatti venduti come sale industriale da utilizzare per i mezzi spargisale in Italia e all’estero. La decisione dell’investimento mette sul piatto ben 11 milioni per l’acquisizione della nuova concessione che la Regione è pronta a concedere per la miniera Bosco ma anche per altre miniere siciliane che possono essere riattivate. Ma la bonifica non si fermerà solo alla montagna di residui di kainite: il tempo ha infatti distrutto i componenti e i capannoni della miniera, causando il crollo delle strutture e dell’amianto che copriva i tetti, una bomba ecologica contro cui si erano scagliate le associazioni del territorio. I dati di tumore nelle zone dell’area della miniera, infatti, sono molto alti e secondo alcuni esiste una relazione tra il disastro ambientale della mancata bonifica e le malattie. Per questo erano stati rinviati a giudizio tre dirigenti regionali, commissari per la bonifica, in un processo che però si è risolto con un nulla di fatto.
I
danni per la salute, però, continuano ancora oggi, come denunciato da
tempo dall’associazione “No Serradifalko”, che da tempo denuncia un alto
tasso di tumori nella zona interessata. L’azienda che farà l’offerta
non appena la Regione avvierà il bando della concessione, si interesserà
anche della bonifica delle migliaia di lastre di amianto ormai
sgretolate. Solo dopo le bonifiche la miniera verrà riaperta per
l’estrazione della kainite. Bloccato il mercato russo e bielorusso,
adesso l’Europa ha riaperto il commercio grazie ad aziende in Germania e
in Israele. Oggi però anche questa provincia siciliana, ultima in tutte
le classifiche per qualità della vita, potrebbe risorgere grazie al
nuovo corso. Stando agli addetti ai lavori la riapertura potrebbe
generare circa 400 posti di lavoro, per almeno 15 anni di estrazione.
Nessun commento:
Posta un commento