Era da molto tempo che l’America non si infiammava così, a colpi di proteste contro la guerra a Gaza. Sono decine di migliaia gli studenti, e non solo, che da New York alla California, passando per Connecticut, Massachusetts e Texas, chiedono un immediato cessate il fuoco nella Striscia e la sospensione dei legami finanziari tra i campus ed Israele.
Oltre duemila arresti in tutto il Paese, 209 nella sola giornata di ieri alla Ucla di Los Angeles, dove le forze dell’ordine, in tenuta anti-sommossa hanno sgomberato una tendopoli e sparato proiettili di gomma sugli studenti. Un clima sempre più teso che ricorda, e non serve una buona memoria, quanto accaduto negli anni Sessanta, quando la causa era un’altra e si scendeva in piazza al fianco del Vietnam. Stavolta però, si protesta, forte, contro il conflitto nella Striscia che sta mietendo vittime ad un ritmo spaventoso.
Dal canto suo, il presidente americano Joe Biden, ha condannato quanto accaduto, affermando che “le proteste antisemite non devono trovare spazio nelle università americane”, ma aggiungendo: “Condanno coloro che non capiscono cosa sta succedendo ai palestinesi”.
Insomma, Biden ci va cauto, perché non vuole alienarsi una parte di elettorato tanto attiva. C’è da chiedersi, tuttavia, se questa prudenza possa giovargli alle imminenti elezioni presidenziali, che avranno luogo a novembre 2024.
La prossima convention di Chicago
E proprio a tal riguardo, James Traub, in un articolo sul Wall Street Journal, ha sollevato dei dubbi sullo svolgimento della Convention dei democratici a Chicago, prevista per il prossimo agosto, che potrebbe non filare liscia, come la storia insegna.
Difatti, gli attuali eventi che hanno coinvolto le università americane per Traub risuonano come un déjà-vu. A iniziare da quanto potrebbe avvenire alla prossima, decisiva, Convention chiamata ad ufficializzare la candidatura di Biden.
“Mentre Hubert Humphrey – scrive sul WSJ – si preparava a salire sul podio dell’Anfiteatro Internazionale di Chicago il 29 agosto 1968 per pronunciare il suo discorso di accettazione della candidatura a presidente per il Partito Democratico, le reti televisive interruppero improvvisamente le riprese per rivolgersi altrove: a Grant Park, dall’altra parte della città, le jeep blindate della Guardia Nazionale sparavano gas lacrimogeni e brandivano i loro manganelli contro i manifestanti della guerra del Vietnam”. Il video di quegli scontri durò 17 minuti: un tempo lunghissimo non solo per i telespettatori che seguivano la trasmissione (erano 89 milioni) ma anche, e soprattutto, per la stessa candidatura di Humphrey. Il risultato fu “una catastrofe per la Convention democratica, che portò benefici solo a Richard Nixon” – il candidato repubblicano che vinse poi le presidenziali del ’68.
Il futuro di Biden passa anche per la pace a Gaza
Secondo quanto riporta il giornale americano, Biden ad oggi potrebbe vestire, fin troppo bene suo malgrado, i panni di Humphrey. Quest’ultimo, quando fu vicepresidente di Lyndon Johnson, non riuscì a convincere il presidente a far cessare la guerra in Vietnam. E, da candidato alla Casa Bianca per il partito democratico alle elezioni del ‘68, si presentò agli elettori come continuatore della linea politica dal suo predecessore e, come quello, fu oggetto di feroci contestazioni da parte dei pacifisti. Proteste che minacciavano di alienargli quella parte di elettorato.
Biden, proprio come Humphrey, oggi rischia di perdere la sinistra del suo partito perché “accusato di sostenere una guerra impopolare”.
E oggi come allora Humphrey, il presidente americano si trova alle prese con un fuoco incrociato: da una parte le proteste, dall’altra gli elettori che fanno riferimento alla destra del partito, che sostengono la guerra impopolare e sono preoccupati per il caos dilagante.
Così il WSJ ricorda il precedente storico: “Nelle settimane precedenti la Convention, i consiglieri conservatori di Humphrey gli dissero di restare fermo sulle posizioni del presidente [Johnson] sulla questione del Vietnam e di attaccare duramente i ragazzi delle strade”.
“Humphrey si rifiutò di farlo, non solo perché sarebbe stato cinico, ma perché non avrebbe risolto il suo dilemma: sebbene avesse bisogno di mantenere i voti della destra, non poteva permettersi di perdere l’energia della sinistra. Questo ex eroe liberale trovava insopportabile il fatto che gli elementi più appassionati del partito lo odiassero. Humphrey sapeva che senza gli attivisti e la folla pacifista sarebbe stato solo il candidato del grande partito laburista e dei capi del partito”.
Secondo il WSJ Humphrey perse non tanto per la fuga degli attivisti, dal momento che alla fine i loro voti rientrarono, ma per gli elettori che si riconoscevano nella destra del partito che, spaventati del caos, votarono per Nixon.
Tesi contestabile proprio per quel che ricorda il cronista, cioè che gli elettori contrari alla guerra ritornarono solo perché, il 30 settembre, Humphrey dichiarò la sua intenzione di chiudere la guerra del Vietnam. Fu allora, ricorda infatti il WSJ, che “i giovani e i liberali si schierarono al suo fianco e la campagna s’incendiò”.
Probabile che lo scrivente, nel riannodare a suo modo i fili della storia, abbia voluto inviare un suggerimento velato a Biden per quanto riguarda l’attualità.
Ma al di là del particolare, Traub scrive che Biden ha un modo per sfuggire alla tagliola generata dalle divergenze tra la destra e la sinistra del suo partito – trappola che fu fatale per il suo predecessore. Può, infatti, far pressioni per chiudere la guerra a Gaza, ma ovviamente si dovrebbe trattare di qualcosa di più concreto delle ricorrenti affermazioni del Segretario di Stato Antony Blinken, come quella “nessun assalto a Rafah senza un piano di evacuazione per i civili”…
Riportando la pace a Gaza, Biden riporterebbe la pace anche in patria, in tal modo il suo messaggio potrà essere ascoltato anche dal “resto del Paese”; cioè, secondo Traub, vincerebbe le elezioni.
In realtà, ci sono tanti altri fattori in gioco nelle prossime elezioni, da cui la precarietà della prospettiva trionfale delineata dal cronista. Ma è certo che per Biden sarebbe catastrofico arrivare al voto con un partito tanto spaccato.
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